Argentina
Nicolas Leiva
Nicolas Leiva nella sua complessa produzione ceramica mette in evidenza una forte pulsione verso il trascendimento della nozione di "forma", così come la troviamo negli scritti dello storico austriaco Alois Riegl. L'artista sceglie le sue immagini in un universo di "figure" e di "similitudini" aperto sulle spaccature del pensiero, ibridando poi il"barocco" con una punta di "surrealismo", e con un pensiero organico e inorganico allo stesso tempo. Un altro aspetto di questi lavori è da cercare nel colore, sempre acceso, caldo, ricco di luci mobili, che rivela la forma delle cose con un accento di stuporosa sorpresa, donando inoltre a tutto una leggerezza tonale che ci fa ricordare l'Oriente mescolato insieme ai simboli culturali del natio Sud America. Nelle opere che fanno riferimento al presente, come le "tavole da surf" con una forma ogivale, troviamo che Leiva, senza abbandonare il terreno dell'estetica, si avvicina alle esperienze della vita introducendo nei sui oggetti un'astrazione e uno stile che fanno riferimento alla necessità espressiva delle cose, sottolineando con forza l'opposizione tra ornamento e imitazione.
Testo a cura di Marisa Vescovo
Belgio
Jan van Oost
Il lavoro di Jan van Oost vuole proporre un nuovo modello di
comunicazione, cioè quello di sostituire un maggiore "scambio sociale
intersoggettivo" al diffuso "desiderio sociale di dominio". La
volontà di mettere in comune, di vivere insieme situazioni culturali
di intensa partecipazione emotiva nasce dall'esigenza di condividere
un sentire comune ricco di istanze etiche, il quale presuppone una
nuova maturazione morale degli individui. Infatti nel suo lavoro Jan
van Oost privilegia soprattutto il "valore dello sviluppo e
l'accrescimento della vita". La comunicazione come fondamento
essenziale dell'etica apre la strada all'atto della "partecipazione"
degli individui e dei gruppi al divenire del fatto artistico. La
linea quindi che parte dalla comunicazione per arrivare alla
partecipazione è la sola capace di modificare nei fatti le strutture
autoritarie e rigide dell'ideologia e dell'irreversibilità, che tanta
parte hanno avuto nell'assetto socio-politico ed organizzativo della
seconda parte del XX secolo. Pertanto in un momento come l'attuale,
ricco di istanze legate alla complessità e alla partecipazione
emozionale ai fatti della vita, si percepisce la necessità di
ritornare al di qua della linea fatale di demarcazione che separa
l'umano dall'inumano, il mortale dall'immortale. Certamente nella
storia dell'arte gli stati precedenti della raffigurazione non
scompaiono mai, ma si presentano successivamente, quando si superano,
per eccesso di complessità, le strutture culturali e sociali di un
contesto. Così la riabilitazione delle antiche frontiere della
rappresentazione non risorge mai identica a prima, né si sottrae al
destino dell'estrema modernità.
Jan van Oost, che trova nel simbolismo fiammingo i propri antefatti
linguistici, vive la pressante presenza della morte e la rappresenta,
specialmente nei suoi primi lavori, attraverso metafore
concettualmente minimali, quali bare mortuarie rivestite esternamente
di specchi riflettenti o antichi specchi che trattengono la memoria
del passato, ostesi con ampie listature a lutto. L'artista
successivamente lavora su immagini di grande impatto visivo, capaci
di promuovere un autentico coinvolgimento emotivo, come i grandi
calchi di giovani donne.
Esse si presentano come figure assolute di mistico dolore e di forte
intensità umana, in quanto vengono adagiate sul pavimento o
appoggiate ai muri dei luoghi espositivi in atteggiamenti prostrati e
contorti. Vestite di velluto nero, col volto coperto da lunghe chiome
di capelli corvini che nascondono i lineamenti del loro viso, esse
diventano rappresentazioni simboliche capaci di suscitare nello
spettatore un'intensa commozione partecipativa. Il concetto della
morte è infatti centrale nella sua opera, accompagnato sovente dalla
ritualità del dolore come monito continuo ad accettare la nostra
condizione di finitezza. La scomparsa dei limiti dell'umano è per
l'artista il peggiore dei destini, perché la morte è la "più bella
conquista dell'uomo". Attraverso essa l'individuo si distingue da
tutte le altre specie dotate di un'immortalità naturale, quali i
fossili e gli oggetti inanimati. L'artista sente che l'immortalità
dell'uomo non solo annulla il suo capitale individuale, ma il
capitale filogenetico della specie viene minacciato di estinzione.
Per questo egli opera una denuncia vibrata attraverso la
visualizzazione di forme pregnanti di forte umanità, quali la
memoria, il sentimento, la femminilità, la sessualità, il passato.
Accostando interattivamente oggetti che sono appartenuti al vissuto
dell'uomo, van Oost metaforizza questi segni al fine di suscitare uno
smarrimento e un rimpianto: il presentimento di una reversibilità
totale. Nell'uomo di van Oost il destino rimane quindi la figura
estatica della necessità. Con l'affermazione della poesia e della sua
nicchia antropologica, van Oost può così soddisfare l'attuale bisogno
della storia di prestarsi ad una convulsione poetica, ad una forma di
sottile ritorno, per far trasparire l'esigenza di una materialità
pura del linguaggio e del tempo. Questo tentativo di sfuggire
all'apocalisse del virtuale e dell'artificiale si presenta
indubbiamente come una forma "altra" della creazione artistica. Egli
afferma: "L'unico luogo possibile per un artista e per l'arte è
essere ai margini del mondo e ciò provoca certamente una forte
tensione". E aggiunge: "non sono dogmatico riguardo la vita e l'arte.
Preferisco i dubbi: il dubbio filosofico e fondamentale a proposito
della ragionevolezza del mondo. L'ironia è la "finesse" strategica
insita nella mia opera. La complessa ambiguita' fra orrore e
seduzione, tra fatti e finzione, fra realtà e fantasia. L'arte rende
visibili e porta alla luce cose che non sono abitualmente alla
portata della nostra coscienza."
Il lavoro di questo artista fiammingo coltiva come progettualità
l'idea di un umanesimo originale, che si fonda sulle qualità del
singolo, sulle sue virtù, accompagnata dal diritto alla libertà
dell'individuo e dall'esercizio di questa sua prerogativa nella
società.
Testo a cura di Enrico Pedrini
Cina
Wang Guangyi
La politica dell'impegno e l'ideologia della lotta
Forse, per come evoca Wang Guangyi, può essere vero che "tutti potenzialmente sono portatori di virus" e che "tutti gli alimenti sono potenzialmente velenosi", il pericolo è sempre in agguato dietro l'angolo. Per la maggior parte della sua vita, come per tutta la sua generazione, Wang è stato accompagnato da un monito: "il nemico dei lavoratori si annida tra noi" e non esiste esame di coscienza o vigilanza sufficiente per assicurarsi un viaggio corazzato sulla strada della vita. L'onnipresente figura di Mao Tse-tung è ormai svanita nell'orizzonte, ma la sua ombra lunga proiettata dal sole all'imbrunire si allunga sempre più con il passar del tempo. Wang Guangyi ha sempre saputo che la Cina non si sarebbe mai liberata da quell'ombra; ancorché la figura che si allontana nell'orizzonte sarà considerata come punto di orientamento per le frastornate generazioni perse nell'immenso deserto che ne è seguito. Wang come artista ha avuto la grande intuizione di capire il retaggio dell'eroismo che sottende al mondo culturale cinese e di un'ideologia che alligna sulle minacce e sul pericolo.
Un veterano del movimento della New Wave '85, Wang inizialmente si affermò, a metà degli anni '80, respingendo l'allora predominante formalismo e ricercando la diversità e la liberazione attraverso lo stile. Egli inoltre si oppose all'umanitarismo accogliente e romantico della scena artistica. Wang invocava invece un ritorno alla vigilanza della coscienza razionale; egli credeva che la catarsi dell'arte comportasse il distacco dal mondo delle forme e la trascendenza dal compiacimento emotivo. Non si fece mai illusioni sulla politica dell'arte e nemmeno sull'oppiaceo dell'indottrinamento culturale. Nel 1987 Wang dipinse un motivo a griglia sull'icona sacra di Mao Tse-tung come filtro alla sua immagine surriscaldata. Nello stesso spirito egli sottopose le opere classiche dell'arte occidentale ad un analogo processo di sezionamento. Nel 1990, in studio, gettò casualmente lo sguardo su un pacchetto di sigarette poggiato su una rivista di opere grafiche dell'epoca della Rivoluzione culturale e ne trasse ispirazione per la sua celebre serie di dipinti della Grande Critica. Affascinante ed ironico, critico ma indulgente, l'imperturbabile incanto per la cultura di massa del consumatore rappresenta forse la sua posizione più cinica rispetto alle immagini fredde e impersonali del decennio precedente. La serie della Grande Critica è diventata uno degli emblemi più vividi dell'arte del periodo post-1989. La politica del potere e la propaganda costituivano il centro della vita cinese prima degli anni '90 e dirigere l'arte verso la coesistenza intrinseca dei due elementi non solo apre una via diretta al cuore della vita culturale cinese contemporanea, ma mette altresì in discussione la validità stessa dell'arte contemporanea per la Cina. Se l'apparato di partito dell'epoca maoista negava l'esistenza dell'arte che non avesse fini politici, Wang è giunto alla conclusione che, per converso, era la propaganda, ossia l'arte che conferiva potenza alla politica. Mettendo in evidenza la collusione tra il potere e la manipolazione di massa, Wang getta nel ridicolo le vuote istanze sia dell'ideologia che dei beni di consumo di massa. Tuttavia, l'artista pare insoddisfatto di una soluzione così semplice. In seguito le sue installazioni e le sue sculture segnano uno spostamento, enfatizzando la logica e la strategia che costituiscono il potere della politica ideologica. Strategia è conflitto e minaccia. Negli anni '90 Wang realizzò una serie di installazioni il cui tema si incentrava sulla struttura del potere. Visa (1994) e Libera Scelta (1994) mettono in luce le barriere necessarie per creare l'identità ed i contorni che delimitano il privilegio. La struttura ideologica è costituita da un sistema di ipotesi che definisce i valori anelati: la bella vita, un corpo sano, la giusta ascendenza, e via dicendo. Il Processo di deterioramento degli alimenti nell'arco di 24 ore (1997) e l'Esame del sangue: tutti potenzialmente sono portatori di virus (1996) mettono in luce la mentalità dell'eletto e la paura del contagio che conferisce potere alle istituzioni. L'Origine della specie: storia della civiltà europea (1997) rappresenta un commento sulla formazione della politica ideologica contemporanea. Negli ultimi anni in opere che vanno dall'Età del materialismo (2000), Istruzione elementare (2001) e la Storia di un giornale (2002) l'artista sembra ritrovare i valori che avevano segnato i suoi anni di formazione. L'artista pare suggerire che una delle tristezze della vita contemporanea è data dallo svanire dell'aurea di idealismo; da qui il ricorso alle minacce e alla paura per legittimare il controllo politico, che, come illustrato dalla grossolana istruzione di massa nell'opera omonima, può ancora fungere da fine elevato nella società oltre alla cinica manipolazione del potere. Se il mondo assume significato sulla scia della memoria degli eroi, ora che i titani se ne sono andati, gli artisti sono tentati di seguire le loro orme e raccogliere gli stendardi lasciati sul campo, purché le masse non prendano questa chiamata troppo sul serio. Come gli ideologi, per gli artisti dell'era maoista è difficile giustificare il privilegio dell'arte ora che la politica non può essere legittimata dall'ideologia. Adesso i nemici sono ovunque, e forse proprio perché gli idealisti del materialismo alla fine hanno realizzato i propri sogni ed hanno portato a compimento il destino affidato loro dalla storia.
Testo a cura di Chang Tsong-zung
Cina
Yue Minjun
Yue Minjun figura tra gli artisti di una generazione che ha trovato la propria espressione individuale negli anni '90 con l'apertura della Cina all'economia di mercato. E' colorato, sfacciato, imperturbabilmente allegro, senza legami né con l'establishment e nemmeno con la stessa storia. Sebbene la scultura non sia il mezzo primario di Yue Minjun, l'artista può essere verosimilmente descritto come una "faccia nota". Il suo viso rappresenta l'interezza della sua arte sia nei dipinti che nella scultura. Ripetendo la formula della sciocca faccia sorridente in tutti i tipi di scenari fumettistici ipotizzati, Yue Minjun ha trasformato se stesso in un'icona. Ha trasformato la sua filosofia in un successo e forse la portata di questo successo è il motivo stesso dell'espressione sorridente.
Testo a cura di Chang Tsong-zung
Incontriamo un altro fenomeno di ornamento di massa nelle 25 facce sorridenti delle sculture a grandezza naturale, erette, con le braccia sovrapposte, in jeans e t-shirt in stile americano. E' questa la modalità in cui l'artista cinese Yue Minjun rappresenta se stesso e il suo lavoro. Le sue figure sono disposte con ordine rigoroso, ma hanno un tocco di individualità che si ritrova nella strana espressione facciale e nella risata penetrante e quasi strana. La risata aliena e spaventa. A livello immediato è gelata nel materiale, poliestere; i capelli corvini sono pettinati sobriamente, artificiali, e tutte le figure hanno una grande bocca che mostra tutti i 32 denti in maniera provocatoria. L'artista sta forse evocando il diverso significato della risata nel discorso interculturale?
Il segreto potrebbe essere ricondotto al fatto che si tratta della faccia dello stesso artista, in quanto è una serie di autoritratti, clonata più e più volte nella terza dimensione. L'opera evoca associazioni dell'esercito di terracotta dell'imperatore cinese Qin Shi Huangdi (210 a.c.), le parate di massa di piazza Tienanmen e, nella tradizione europea, forse le sculture dell'artista barocco Franz Xaver Messerschmidt. Anche nelle sue facce sorridenti, il significato della risata nella cultura europea non è semplice da decifrare. E' difficile ravvedere un elemento liberatorio in questa risata che è troppo vicina al grido o è più un ghigno segreto. Roland Barthes definì enigmatico il noto sorriso asiatico nell'Impero dei segni. E' sempre impresso nel viso dell'osservatore tanto da rimanere segreto a noi?
Tuttavia ci si potrebbe trovare di fronte ad un esercito di conformisti in cerca di svago, come ce ne sono in ogni paese e in ogni cultura. Ora sono dinanzi a noi, con un ghigno malevolo, contorcendo il corpo in modo strano. Sono certamente molto distanti dal luogo d'origine delle parate di passa di un tempo dei nazionalsocialisti, ma di certo si intravede l'Ornamento di massa di Kracauer. Lo sguardo soggettivo dell'artista riapre quindi l'esperienza dell'individualità.
Il brano è stato estratto dall'introduzione di Verena Formanek (assistente ricercatrice & direzione generale ) al catalogo della mostra "Ornament and Abstraction", Fondazione Beyeler, Svizzera, 2001
Cipro
Lia Lapithi Shukuroglou
Da tempo ormai, Lia Lapithi lavora su una serie di ambienti costituiti da volumi aperti e chiusi, ispirandosi al paesaggio e al corpo umano per concepire spazi di dialogo che coinvolgano lo spettatore. Il corpo umano, fragile e vulnerabile, così intriso di esperienze personali e di problemi esistenziali e sociali, si trasforma in un ponte che mette in comunicazione l'arte e lo spettatore.
A Venezia, Lia Lapithi presenta l'installazione-ambiente "Blue Pear", opera composta da sedici imponenti sculture a forma di pera di colore azzurro intenso, sapientemente disposte nella sala espositiva. Alcune sono sospese, altre galleggiano sull'acqua o sono semplicemente poggiate al suolo. L'energia creata nell'ambiente esercita un'attrazione magnetica sullo spettatore, il quale, polarizzato dalle sculture, è tentato di accarezzarle, passeggiare tra loro. Sia la forma sia il colore sono carichi di simbolismo. La pera - forma corporea surrealista che suggerisce un archetipo del corpo femminile - presenta un addome-ventre pronunciato e se la femminilità è trasmessa dalla morbida formosità delle curve, l'addome pronunciato è una reminiscenza di forme femminili arcaiche, primitive, archetipiche, comuni nel linguaggio delle arti plastiche, una riaffermazione della loro forza in quanto fonte di vita. La donna di Lia Lapithi non è corrotta o viziata. È un punto fermo di riferimento, un perpetuarsi della vita.
Anche l'azzurro intenso ha un proprio significato simbolico: infonde vita nella materia conferendole una dimensione spirituale diversa; ma al suo simbolismo si sommano altri significati: cielo azzurro - libertà, mare azzurro - speranza nel futuro, acqua azzurra - purificazione del corpo e dell'anima.
In una delle sue interviste, parlando del simbolismo dell'azzurro, l'artista ha sottolineato che è il colore dell'abito della Vergine Maria e, per i cinesi, il colore della speranza. L'aura di azzurro intenso che circonda la forma è dunque la forza motrice che trascina lo spettatore in un altro mondo in cui la realtà comune si intreccia al sogno e all'illusione. Come nel caso dell'azzurro infinito delle opere di Yves Klein, ci imbarchiamo per un viaggio metafisico verso l'azzurro assoluto, verso un'esultanza spirituale.
Grazie ad una felice coincidenza, le pere azzurre sono giunte a Venezia per inserirsi nel suo cielo infinito e nel suo elemento fluido diventando organicamente parte integrante della serenità e della tranquilla simmetria della città eterna.
Testo a cura di Daphne Nikita