Germania
FEDERICO SCHIAFFINO
L’artista ha creato negli ultimi anni un nuovo ciclo di lavoro di 24 Sculture Specchio intitolato Creatio ex Nihilo (Creazione dal Nulla), una contraddizione tra il caos e il tempo in cui le varie metamorfosi dell’essere si confondono attraverso il coinvolgimento dello spettatore con lo scopo di creare nuove percezioni di coscienza in espansione. Schiaffino sprona l’immaginazione dell’osservatore per cogliere il rapporto tra l’autentico messaggio e la sublimazione del tempo. É L’Ora: una distorsione ottica, un gioco multiforme di realtà e illusione, presenza e assenza, concretizzazione del Nulla; riflette, sposta e interrompe l’ambiente in sé, assorbendo le circostanze, rappresentando i cambiamenti del tempo dentro e fuori dell’umano e il continuo movimento del nostro esserci. Affascinante e allarmante allo stesso tempo è la scultura nella sua opulenta fertilità, la pancia formata da un uovo gigante continuerà a partorire nuove ore per sempre. La colomba: simbolo di pace, purezza, spirito santo, congenialità ed anche assurdità, appesa alla sua spalla becca l’enorme testa deforme. La statua ha tra i piedi una piccola sagoma di città compressa che simboleggia il progresso e il percorso dell’intratemporalità.
Schiaffino vi invita a fare un viaggio nella fenomenologia dello spirito riflessa in una dimensione materialistica dell’esistenza umana per esprimere il mito surreale di Narciso confluente nella deiezione luminosa dell’io.
testo a cura di Susanne Eickmann
Germania
IRIS BROSCH
Dettagli discreti Donne nella natura sull‘orlo dell‘estinzione - un‘overture di Iris Brosch
Da principio, il termine tableaux vivants, con cui si definiscono le fotografie di Iris Brosch, evoca chiaramente l‘atmosfera dei dipinti antichi in cui è conservata la nostra storia culturale. Osservando però attentamente, si deve ammettere che anche nell‘attuale selva dei media ci troviamo circondati da “quadri vivi” che emergono da tutte le fonti possibili.
Questi tableaux vivants sono per Iris Brosch la “hot zone” della comunicazione contemporanea ed insieme alle performance nell‘installazione Donne nella natura sull‘orlo dell‘estinzione Irish Brosch riesce a dare nuova vita ad un linguaggio arcano e a quei contenuti della storia e della società che erano rimasti a lungo bloccati nel tempo.
In Donne nella natura sull‘orlo dell‘estinzione Iris Brosch si avvicina alle sue bellezze e presunte bellezze così da vicino che talvolta la pelle rimane appena visibile. Le foto si avvicinano pertanto alla fragilità dell‘illusione e alla superficialità della composizione classica. In tutte le sue opere la Brosch è alla ricerca di momenti esplosivi. I suoi lavori non sono mai leggeri, ma controversi, e invitano gli spettatori a prendere posizione in modo attivo, a pensare, a ragionare non solo sul femminismo, ma anche sulla violenza, la guerra e la morale.
Questo viaggio dimostra che nel ventunesimo secolo non è possibile separare la percezione critica della natura da quella dell‘arte. I lavori fotografici e i video della Brosch creano un‘alleanza fra l‘arte e l‘ecologia, quest‘ultima come la scienza di gran lunga più significativa dei nostri tempi. Tramite specifiche linee visive, l‘arte della Brosch è l‘epitome dell‘unità del mondo femminile e della natura, dove si vede che il nostro rapporto con la natura è diventato particolarmente problematico. Nell‘età postromantica talvolta sia la natura che il mondo femminile appaiono fortemente minacciati, ed è grazie a progetti come Donne nella natura sull‘orlo dell‘estinzione che i nostri occhi si aprono e la mente viene sfidata a ripensare e riprovare.
testo a cura di Manon Bursian
Germania
IRENE ANTON
Irene Anton amministra e arreda lo spazio con la perizia di uno scenografo ma, anziché muoversi sulle tavole di un palcoscenico teatrale, gestisce spazi aperti ed inconsueti.
L’artista ama anzitutto vivere a contatto con la natura, creare legami fantasiosi intessendo installazioni strutturate in armoniosa sintonia con gli alberi, i rami, il pavé di foglie secche, l’ambiente circostante: tra le fronde di una radura boschiva o nel collegare le colonne di una chiesa si protendono catene di sinapsi che richiamano quelle strutture altamente specializzate atte a consentire la comunicazione delle cellule del tessuto nervoso fra di loro o con altre cellule sensoriali. Non a caso si parla di tessuto, intuendo in questa operazione concettuale la presenza costante, viva ed attiva, dell’autrice, mente pensante, nella chiostra spaziale da lei proposta. L’artista è quindi il fulcro dell’installazione, nata da un’idea che affonda le sue radici in un processo creativo e formativo enucleatosi attraverso studi seguiti nelle Accademie dell’Arte tessile, come all’Università dell’Arte e all’Accademia delle Belle Arti di Berlino, dedicati alla Moda e al Design tessile.
Di fronte alle installazioni della Anton all’osservatore non sfugge il carattere ludico dell’invenzione, per la scelta dei colori primari della tavolozza, per le tinte accese, per la policromia dell’insieme. Un incontro con i suoi lavori fa scaturire sulle prime la curiosità e la tensione gioiosa dell’infanzia, subito seguite da considerazioni intorno alla nostra essenza.
La Anton non nasconde il suo intento giocoso di arricchire la “festa della vita” mettendo la sua creatività a disposizione di quanti vogliano cogliere l’attimo fuggente, da gaudenti: famose sono le sue installazioni in spazi pubblici e privati con drappi variopinti agitati dal vento, così nel Progetto Windwogen.
testo a cura di Nevia Capello
Bangladesh
AVI SHANKAR AIN
Per quanti non hanno mai visto personalmente le opere di Avi Shankar Ain, un avvertimento è d’obbligo: le fotografie possono risultare fuorvianti. Nella riproduzione, i suoi disegni iperrealisti evocano un corpo provocatorio: un contro-mito del corpo scuro attinto da importanti documenti sociali, liberato dall’esaltazione di una visione di un’identità nazionale. Nella serie Made in Bangladesh, il disegno cessa di essere una forma privilegiata altamente modernista per trasformarsi nella frontiera che separa l’arte dalla politica. Avi ha vestito Made in Bangladesh con una diversa percepibilità iscrivendola in una narrazione radicata nell’inconscio attraverso il potenziamento del delirio dei corpi: in Made in Bangladesh figura Maks, la modella del Bangladesh della controversa campagna pubblicitaria di American Apparel lanciata subito dopo il crollo di Rana Plaza in cui hanno perso la vita più di 1300 operai tessili, soprattutto donne. Avi presenta l’immagine del corpo ideale di una modella che, come Kali, la divinità induista, mostra la lingua, ma, anziché indossare una collana di teschi come Kali, porta una Birkin di Hermès traboccante di teschi.
Made in Bangladesh è un’opera strana, che disturba, perché induce nello spettatore un processo di interpretazione e trasformazione della sua sensazione iniziale. Il mito indiano sovrapposto alla storia odierna raccontata dai quotidiani, il tremendo ricordo di più di 1300 operai rimasti uccisi, la Bibbia illustrata di Gustave Doré, le incisioni di Goya… L’opera di Avi è permeata di tutto questo e molto altro perché il suo tema è contemporaneo e l’artista intende assumersi la responsabilità di una parte di ciò che rimane da dire.
testo a cura di Ebadur Rahman