Italia
MIRESI
Mi-Re-Si non è una triade rilevata nell’ambito dell’armonia tonale, ma un accordo che ben s’informa al temperamento e alle scelte di questa artista, espresse attraverso la pittura e la fotografia. La musica rimane però l’esperienza più intima.
Musica sembra infatti scaturire dai suoi dipinti ora in toni dolci, ora in chiassoso vigore. Nella sua produzione pittorica si muove tra architetture e paesaggi urbani, inaspettatamente trasportata da un energico dinamismo: l’osservatore percepisce la passione con cui Miresi fissa le sue emozioni sulla tela, soggiogata dalla trasparenza della cupola del Reichstag di Berlino di Sir Norman Foster, dalle geometrie del Museo Ebraico di Liebeskind, dalla libera spazialità in cui si stagliano i grattacieli sulla Potsdamer Platz. Spontaneo e deciso è il gesto con cui traccia i contorni delle sue architetture, che non spezza, pur adattandole ad un proprio ritmo.
L’Arte è per Miresi frutto di una continua e costante ricerca, che la porta dall’Astrazione degli anni ’80 ad una autonomia espressiva, ad una esplorazione tesa alla ricerca di libertà. Nel suo percorso artistico Miresi elabora l’idea di poter catturare, attraverso la fotografia, un intero evento e non semplicemente un breve istante. Miresi sa guardare e sa vedere la realtà che la circonda ed è ben conscia che le immagini catturate, sempre architetture, poiché questo è il mondo che l’affascina, possiedono un valore simbolico intrinseco che travalica la loro funzione contingente e le ascrive alla storia.
Questa artista italiana, che da anni vive e lavora a Berlino, ne segue il percorso politico ed il rinnovamento architettonico.
Senza separarsi mai dalla sua Canon attraversa la città e punta l’obiettivo su ampi spazi, parchi, piazze, scorci di strade, facciate di edifici, escludendo la presenza umana, poiché il suo interesse è captato dal tessuto urbano, dai motivi in cui domina l’architettura. Con estrema sensibilità sa cogliere l’attimo fuggente: l’immagine riflessa su di una vetrata, un gioco di luci e di ombre, un momento magico e irripetibile, immaginifico nella sua realtà, poiché Miresi nella sua arte fotografica è genuina e bandisce ogni artificio.
testo a cura di Nevia Capello
Italia
FLAVIO MARZADRO
Da anni Marzadro ha eletto la cultura materiale come il suo grande oggetto di ricerca artistica. Pavimenti, suoli, lastricati ed altri sono per l’artista un grande libro a cielo aperto carico di rappresentazioni dell’uso storicizzato del territorio, di quelle pratiche sociali che danno forma alla vita quotidiana. La ricerca estetica che interessa a Marzadro è quella coprodotta da uomini comuni, la quale va a ritroso nella storia, ad ogni periodo in cui gruppi e società realizzavano con i propri materiali i propri parametri di bellezza e di funzionalità delle forme e delle situazioni diverse che venivano spesso preservate e nascoste in diversi manufatti. Questo è il caso dei pavimenti che vengono ripresi dall’artista per OPEN 17, in un lavoro di installazione che riceve il titolo molto suggestivo di Manuscritti. Un’opera che è costituita da tre monoliti di cemento, lavorati in basso ed alto rilievo, finiti in calce, oro e nero, che ci fanno rivedere in un’altra prospettiva artistica i pavimenti della navata centrale della Basilica di San Marco, a Venezia. Una volta in più, Marzadro ci propone con la sua arte uno sguardo stravolgente sull’umanità a partire dalla cultura materiale prodotta da noi stessi, da quel flusso incessante delle masse che operano nell’anonimato, ma che sommate ad alcuni eventi che vengono singolarizzati dalla storia, costituiscono quegli elementi di micro-storia che tante volte passano inosservati alla vista inconsapevole, ma che l’artista seziona e verticalizza per essere fruite, interpretate da ognuno a seconda della propria sensibilità. Un bell’invito a leggere questi Manuscritti.
testo a cura di Rodrigo Cervantes
Italia
DUILIO FORTE
Architetto del mito, Duilio Forte intuisce, costruisce e precisa, un esemplare dopo l’altro, il prototipo di Sleipnir. Per farlo guarda alle spalle del mondo, a quella mitologia nordica che lo vuole ineguagliabile destriero del dio Odino. Forte, veloce e fidato al punto di poter guidare tra una dimensione e l’altra: persino nel regno dei morti, dell’alterità senza intese. Ma guarda anche, Duilio Forte, all’oggi e al possibile domani del mondo. Alla tecnologia, che compenetra alle carni lignee di questa divinità feconda, protettrice e guerriera, e quindi alla mutazione. A quanto può innescare questa ibridazione, sebbene transitoria, di dimensioni opposte alla logica ma non al sincretismo mitico-tecnologico attivato dall’artista-architetto nel suo compiere un nuovo passo verso quell’autenticità che non ha bisogno di dimostrazioni perché irriducibile. Dove questa sussiste nell’energia stessa scaturita da una ripetizione felicemente impossibile. L’eventualità è propria del mito, e ancor prima del sacro, che ci sopraggiunge nella possibilità del suo disvelamento, probabile ma non certo, e mai completo. Da qui e dal dialogo col genius loci, muove verso l’avventura di mondi sempre diversi ogni Sleipnir, che nel suo ventre - capace di dare albergo a un uomo quanto a una scultura o a un server - tiene il germe del proprio destino. Il tutto iscritto in una dimensione del fare che vede ogni esemplare nascere da un lavoro di bottega, da una pratica d’ingegno e fatica di cui forse il suo stesso idolo, questo grande cavallo, si prende gioco. L’irriverenza non gli costerà però mai la libertà.
testo a cura di Luisa Castellini
Italia
ERACLE DARTIZIO
Per aspera ad astra è un’installazione site specific di Eracle Dartizio curata da Martina Corbetta che vede come luogo d’esposizione la caratteristica Venezia Lido, in occasione di OPEN 17. L’opera nasce come tributo alla madre, ma senza connotazione angosciosa né malinconica. Al contrario, articola la propria narrazione in modo significativo e concettuale su tre elementi positivi: il movimento ascendente, come liberazione del corpo, il colore puro, come il bianco, l’argento o l’oro, in funzione di purezza e bontà d’animo, e centinaia di migliaia di metri di filo, come metafora della vita. Da un punto di vista, tra le righe… “Serenity” una scritta semplice, che incisa sui mille fili traduce in modo intellettuale l’ancora più facile vocabolo “happy”. Positività è l’unico messaggio di comunicazione, senza interruzione alcuna, per raggiungere il cuore di ciascuno e per dare una scossa al pessimismo comune, che in tempo di squilibrio e difficoltà ci stringe. Una problematica che svolta in positivo. La fragilità dell’opera diventa punto di forza. Il filo, che nei suoi singoli tiranti è debole al degrado causato dagli eventi atmosferici, nel suo insieme è vitale, è un organismo che, come l’uomo, affronta il suo ciclo guardando oltre con attenta positività. L’installazione è verticale, è viva.
testo a cura di Martina Corbetta
Italia
LUCIANO CHINESE
[…] Se voi guardate tutte le opere di Chinese hanno […] una costruzione, un intrico, un passaggio, frammentandosi vengono a ricomporsi, quasi a muoversi musicalmente o attraverso […] scansioni, la tipica battuta che è la condizione di ogni ritmo e del verso del poeta e […] di quello dello scultore o del gesto del pittore; bene […] c’è questa intenzionalità architettonica dello spazio; ma di che spazio si può parlare in Chinese e in che termini si pone questa architettura dello spazio? Essa non è data da elementi puramente formali, i quali sono certamente derivati da matrici geometriche, sono forme geometriche e forme geometriche in gran parte determinate da un movimento circolare, come una rotazione su se stesse, come infatti un farsi, una specie di globo misterioso (qualcuno potrebbe immaginare il punto) anche qui un cosmo inventato, ma non c’è neanche questa sorta di cosmo, mi sembra di dover sospettare in lui, c’è invece questa architettura dello spazio, da intendersi come l’ultima possibilità con la quale la pittura possa serbare ancora una volta la propria forma, la propria ragione di essere della sua forma, che è quella di creare uno spazio, in questo caso non soltanto liricamente espanso, ma uno spazio che sia molto legato a una condizione interiore, sia molto legato quindi a una sorta di predisposizione, volontaria o inconscia. Ecco perché anche certe tentazioni oniriche, alcuni temi: basterebbe considerare i titoli delle opere sue per capire queste componenti, sia quella onirica, sogno […] o cosmologica, quindi parabole, ma c’è fondamentalmente quell’architettura dello spazio che diventa quindi architettura dello spazio interiore e un’utopia ancora possibile di costruire, attraverso la pittura, un ordine, un’armonia.
testo a cura di Toni Toniato, tratto da un discorso di presentazione a Villa Settembrini, Venezia-Mestre, ottobre 2008