Jaime Arango

 

Jaime Arango Correa

Colombia

Quando si entra in contatto con un artista attraverso la sua opera, accade spesso che il rapporto diviene unico con l’oggetto e si dimentica l’uomo, talvolta anche l’artista, a cui sono riservati concetti e “luoghi comuni” che parlano di tecnica, di critica, di speculazioni intellettuali, distanti dal rapporto intimo tra il creatore, la sua opera e l’osservatore.

Jaime Arango Correa è un grande maestro che nasce e vive in Colombia, ma ha partecipato ai movimenti artistici e culturali degli anni ’60 che hanno infuocato l’Europa e in particolare la Spagna. L’art autre di Antoni Tàpies, riferimento importante dell’informale internazionale, lo avvicina alla cultura catalana di Joan Prats sino a Joan Brossa, e al milieu surrealista francese di Bataille e Caillois, per approdare al surrealismo di Mirò e Klee. Chi si pone di fronte alle opere del maestro Arango percepisce un luogo-non luogo, compiuto e presente. La sua arte arriva a compenetrare spazi visibili con “invisibili” lontani e palpitanti.

Antoni Tàpies parla di “materia interiore come unica e vera realtà” e questo principio è stato ampiamente indagato nella pittura di Jaime Arango come intuizione profonda della materia. La stessa che in Picasso prende il nome di sostanza oscura. La materia è quindi un divenire e l’artista agevola questo processo con il fare, l’agire. L’opera non rappresenta nulla, ma è, una cosa, una realtà.

Esiste, nel colore terrigno, nelle sovrapposizioni di materiali, nella grafica delineata e spezzata, una resistenza allo spazio, una sorta di pieno che richiama alla “poetica del muro”, fenomeno innovativo in Tàpies e ancor di più in Arango. La materia è un dialogo a distanza, eppure guizzo, fiato, pulsione, odore. La vera innovazione dell’artista è nel lasciare il passo all’opera. Si potrebbero fare infinite combinazioni con le suggestioni che emanano dalle sue opere, dall’elemento della sessualità descritta e avvolgente delle figure erotiche, alle rigorose e taglienti sedie del potere, alle sfacciate forme di donne e uomini abbandonati alla loro assenza. E i riferimenti all’arte povera, all’informale, al surrealismo, al dada si moltiplicano come le esperienze che vanno da Burri a Kline sino alle teorie Lacaniane. Come in Tàpies, anche in Arango, la pittura è pagina, dove i segni raccontano il corpo che non è schiavo della storia.

Il libro di Jaime Arango Correa è un libro aperto che rimarrà aperto, pronto al segno. Un libro bianco, distante e intimo.

Bianca Laura Petretto, Curatrice