ITALIA - MARGHERITA ERRANTE
Uomini affacciati su una nuova era, alla finestra del futuro che avanza cancellando un passato ingombrante. Individui che diventano spettatori dinanzi alla società moderna che procede con incalzante fretta. Esseri umani storditi dalle favole raccontate da inediti attori di una Cina che riparte dall’Anno Zero, trovando il suo inizio nelle megalitiche opere architettoniche, piramidi contemporanee sotto il quale muore, silenziosamente, il vecchio mondo. La velocità travolge migliaia di persone che abitano un continente dove non c ‘è più spazio per le consuete passeggiate in bicicletta, ma solo carreggiate create per macchine veloci e uomini senza più il loro tempo. I contadini indossano così sconosciute vesti operaie, immigrati per cercar fortuna nelle vergini megalopoli a cui tutto il mondo guarda impaurito, con la stessa sensazione di disorientamento che travolge un popolo strappato alla sua identità, cancellata dalle pesanti strutture di vetro, ferro e cemento, ormai uniche forme avveniristiche in cui il cinese può e vuole riconoscersi con orgoglio. Il mondo si è fermato qui, per ripartire da zero.
Testo a cura di Jessica Anais Savoia
ITALIA - CRASH TOYS (KOJI YOSHIDA, DARIO TIRONI)
In Things di Crash Toys (Koji Yoshida e Dario Tironi), oggetti, pezzi di materiali e scarti hanno occupato la vita dell’uomo a tal punto da rubarne la struttura e prenderne le sembianze. Un uomo e una donna vegliano una culla, ma la dolcezza e la protezione che trasmette il nucleo famigliare sono minacciate dal percepibile senso di instabilità e precarietà che comunicano i loro corpi, puri agglomerati di cose. Pezzi in equilibrio precario tra loro nonostante siano perfettamente posizionati l’uno accanto all’altro. In una sorta di antitesi visiva Crash Toys dà vita a considerazioni sull’uomo e sulla natura, che sembra essere rinchiusa in uno stato di evoluzione-involuzione. Queste sculture sono ritratti assemblati degli individui dai particolari dei volti, quasi di natura arcimboldiana dove gli oggetti metaforicamente collegati al soggetto, perché di uso comune nella sua vita, ne de-sublimano il ritratto stesso. I volumi degli scarti continuano a rendere leggibile la struttura anatomica dei corpi ma sembrano contemporaneamente inficiare strutture più profonde dell’essere umano suggerendo un obbligato passaggio al mondo artificiale da cui provengono i residui degli oggetti stessi. L’inquinamento ambientale espande i propri confini, oltrepassa i limiti fisici e come un virus intacca le nostre sinapsi, i nostri sistemi mentali. Anche i valori, trasmessi dalla famiglia e dalle esperienze, sono preda dell’inquinamento e sembrano essere sempre più precari, in quella che è una costante ricerca del pezzo giusto per costruire quello che siamo ogni giorno.
Testo a cura di Barbara Melato
ITALIA - GAETANO K. BODANZA
Ventiquattro personaggi, dalla travolgente visionarietà, sembrano usciti da un tubetto di colore tanto è densa la loro corporeità, poi plasmata dalla tecnologia digitale per non concedere nulla alle sbavature e prediligere un virtuosismo formale che odora di plastica e resine. Sono le immagini intitolate Faces che compongono la grande installazione di Gaetano K. Bodanza per l’evento OPEN di Venezia. Una sorta di gigantesca giostra, che non gira su se stessa ma fa girare l’osservatore lungo la sua circonferenza, proponendogli uno scambio frontale di sguardi con questi insoliti personaggi, sinistri e al contempo burleschi.
Seconda natura è il titolo dell’opera, appartenente al nuovo ciclo dell’artista italiano, recentemente presentato alla Galleria Moretti & Moretti di Parigi, dove un futuristico scenario sviluppato su tre metri di lunghezza dà i natali ai personaggi di Faces. È un paesaggio affollato e brulicante di forme, gesti e sguardi, che in parte riconosciamo nell’installazione veneziana.
Avulsi dal contesto di una folla entro la quale dobbiamo attentamente cercarli e riconoscerli, qui si stagliano in fondali dalla saturazione monocromatica, come si trattasse di una fototessera proveniente da un mondo alieno.
Dalla folla di ominidi, insetti, personaggi dei cartoons e piccoli balocchi Bodanza estrapola così dei ritratti a tinte forti, che in tutta la sua produzione si affiancano ai miti e alle icone dello spettacolo, della pubblicità e della storia dell’arte, da Superman a Mickey Mouse, dalla Nike di Samotracia a Marylin, da Bambi ai nativi d’America. Metabolizzando Walt Disney, Hollywood e in genere il mondo dello spettacolo, così come la ricerca scientifica osservata sul fronte della genetica e dell’ecologia, Bodanza ha sempre teso la corda fra vero e fiction.
Ora da quella corda l’artista approda a una seconda natura, che al vero più vero del vero, ottenuto per via di grande sapienza tecnica sia in pittura sia nella scultura in vetroresina, affianca una più intensa dose di visionarietà. Perché i personaggi di Faces non hanno più nulla di realistico, ma ci guardano con occhi penetranti e dialogano con noi attraverso gesti ed espressioni dai quali potremmo trarre un curioso manuale sui sentimenti umani.
Testo a cura di Sabrina Zannier
ITALIA - ALICE OLIMPIA ATTANASIO
L’artista Alice Olimpia Attanasio nasce a Milano, nel 1985. Nella stessa città ha frequentato l’Istituto Europeo di Design, diplomandosi nel 2008. Sin dagli inizi sceglie la pittura come espressione più importante della sua pratica artistica. Ciononostante, col tempo, inizia ad esibire anche le installazioni, facendole diventare per lei sempre più fondamentali. Nel 2009, presso la Galleria d’Arte Blanchaert di Milano, Alice Olimpia Attanasio viene chiamata per una mostra personale dal titolo Les jeux, le caprices. La svolta professionale arriva molto rapidamente. L’artista vince il prestigioso Premio Arte Laguna – Sezione Under 25 per la stagione 2009/2010, esibendo la sua pittura. Un successo che le dà con merito una buona visibilità. Recentemente, nella Galleria d’Arte San Lorenzo di Milano, Alice Olimpia Attanasio espone nuovamente in una personale. Qui sia le installazioni sia le pitture rientrano nel progetto che s’intitola Medication, destinato ad avere un seguito anche in questo evento veneziano. In via estetica va detto che l’artista ama tendenzialmente l’interazione, sia tramite l’astrazione concettuale sia coinvolgendo direttamente lo spettatore. Il filosofo Derrida ci ricordava che per gli antichi greci somministrare un farmaco è scombussolare il corpo. Di conseguenza, perché l’organismo stia bene bisogna comunque fargli del male, dapprincipio. La creatività di Alice Olimpia Attanasio allora interviene proprio sull’estetica del medicamento. La pittura ad olio su tela e le installazioni esibiscono gli scenari di una cura terapeutica più addolcita. Spesso le persone che si fanno visitare negli ambulatori o che hanno un ricovero ospedaliero temono gli strumenti dei dottori. Alice Olimpia Attanasio mostra che la flebo si fa con globuli più succosi (della caramella) che succhianti (del sangue), mentre chi cura ha fantasticamente le sembianze di un animale o di un bambino nella sua genuina innocenza, con dei flaconi a sciogliere le pastiglie di zucchero e le forbici a tagliare cordoni di pura liquirizia. Accade che a giocare soltanto per giocare sia il farmaco, ma senza alcun estetismo di maniera! La medicina risulta comunque utile e la prendiamo per un motivo molto preciso, entro condizioni o termini di rado mutabili. Ciononostante Alice Olimpia Attanasio fa in modo che noi ci curiamo esteticamente tramite un placebo. Ne deriva che la sua medicina d’arte va assunta proprio per se stessa. Nella sua essenza, il placebo è massimamente ludico.
Gadamer pensava che anche l’arte in senso lato si producesse solo per se stessa, parimenti all’attività ludica.
Nella mostra veneziana Alice Olimpia Attanasio esibisce una croce caramellosa. Alta due metri, ha una superficie di resina trasparente. Così subito ne vediamo all’interno le caramelle del placebo estetico, che formano un vero e proprio mosaico colorato, con al centro un cuore anatomico per ricordare il rapporto tra cura e psiche. Più croci dal simbolismo addolcito comparivano anche nella mostra Medication di Milano, benché in piccola dimensione. Certo nel cristianesimo la Croce è un segno tanto visivamente doloroso quanto simbolicamente riposante (nella speranza della resurrezione). Ricordiamo che l’artista si professa agnostica; infatti quest’opera non ha a che vedere con la religione, è solo il simbolo di una fede curativa. In tutti i casi, noi sappiamo che la Fede si professa unicamente per se stessa. In questo senso, anche la Croce cristiana andrebbe percepita esattamente come l’opera d’arte.
Testo a cura di Paolo Meneghetti
ITALIA - ANNALÙ
La metafora della leggerezza ricorre nella scultura di Annalù. Le piume bianche che si aggregano per dar forma a un’altalena sospesa contro un cielo blu, la casetta di carta che sembra ritagliata da un disegno infantile sospesa fra i rami di un albero, un castello di buste di carta in bilico su un filo da funambolo, due sedie impilate che volano, perché una delle due è il bianco fantasma dell’altra composto di buste di carta, sono solo alcune delle creazioni con cui l’artista dà forma ad altrettante idee di assenza di peso, di levitazione nel vuoto. Una metafora, quella della leggerezza, che provoca la scultura, la nega in uno dei suoi aspetti più caratteristici, più tradizionali, che è appunto la massa immobile e corposa, la gravità della materia.
Da qualche anno a questa parte è apparso nel lavoro di Annalù un nuovo motivo. In Altius e Fortius, due opere del 2007, un turbine di foglie di alloro si solleva e si congela in una forma scultorea: il disegno regolare, astratto del mulinello di foglie si fissa in un motivo a doppia spirale, regolare e astratto, che sembra sfidare con la sua immobilità lo scorrere del tempo. Un comune fenomeno naturale, un nulla fatto di foglie e d’aria, dà luogo a un oggetto monumentale, consistente che, osservato nella sua struttura, rivela in realtà di non avere nessun corpo ben definito, nessuna struttura stabile tranne il delicato, sfuggente scivolare delle foglie l’una sull’altra.
Twister, nuovo monumento alla leggerezza, sostituisce alle foglie delle farfalle, altro soggetto del mondo naturale che associa volo e levità, e su cui Annalù si sofferma volentieri. In Twister lo sciame di farfalle, colto in un turbine di vento, si congela in una spirale immobile, scolpisce nell’aria la struttura imponente (circa tre metri di altezza) di un misterioso volo fermo: il dialogo tra stasi e movimento, leggerezza e peso, verità e fiaba si declina in una nuova espressione.
Le farfalle sono leggere ma, a differenza delle foglie, sono vive, non inerti. Il loro sciame scompone le trame regolari volute dal vento cercando di imporre quelle di una danza la cui struttura si disgrega e ricompone istante per istante, in lotta con il soffio d’aria.
Testo a cura di Gloria Vallese