NATIONAL TAIWAN UNIVERSITY OF ARTS
CHEN Ting-Chang, CHIU Fang-Yi, KOU Che-Yin, LAI Mei-Ju, LIN Yu-Chen, LU Ching-Chen, TANES Naipanich
L’uso della linea è universale. La linea, infatti, incarnando pensieri, storie e idee, è parte della cultura visiva dell’uomo da tempo immemorabile, ma la Cina è probabilmente il luogo in cui le sue possibilità sono state esplorate in tutte le loro dimensioni. Nei millenni, strumenti semplici come inchiostro, pennello e carta di riso hanno permesso di produrre un corpus incomparabile e impressionante di opere ed, elemento ancor più significativo, la linea tracciata dal pennello era ciò che pittura e scrittura avevano in comune, trasmettendo idee, comunicando pensieri e sostenendo un mondo restio al cambiamento. La linea nera proiettava un senso di continuità, stabilità e tradizione.
Il mondo esterno, ovviamente, non è completamente nero; eppure i cinesi credevano fermamente nella capacità del nero di rappresentare tutti i colori e le loro sfumature. L’uso economico delle linee nere ha consentito loro di costruire un impero monocromatico, minimalista e ascetico, fino all’avvento del modernismo, all’incirca un secolo fa.
Che ne sarà della calligrafia in un’epoca di trasformazioni sempre più rapide delle telecomunicazioni e dei social media? Quella delicata linea di inchiostro ha la capacità di rinnovarsi e adattarsi al mondo contemporaneo? Se raccoglie tale sfida, come diventerà? Oppure, per dirla in termini più espliciti, questo mezzo può sopravvivere senza cadere nella trappola di connotazioni culturali o persino nazionaliste?
Con l’abolizione della legge marziale nel 1987 e, soprattutto, dopo l’emergere della globalizzazione negli ultimi decenni, queste domande che hanno tormentato generazioni di artisti taiwanesi sono diventate sempre meno fondamentali. I giovani laureati del Dipartimento di Pittura e Calligrafia della National Taiwan University of Arts che partecipano alla presente edizione di OPEN si sentono liberi dai vincoli della determinazione culturale; producono opere d’arte che si impongono per i loro interessi artistici individuali.
I giovani artisti conoscono bene l’autorevole saggio dal titolo “I sei principi della pittura” dello studioso e critico d’arte Hsieh Ho (V-VI secolo AD), in cui si è stabilito il quadro teorico della pittura cinese rimasto immutato fino ai giorni nostri. Sono stati rigorosamente addestrati a eseguire le decine di tecniche di pittura tradizionali per rappresentare rocce o montagne mediante tratti ripetitivi di varie forme e fogge. Eppure consapevolmente scelgono di seguire la propria voce interiore e perseguire idee artistiche personali.
Agli albori della loro carriera artistica, questi sette laureati sono al primo debutto internazionale, in cui espongono opere e condividono idee e pensieri creativi con il pubblico occidentale. L’esito è molteplice, variegato e fruttuoso. Interessante è notare come quattro dei giovani partecipanti abbiano scelto la forma dell’arte relazionale. Le loro produzioni per la mostra spaziano dalla creazione di un’esperienza fisica per le opere “fai da te” all’opportunità di interagire con la pittura a inchiostro o gli ideogrammi, nel qual caso il coinvolgimento degli spettatori è benaccetto e indispensabile. Gli altri tre artisti partecipanti creano opere scultoree a se stanti di dimensioni contenute, che si concentrano sulla forma umana o le condizioni psicologiche.
“Nella mia città natale spesso la gente dice ‘Benvenuto nella mia dimora!’ La normale interattività tra la gente comune inizia sempre con una tazza di tè”. Questo è il prologo dell’installazione Tea•Talk di Chiu Fang-Yi. Appendendo doni su un albero come se fosse Natale, Chiu non offre allo spettatore una tazza di tè, bensì foglie del prezioso infuso confezionate in bustine, che sprigionano una fragranza rara, delicata e unica. Pur evocando il tema dell’ospitalità, tanto caro alla cultura taiwanese, Change di Tanes Naipanich sottolinea il piacere puro di invitare gli spettatori a creare arte. Utilizzando una testa di argilla e mettendo a disposizione matite colorate, esorta gli spettatori ad applicare sul volto qualunque colore desiderino realizzando qualsiasi forma aggradi loro. L’opera, afferma, simula l’abitudine dell’uomo di proiettare sugli altri l’immagine che degli altri si è creato. Da un volto informe, privo di colore, l’opera si trasforma con la partecipazione del pubblico in modi imprevisti e imprevedibili.
Il viso umano e la figura umana sono il principale tema anche di altre due opere. In The White Y-shirt, Lai Mei-Ju crea un’immagine autonoma di un bambino avvolto in un abito ornato con bellissimi motivi antichi. Come sostiene l’artista, l’opera è un omaggio all’infanzia: “Gli abiti bianchi sono come la vita stessa: attendono che i bambini crescano e li indossino. Innocenti e senza paura, questi bambini sono ancora più belli vestiti in bianco”.
The Hesitation di Lin Yu-Che, in cui una piccola testa sovrasta una più grande, rispecchia la psicologia dell’ego umano. L’artista domanda: “I corpi, sospinti dalla coscienza, veleggiano attraverso miriadi di metafore del tempo. Se un giorno dovessero approdare in un luogo esotico, la coscienza sceglierebbe di restare o partire?”. Mentre The Hesitation si sofferma sulla destinazione ultima della nostra anima, The Imitation of the Grand Silence di Chen Ting-Chang si interroga sul logocentrismo costruendo una torre quadrata trasparente con quadrati di diverse dimensioni che si sovrappongono o “si nascondono” l’uno dentro l’altro. L’opera è accompagnata da versi: “Born in gaze/The grand silence/Seeing interpretation as real/Space compares with time/This is the arch-form of contradiction/He is born/Imitating time/for eternity” (“Nato nello sguardo/Il grande silenzio/Considerando l’interpretazione realtà/Lo spazio si confronta con il tempo/Questa è l’archiforma della contraddizione/È nato/Imitando il tempo/per l’eternità”). La scultura Two di Lu Ching-Chen e l’opera The Workshop: Chinese Ink and Calligraphy di Kuo Che-Yin, pur profondamente radicate nella tradizione, presentano la caratteristica contemporanea del coinvolgimento del pubblico. Mentre la seconda inviterà i veneziani a partecipare a una sessione di tre pomeriggi per illustrare le meraviglie del pennello e dell’inchiostro, la prima utilizza una struttura che ha la forma di un ideogramma; il carattere, il cui significato è “due”, diventa tuttavia visibile soltanto quando al suo interno sono presenti due persone. Condividendo uno slancio pedagogico e offrendo allo spettatore l’esperienza nuova dell’incontro con un’altra cultura, questi giovani artisti danno prova di approcci estremamente diversi alla creazione artistica. In The Workshop, Kuo Che-Yin esprime la sua prospettiva dell’arte e la speranza di esplorare la varietà della pittura e della calligrafia attraverso l’interazione con i partecipanti. In Two, Lu segue un percorso più diretto, simulando e ingrandendo un ideogramma per giungere a “una trasmissione e uno scambio di culture, un modo semplice, chiaro e interessante affinché la gente comprenda l’arte della calligrafia e l’ideogramma”.
La National Taiwan University of Arts è l’unica nel paese ad avere un dipartimento di pittura e calligrafia tradizionale, il cui scopo è salvaguardare e preservare il patrimonio costituito da queste antiche forme artistiche. Mentre i tesori della collezione imperiale presso il National Palace Museum testimoniano delle glorie del passato, gli attuali custodi di queste tradizioni, sebbene estremamente abili nell’uso del pennello e dell’inchiostro, volgono lo sguardo a un futuro in cui l’arte del nero funge da materia primaria da cui distillare un mondo di innumerevoli colori.
testo a cura di Yang Wen-I
Spagna
D S LEÓN
Queste sculture, e tutte le opere che realizzo, si basano sull'interpretazione personale degli esseri umani, tenendo conto delle loro vite presenti e passate.
Nel processo creativo si manifestano nella mie mani spiriti che raccontano una storia, allegorie.
Le opere diventano messaggio di amore, amicizia e speranza.
Il mio è un grido di passione per la vita, per costruire un mondo migliore attraverso l’arte.
testo a cura dell’artista
Spagna
MANUEL MARTÍ MORENO
L’astrazione suggerita da corpi e volti in procinto di dissolversi conferisce una certa aura magica agli occhi dello spettatore. L’interazione con lo spettatore attraverso la grandiosità delle sue opere è incessante. Così facendo, l’artista ci induce a domandarci se l’invasione del vuoto da parte di tali opere acquisisca un tono drammatico per il fatto che non sono completamente modellate. La tensione esistente tra volume e spazio interno ed esterno è soltanto una frontiera che l’artista sa come limitare con i contorni, ma anche eliminare semplicemente negando la forma.
Manuel Martí Moreno ci mostra questo mondo personale, etereo, pieno di archetipi, creando le sue opere con materiali molto eterogenei recuperati dal tempo e dalla funzione per i quali sono stati inizialmente pensati: viti, reti, vecchi pezzi di legno, lastre metalliche arrugginite o persino terra. Tutti questi materiali sono elementi tangibili onnipresenti in quasi tutte le sue sculture e già utilizzati per altri scopi più funzionali.
Analizzando le sue opere, sebbene paiano fisiche, quasi istantaneamente si risveglia, nello spettatore, una particolare sensibilità: il flusso regolare delle forme, il ritmo dei contorni dei corpi che, nella maggior parte dei casi, iniziano a dissolversi, creano una continua melodia che abbina calma e sorpresa. Potremmo affermare che le sue opere intendono lasciare lo spazio occupato dal vuoto libero, dall’essenza del loro contenuto. Attraverso le sue sculture Martí Moreno ci parla della fragilità materiale, fisica, ma è facile intuire che per l’artista il vuoto prevale, permanentemente presente tra spirito e corpo, ed è questa forse la ragione per cui i corpi si dissolvono in un processo di continua apertura. Corpo – materia, ma anche Essenza – Vuoto.
testo a cura di Carmela Falomir Ventura
Russia
SASHA FROLOVA
Miraclescope è una scultura immaginifica che asseritamente definisce il miracolo e il suo grado di manifestazione. È un’elaborazione fantastica su come potrebbe configurarsi un dispositivo ottico per il rilevamento, la misurazione e la registrazione dei parametri di un miracolo. La sua forma somiglia alle distorsioni, alle riflessioni e alle rifrazioni ottiche. Gli elementi trasparenti simboleggiano obiettivi e oculari. Potrebbe considerarsi una via di mezzo tra il telescopio e il microscopio, ma il sistema di obiettivi non è collocato all’interno del dispositivo, bensì è il dispositivo stesso. La scultura costituisce una prosecuzione del tema della serie Psionics, ossia quello dei meccanismi fittizi che, per il loro funzionamento, utilizzano i superpoteri della coscienza e della psiche umana.
dichiarazione dell'artista
Dalla fantascienza a Jeff Koons passando per i gonfiabili in plastica e i manga. Questi gli spunti di Sasha Frolova artista russa nata come cosplayer in sfilate d’alta moda e nei rave post sovietici ora eroina futuribile e sexy finalista al Premio Arte Laguna.
[...] Determinante è per Frolova, a questo proposito, la scoperta delle possibilità tecniche ed espressive del latex, che diviene un elemento iconico e caratterizzante della sua produzione.
[...] Da un punto di vista concettuale il lavoro diventa evidentemente più complesso e rarefatto: abbandonata, o leggermente accantonata, la ricerca che privilegiava un’indagine estetica sul potere seduttivo dell’icona che strizzava un occhio alla cultura del neo pop giapponese, la Frolova si concentra - ripescando sotto questo aspetto le suggestioni del primo cyberpunk - sul valore e le possibilità di indagini artistiche offerte dall’approfondimento della psionic culture, un insieme di teorie che studia e ipotizza un’influenza sulla realtà attraverso l’utilizzo delle facoltà mentali.
In questo senso il centro della ricerca in ambito psionico per la Frolova è rappresentato dal potere dell’amore, inteso come forza propulsiva della realtà, come dimostrano opere quali Lyubolet/Lovecraft, una sorta di astronave guidata dall’intensità del rapporto dei due amanti.
testo a cura di Igor Zanti
Perù
ANA MARIA REQUE
La celebre artista Peruviana ha un percorso di vita molto intenso e ricco di momenti contrastanti, di luoghi e culture diametralmente diverse, ma che poco per volta riesce ad uniformare nel suo essere, traendone ispirazione per la sua arte e dettando, spesso inconsapevolmente, insegnamenti ai suoi fruitori.
“Tornado a Venezia rappresenta la mia identità, piena di contrasti ed energie che vorticosamente si avviluppano nel mio modo d’essere.”
Il vortice della natura, così come quello culturale e creativo dell’artista sono in grado di “anticipare il futuro, decostruire un elemento statico e iniziare un movimento circolare. Per me la monumentalità del contesto architettonico Veneziano è un punto fermo, che ammiro profondamente e che simbolicamente ho voluto muovere e trasformare con il linguaggio dell’arte contemporanea”. (AMR)
L’intensa attività edilizia negli anni trascorsi in Perù, nel Paese Sud Americano dove tutto era pianificato al minimo dettaglio, in contrasto con l’attività artistica attuale, con le astrazioni e i nuovi linguaggi che Venezia e le sue stesse opere le stanno insegnando.
Due identità, due vite, due culture, ora perfettamente e fortemente integrate e ricche di energia, un’energia capace di creare nuove sfide, nuovi percorsi, nuovi stili artistici e forti cambiamenti, apparentemente rinnegando il passato, ma in realtà amalgamando con estrema leggerezza ed eleganza la riqueza de la experiencia. Il filo conduttore è proprio il continuo cambiamento di vita dell’artista, dall’infanzia nelle Ande Peruviane al periodo d’immersione nel vortice dello sviluppo edilizio della città di Lima, disegni, costruzioni e ricostruzioni, volendo restaurare e ripristinare ciò che un devastante disastro naturale aveva distrutto negli anni dell’infanzia; per poi approdare nella capitale della bellezza, dell’apparente leggerezza e perfezione, dove Arte e ricchezza sono protagoniste assolute.
Il lavoro di Ana Maria Reque è estremamente complesso, eclettico, solo di primo acchito difficile da leggere; ogni opera racchiude frammenti di vita, istanti e culture diverse che sanno dialogare con forza ed incredibile eleganza, seppure così diverse. Opere che riportano alla tradizione sciamanica, ai minerali della Cordigliera delle Ande, ai vetri dei maestri veneziani che riprendono i colori e le forme della natura, vortici di frammenti di vita e materia come nella serie Tornado a Venezia, in contrasto con l’equilibrio perfetto trovato ne Una Nuova Vita.
testo a cura di Serena Mormino