Italia
Giuseppe Spagnulo

Non esiste materia inerte, né il suo compimento statico nell’imperativo di una Forma creata. Ogni opera di Giuseppe Spagnulo sin dagli esordi sembra voler incarnare questo assunto. E in queste forze che trasformano e travolgono ogni evidenza, colpisce tragica, immensa, epica la forza di un pensiero, di un’ideologia, di una sorta di “eccitazione mentale” che costituisce l’orma, l’impronta dell’artista nella creazione del suo lavoro.

“La pressione della forgia” ricorda Spagnulo “serve agli operai per dare forma ad un oggetto. A me, scultore, serve per levare forma ad un oggetto. Io parto dall’operaio che batte il ferro o lo comprime; agisco su queste pressioni che sono tremende, ma che sono, tutto sommato, anche inutili. Perché, tanta forza io la rivolgo solo contro se stessa”.

Scolpire non è solamente un atto di forza forgiante, ma soprattutto un atto d’azione che identifica la fucina come il luogo del pensiero attivo, lo spazio in cui avvengono fisicamente e alchemicamente le trasformazioni, le lotte tra materia, lo spazio, il vuoto. Se giustamente la critica identifica l’opera di Spagnulo come intimamente connessa all’azione del fuoco è anche vero che l’incarnare è rappresentare la forza universale del fuoco che sembra affascinarlo, servirgli. Egli non è piegato alla supremazia del fuoco ma ne è in continua dialettica, dialogo, tensione e talvolta assoluta sfida.

Risiede nell’infinita vitalità d’ogni materia, delle molecole forti d’argilla, di terre, d’acciaio, il ricercare, talvolta polemicamente, la definizione di uno spazio, l’aggressione naturale della gravità, di un Peso della materia su se stessa e “nel Vuoto” che è elemento primo, materia della scultura…

 

Curatore Bruno Grossetti

 

Testo a cura di Luca Massimo Barbero / Catalogo: "E se venisse un colpo di vento?" Peggy Guggenheim collection, 2005

 

Con il sostegno di Grossetti Arte Contemporanea, Milano