Finnish Academy of Fine Arts
Antti Majava
Antti Majava è un artista che lavora con molti supporti diversi, ma l’aspetto caratterizzante della sua opera è la specificità rispetto al sito e alla situazione, sebbene anche lo spazio abbia la sua importanza. Majava erige i suoi commenti sociali in luoghi che ci mostrano la nostra realtà come una totalità dinamica costituita dalle nostre scelte. Per la decima edizione di OPEN, Majava ha creato un quadro resistente agli agenti atmosferici intitolato Human Resistant (2007), di ispirazione marittima. L’opera è un grande dipinto realizzato in un linguaggio moderno, ma può anche essere vista come un oggetto costruito che somiglia ad un segnale di navigazione semplificato. Dal punto di vista della pittura in sé, a distanza ravvicinata, l’opera è forse persino troppo minacciosa, brusca, quasi monitoria, per non parlare dell’estrema artificiosità del materiale con il quale è realizzata, mastice bituminoso. Da lontano, nondimeno, l’opera incarna anche l’idea della sopravvivenza e della sicurezza. È importante per l’artista che l’opera non sia soltanto un motivo artistico, ma consenta l’osservazione prescindendo da tutte le aspettative normalmente riposte nell’arte. L’opera si accosta alle persone che passeggiano lungo il Lido, ma è quasi un segnale di guida, poiché pare rivolgersi ad altri, essere vista da un altro luogo.
"A volte è giusto guardare qualcosa da un’angolazione "sbagliata": forse tutto non è proprio come dovrebbe essere. Mi piace l’idea che l’arte faccia sempre riferimento ad un luogo altrove, ad un "altro". Per me, è il modo di pensare nella pittura che fornisce un modo per comunicare messaggi contraddittori, per funzionare razionalmente con irrazionalità", afferma l’artista.
Curatore Pilvi Kalhama
Presentato da Finnish Academy of Fine Arts
Con il Patrocinio dell'Ambasciata di Finlandia in Italia
Si ringrazia Marianna Uutinen
Finnish Academy of Fine Arts
Jukka Rusanen
L’opera di Jukka Rusanen (nato nel 1980) rappresenta una forma di arte contemporanea che riflette sui propri confini e le proprie convenzioni. I quadri sperimentali di Rusanen spesso si espandono in installazioni spaziali o scultoree, oppure, più recentemente, in video. Eppure, l’artista limita rigorosamente la sua tematica ad aspetti che riguardano la pittura, ricercando il suo carattere essenziale attraverso la sua tradizione. Negli ultimi anni, Rusanen ha esplorato col suo lavoro la pittura rococò, il suo stile, il suo linguaggio, i suoi colori e il suo approccio al tema. Quanto al suo personale approccio nell’esecuzione, l’artista usa l’esagerazione, giocando con sensazioni di peso e leggerezza, ma anche richiamando l’attenzione su alcune definizioni normative delle cose, come il confine tra femminile e maschile. "Vi è qualcosa di eccessivo nei miei quadri, in tutto il loro grottesco, qualcosa che non si preoccupa della ragione, bensì sottolinea l’esperienza e il piacere individuale", dice l’artista. Proprio come nella sua installazione per OPEN, It's Life's Illusions That I Recall (2007), le opere di Rusanen mettono in luce un livello seducentemente fisico e corporeo del "qui e ora". Anche in questo quadro, lo spettatore è portato verso stati d’animo storici e, soprattutto, immaginari, in cui il senso del tempo dell’individuo e il suo pensiero razionale si disintegrano, in ultima analisi, in assurde esperienze di vanità: il materiale seducente trasporta lo spettatore verso il confine tra il possibile e l’impossibile. L’opera è come un dipinto nudo spostato dalla sua sede originale e proiettato in un ambiente casuale, in cui diventa disponibile per la lettura e l’incontro con il pubblico.
Curatore Pilvi Kalhama
Presentato da Finnish Academy of Fine Arts
Con il Patrocinio dell'Ambasciata di Finlandia in Italia
Si ringrazia Marianna Uutinen
Finnish Academy of Fine Arts
Sampo Malin
"Mi affascinano sfere, confini e volumi del reale e dell’irreale, le loro interfacce. Gli opposti concettuali peso/assenza di peso, visibile/invisibile e tangibile/intangibile, ma anche il momento in cui si trasformano nel loro opposto, sono anch’essi un aspetto importante della mia opera", afferma Sampo Malin (nato nel 1977) parlando dell’essenza del suo lavoro. Le sculture di Malin sono generalmente rifinite con estrema cura, ma come artista potrebbe definirsi uno scultore di concetti anziché di materia, poiché richiama la nostra attenzione sui confini mentali indefiniti dello stesso spettatore, colui che vive l’esperienza, ponendoli in contrapposizione con le dimensioni fisiche dell’opera. Il tema della delineazione entra dunque anche nel campo di esplorazione dell’interno e dell’esterno dell’opera e del confine tra percettibilità e impercettibilità, costringendo lo spettatore a interrogarsi sulle percezioni eventualmente utilizzabili per definire ciò che si vede. Malin mette in discussione la forma delle sue opere smaterializzandone le dimensioni. La luce generata, concentrata o riflessa in modi diversi, astraendo l’opera in virtù del suo essere una traccia immateriale, è un elemento essenziale di molti suoi lavori. Egoes (2007), l’opera in due parti per la decima edizione di OPEN, sottolinea anche l’ambiguità dei confini intrinseci dell’opera attraverso l’alternanza della luce tra giorno e notte. La luce che emana dall’interno spezza inoltre l’anatomia e la chiarezza dell’opera stessa, rendendo il momento della percezione e l’impatto dell’opera su ciò che la circonda più importante dell’oggetto fisico in sé.
Curatore Pilvi Kalhama
Presentato da Finnish Academy of Fine Arts
Con il Patrocinio dell'Ambasciata di Finlandia in Italia
Si ringrazia Marianna Uutinen
Francia
Ariane Michel
Il potere unificante del mare…
In riva al mare o in un bosco, gli incontri fortuiti con animali, siano essi mansueti o selvatici, non sono del tutto inaspettati. Ma imbattersi in creature mitologiche come sirene o centauri significa veramente mettere alla prova il proprio senso della realtà. In maniera singolare e lirica, Ariane Michel evoca questi magici incontri. Michel è una giovane artista della quale ho seguito il lavoro con particolare interesse. Pur proseguendo la sua attività di talentuosa regista in ambito convenzionale, Michel ha iniziato a realizzare ambiziose installazioni artistico-cinematografiche in cui l’ambientazione del pezzo svolge un ruolo creativo essenziale. Michel proietta i suoi film in luoghi inusuali come un bosco selvatico in Svizzera o l’iconica Place de la Concorde, nel cuore di Parigi. Abbinando i luoghi scelti per le sue proiezioni alle ambientazioni filmate, Michel stabilisce un legame ingannevolmente semplice, eppure palpabile, tra il mondo naturale e quello cinematografico. Riflettendo l’ambientazione degli stessi film, i teatri all’aperto di Michel creano un connubio tra realtà e finzione, associazione esemplarmente incarnata dal suo “The Screening”, straordinario film proiettato di notte in un bosco di Basilea, ma anche dal suo “On the earth”, sbalorditiva rappresentazione della tranquilla vita selvatica sulle rive artiche, proiettata sulla spiaggia del Lido a Venezia. Stimolando sottilmente l’inconscio dello spettatore, tali incontri, siano essi arborei o semi-acquatici, sono ciò che trasforma la realtà in mitologia. “On the earth” documenta la vita dei trichechi nell’oscuro paesaggio groenlandese analizzando i momenti tranquilli della loro vita naturale mentre spostano lentamente i loro corpi voluminosi, respirano, russano e giacciono immobili, come i massi che li circondano. Man mano che la telecamera passa da panoramiche grandangolari a primi piani dei loro corpi arrotondati, le grandi pieghe rugose della loro pelle riflettono l’ambiente circostante, il loro pelo irsuto riecheggia la dura vegetazione nordica. Ciò che più colpisce delle creature rappresentate non sono né la loro massa né le loro dimensioni imponenti, bensì la tenerezza con cui interagiscono. Dormendo fianco a fianco come vecchie coppie, paiono indisturbati dalla nave aliena che passa nelle immediate vicinanze, arguto richiamo al fatto che nessun ambiente è inviolato quanto potrebbe sembrare.
“On the earth” ha stato recentemente proiettato in diversi cinema al coperto e gallerie convenzionali. Presentato ora sulla spiaggia del Lido per la 10a Esposizione Internazionale di Sculture e Installazioni OPEN2OO7, parallelamente all’edizione 2007 del Festival internazionale del cinema di Venezia, l’opera richiamerà pubblico sia del mondo cinematografico che di quello artistico. Nella proiezione all’aperto del lavoro “On the earth” di Michel, i suoni e le immagini in movimento del film gradualmente diventano tutt’uno con l’ambientazione naturale. Gli spettatori sdraiati sulla sabbia inconsciamente mimano i trichechi addormentati, creando in ultima analisi una fusione sorprendente tra animali marini e umani, non diversa da quella delle sirene immaginarie del passato. I richiami degli uccelli, il suono delle onde che lambiscono la riva e i quieti versi delle creature imponenti presto circondano lo spettatore da ogni parte in un ambiente disorientante in cui finzione e realtà si ricongiungono.
Ariane Michel (nata a Parigi, Francia, nel 1973), artista che opera principalmente in ambito cinematografico, ha partecipato a mostre personali e collettive internazionali tra cui Art Basel 38 (2007) e The Moving Image Biennale (2005).
Curatore Alanna Heiss
Con il Patrocinio di Jousse Enterprise Gallery, Paris / Love Streams agnès b. Productions
Courtesy of the Artist and Jousse Enterprise Gallery, Paris
Francia
Frederique Nalbandian
In un mondo sempre più virtuale e velocizzato dall'informazione Frédérique Nalbandian evita di utilizzare i materiali che si presentano rigidi, duri, estremamete compatti, per privilegiare quelli morbidi, flessibili e duttili che per la loro consistenza possono essere facilmente plasmati dalla mano dell'artista. Frédérique ama quindi usare il gesso, il sapone, la cera e la paraffina per la loro capacità di avvolgere le cose, gli oggetti ma anche le forme organiche, quali la carne e gli organi dell'uomo. Non c'è nella sua opera una forte esigenza al riduzionismo dell'immagine come nell'Arte Povera e neppure il bisogno del recupero degli elementi primari della natura, ma piuttosto il desiderio di recuperare la memoria delle cose e le forme degli oggetti preesistenti riproponendoli in un linguaggio caldo e personale. Il lavoro di questa artista è in qualche modo più vicino alle esperienze delle Mitologie Individuali degli anni '70, dove il linguaggio dell'arte diviene lo strumento per recuperare l'estensione della spazialità dell'essere-
uomo in tutte le sue diverse direzioni e in tutte le sue facoltà immaginative. Il suo linguaggio è quello della ricopertura degli elementi sparsi nel nostro mondo quotidiano, al fine di carpirne in negativo la forma che ella successivamente ricostruisce in gesso o col sapone. Il suo dispositivo di lavoro è quello di frantumare con il martello dei pezzi di realtà e ostenderli sui muri o sul pavimento dei luoghi di esposizione. Realizza in tal modo il suo progetto, ovvero mettere questi frammenti in presa diretta con lo spettatore, che viene pertanto coinvolto in un'esperienza estetica. Attraverso la frammentazione delle immagini in negativo, essa ottiene delle forme inusitate e enigmatiche, che conservano il calore della vita e restituiscono, attraverso le impronte delle sue dita lasciate sul gesso, la testimonianza personale del suo fare operativo. Questo desiderio di distruggere e modificare la realtà nasce certamente da un suo stato interiore, quasi a visualizzare un proprio disagio, che genera e produce il gioco delle emozioni. Rompere le fattezze del reale e ricrearlo sotto forma di nuove immagini è un atto creativo riparatore di una mancanza di amore che l'artista vuole colmare e riempire di significato. Attraverso questo suo atto di trasformazione e condivisione, essa partecipa in prima persona alla vita delle cose e degli eventi, in modo da stare loro insieme mediante l'azione di una reciproca coesistenza. Quello che più colpisce nel fare creativo di Federica è questo processo che mette in scena la tattilità della materia ridotta in frammenti, la quale ci restituisce la potenzialità di recuperare la memoria delle cose e il calore della vita espressa dall'integrità dell'uomo. E' “l'idea tradotta in materia”, che attraverso la sua fisicizzazione produce un'emotività antropologica intensa e cerebrale.
Curatore Enrico Pedrini