Israele
Eti Haik-Naor
Le case sono destinate a sprofondare
Le case non sono destinate a restare in piedi.
Gli occhi sono destinati a morire,
Gli occhi non sono destinati a desiderare.
(Nathan Alterman, La Poesia delle Bugie)
Casa
Il riso è uno dei cereali più antichi al mondo ed uno dei primi ad essere stati coltivati dall’uomo. Testimonianze di migliaia di anni parlano della cultura del riso in varie zone dell’Asia ed in varie società presso le quali esso costituisce parte inseparabile ed essenziale della cultura e dell’economia. In alcuni posti il riso viene considerato il dono degli dei all’uomo che lo considera sacro. In realtà la metà della popolazione del mondo se ne serve come alimento di base e pare che non esista alcun prodotto alimentare che lo superi in importanza. Eti Haik-Naor ha scelto il riso come materiale e tema fondamentale della sua opera scultorea. Questa scelta è nè casuale nè incidentale; ha radici profonde nella cultura dell’uomo. Tuttavia, tale scelta è legata principalmente alla sua storia personale ed al suo sviluppo come persona e come artista. Essendo originaria di una famiglia emigrata dall’Irak in Israele il riso è stato un alimento fondamentale anche presso la sua famiglia ed è profondamente legato al calore, l’amore e la sicurezza della sua casa, della sua infanzia – una specie di ancora in un mare di ansie infantili. Tutta la varietà dei simboli e significati insiti nel riso, personali ed universali, si abbinano nella sua opera di artista: impasta il riso bollito, ne crea figure e parti di figure, maschere, mattoni di costruzione, cerimonie personali, oggetti e strutture geometriche. La materia lotta con l’artista; si oppone. Non a questo è destinata. La sua natura è essere ingerita o putrefarsi. Ma l’artista non cede. Con vari trucchi tenta di lottare contro la putredine, conservare il candore della materia, la sua vitalità. L’opera risulta essere una lotta di sopravvivenza in cui i confini fra l’artista e la materia, fra l’artista e la sua opera diventano indistinti. Nel progetto OPENASIA 2004 Eti Haik-Naor presenta un grande cubo fatto di riso. Simbolo astratto della casa che ha girovagato dall’estremità occidentale dell’Asia, dalla realtà complessa di Israele verso uno dei viali tranquilli di Venezia. Cubo/casa di dimensioni umane ma minimalistiche. Alto un po’ più dell’altezza media dell’uomo, ampio un po’ più della lunghezza di un letto medio. Non c’è apertura, è impenetrabile come un enigma, privo di qualsiasi seduzione. In quest’opera l’artista si confronta, in modo poetico ed intenso, con concetti come natura e cultura, oriente ed occidente, casa e sradicamento, costruzione e decadimento, vita e morte. Quanto durerà questa “casa”? Nessuno lo sa. L’artista la consegna alla natura ed alle creature umane. Le case sono destinate a sprofondare, le case non sono destinate a restare in piedi.
..:: Curatore Ilan Wizgan
Nutopia
Yoko Ono
ONOCHORD
Trasmettete il messaggio ONOCHORD:
"IO VI AMO"
accendendo e spegnendo ripetutamente la luce
secondo gli intervalli e i tempi necessari
per trasmetterlo:
dalle navi
dalle cime delle montagne
dagli edifici
con edifici interi
nelle piazze cittadine
dal cielo
e verso il cielo.
Continuate a trasmettere il messaggio
sino alla fine dell’anno
e oltre.
Continuate a trasmettere il messaggio
ovunque sulla terra
e all’universo.
Continuate a trasmetterlo.
Alla gente:
trasmettete il messaggio con le mani
con torce
o con accendini
Il messaggio IO VI AMO in ONOCHORD è:
IO i
VI ii
AMO iii
Io vi amo!
yoko ono
2004
Francia
Ben Vautier
Ben Vautier tra due attitudini
E' da alcuni anni che osservo Ben Vautier nel suo territorio di Nizza per cercare di capire quali sono i suoi caratteri e le sue attitudini napoletane e quelle invece francesi. L'imprinting culturale e sociale di un luogo forma la personalità di un artista in quanto egli indubbiamente non esprime solo se stesso ma è a volte anche la sintesi di una cultura e di un contesto. Ben Vautier nasce a Napoli nel 1935 e quì trascorre i suoi primissimi anni. Negli anni successivi è a Smirne e ad Alessandria d'Egitto. Quando ha circa 10 anni torna a Napoli dallo zio, che ha una fabbrica di lampare, quelle che vengono applicate alle barche dei pescatori per la pesca notturna. Frequenta così i ragazzi di questa città, si intrattiene con loro e ne assume gli atteggiamenti. Penso che questo periodo, di grande formazione umana e comportamentale, abbia lasciato delle tracce indelebili nella sua futura personalità. La grande capacità istrionica e coinvolgente che lo distingue, la facilità di parola, il gusto del gioco, lo spirito effervescente che colpisce chi lo ascolta, la possibilità di possedere sempre "un tempo ironico e comico" con cui raccontare i fatti e gli avvenimenti della vita e dell'arte, il radicamento sempre attento al proprio territorio e la considerazione verso gli altri artisti, che in Ben diventa esplicita
"gelosia", sono a mio parere caratteri che appartengono alla sua
città natale. L'attitudine invece alla speculazione teorica incline a
volte al paradosso, la convinzione che la trasgressione nell'arte sia un elemento di costante cambiamento, l'esigenza di essere conosciuto come innovatore nei linguaggi dell'arte, lo spirito critico che lo porta ad esprimersi attraverso gli scritti, il tendere costante verso un rigore etico sono elementi che certamente appartengono alla cultura francese.
Negli anni 50 Ben è a Nizza dove lavora come commesso in una libreria della città. Le sue prime esperienze artistiche lo vedono pittore astratto. Nel 1958 conosce il lavoro di Marcel Duchamp e ne riporta un vero e proprio choc. Incontra Yves Klein e ha frequentazione con gli artisti del Nouveau Réalisme, quali Arman e Spoerri. In quel frangente prende coscienza che l'arte è soprattutto una questione legata alla firma dell'artista e decide quindi di fare della propria firma il contenuto di un quadro. Nel 1960 Ben scrive he "il nuovo diventa elemento di trasformazione" e che "l'artista deve essere un innovatore completo capace di scoprire una forma originale che genererà una nuova scuola". All'inizio del successivo decennio, Ben diviene propugnatore di un'estetica dell'appropriazione
che lo porterà a prendere possesso di tutto ciò che Duchamp non aveva ancora firmato, come un buco per terra, la città di Nizza, proclamata "opera d'arte aperta", Dio, i quadri altrui. Espone se stesso sulla passeggiata di Nizza e teorizza il concetto "per cambiare l'arte bisogna cambiare l'ego".
Di quel periodo (1962) è l'incontro con Maciunas, l'animatore di FLUXUS. Ben diviene uno dei principali artisti di questo movimento e soprattutto uno dei suoi più raffinati teorici. Nel 1963 Ben espone un drappo sulla strada e sostiene che non esiste nessuna differenza tra un dipinto e una banderuola: ciò che conta è il messaggio. Si interessa poi di filmare con una cinepresa le azioni della strada.
Nel 1973 realizza "la déconstruction du tableau" in 176 pannelli che contengono tutto ciò che c'è in un dipinto: il gesto, il tempo, l'ego, etc. Nel 1977 il suo interesse per le etnie diventa uno dei
suoi contenuti ideologici maggiori e nella mostra a Parigi "A propos de Nice" pubblica dieci pagine sul problema. Negli anni 80, passata l'ondata concettuale, Ben inventa, per la nuova tendenza pittorica emergente in Francia, il termine "Figuration Libre" ed introduce nei suoi lavori una componente figurativa ironico-grottesca. In quest'arco di tempo la sua attività non ha registrato soste. Ben ha vissuto quindici giorni nella vetrina della One Gallery di Londra, ha organizzato Festival FLUXUS, venduto dischi usati, fondato il Théatre Total, tenuto performances come "Public" (in cui la sua azione consisteva appunto nel fissare il pubblico). Ha girato poi un film che lo riprendeva nell'atto d'insultare gli spettatori, ha pubblicato riviste, scritto un volume di interventi teorici, impiantato nella sua casa una galleria intitolata "Malabar et Cunegonde", ideato dibattiti all'insegna del "Pour et Contre". Recentemente, ha aperto un'altro spazio a Nizza "Le Centre du Monde".
Nel 2001 il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Nizza gli ha dedicato una importantissima mostra dal titolo: "Je cherche la verité".
..:: Curatore Enrico Pedrini
Marocco
Fathiya Tahiri
Inquadrare criticamente e determinare l’opera di Fathiya Tahiri, non è compito agevole, l’amicizia fa velo e non è possibile districarsi tra la sua avventura artistica e la sua persona. Se artisticamente Fathiya si pone tra le voci più interessanti della cultura orafa-scultorea, per quel che riguarda la persona, tali e tante sono le sue peculiarità che va inserita di diritto in un posto privilegiato delle mie amicizie. Il suo percorso artistico è noto dagli iniziali studi di Architettura fino ad arrivare all’importante mostra tenutasi a Venezia nel 2002 presso la Sala Napoleonica del Museo Correr, ed è stato nel corso di questa esposizione che ho per la prima volta incontrato il suo genio creativo e la sua ispirazione. I gioielli esposti avevano una sorta di intrinseco coraggio di esistere e di risplendere tra le pareti del palazzo, così come le potenzialità espressive del metallo allo stato puro e l’idea di una scultura da indossare. La distinzione tradizionale fra scultura e gioiello con Fathiya viene meno, in essa si concretizza un mondo interiore in cui affiora una stratificazione di immagini che appartengono all’intero panorama della storia dell’arte: dall’antico al moderno. E questa lingua ben costruita -poiché fonda su basi solide- è anche dinamica, in quanto elabora costantemente gli stimoli che attinge al mondo contemporaneo e dal fascino del suo paese d’origine, il Marocco. Stimoli espressivi presenti nelle opere che ha esposto ad OPEN 2OO3. Agli inizi di quest’anno mi sono recato a visitare il suo studio in Marocco, e nel corso delle nostre lunghe conversazioni, mi ha mostrato i suoi quadri, tele di una forza ed un’intensità unica! Portata istintivamente all'indagine della forma, Fathiya è andato sperimentando masse e linee di oggetti, forme vascolari e figure plastiche, il cui comune denominatore si coglie nel moderno gusto della trattazione della materia, attraverso infinite suggestività d'impronte, di vibrazioni, che gli smalti, elargiti sui metalli preziosi come supplemento di materia, accentuano i bagliori della luce. Le sue sculture, date dai materiali più preziosi che si aggregano con armonia, dove elementi rigidi e massicci si sposano a materie traslucide, mobili, cangianti al minimo mutamento di luce, si lasciano guardare con aperta ammirazione anche da un bambino o da chi non si sia minimamente interessato di arte. Una ricerca plastica, materica e strutturale che in Fathiya, guarda al nuovo, o vi giunge provenendo dall'antico, filtrandone le arcaicità attraverso commistioni di moderni elementi che, oltre a una paziente sperimentazione, presuppongono doti d'intuizione e d'invenzione proprie dell'artista: una poliedricità che comprenda il senso plastico dello scultore e quello cromatico del pittore. Come nell’opera, intitolata Camouflage ou guerre et mensonge, esposta ad OPENASIA 2OO4. Per tali plurime espressività la sua scultura assurge, da prodotto di sole virtù decorative e artigianali, e perciò spesso considerata figlia di un dio minore, ad autentica forma d'arte, in grado di esprimere le spiritualità del proprio tempo e delle proprie origini.
..:: Curatore Paolo De Grandis
Irlanda
Carmel Mooney
Le sculture in vetro brillante di Carmel Mooney
Grazie ai suoi infuocati, personalissimi dipinti di vulcani in eruzione, la cui bellezza terrificante ormai l’affascina da anni, l’artista irlandese Carmel Mooney è divenuta sempre più nota dall’Europa all’Estremo Oriente. Immagino che fosse prevedibile che la sua mente irrequieta e curiosa l’avrebbe infine portata ad esplorare nuove possibilità immaginative correlate. I risultati di tale ricerca sono le ultime sculture in vetro brillante colorato degli Uccelli di fuoco e degli Uccelli di fantasia creati nella vetreria artistica Berengo a Murano, vicino a Venezia. Queste meravigliose creature, frutto dell’immaginazione, sono probabilmente le opere più raffinate da lei realizzate sinora e abbinano i colori caleidoscopici delle gemme estratte alle forme aerodinamiche ideali della mente che avrebbero potuto abitare i crateri in fiamme ma – come ci ricorda la ragione – così non è stato. È come se tutti i talenti di Mooney si fossero fusi nel vetro liquido multicolore per emergere come nuove forme di arte che intrigano e penetrano dentro di noi con la loro stranezza e bellezza. I primi uccelli traslucidi in vetro creati da Mooney erano montati su pertiche verticali in acciaio. Questi ultimi Uccelli di fuoco e fantasia, enormi e scintillanti, si posano, con le ali dispiegate, su ruvide lastre di ardesia grigia di Valentia (Contea di Kerry) scelta dall’artista. Ricordano l’Uccello blu della felicità tanto spesso ritratto da Georges Braque e Breon O'Casey. Le nuove sculture di uccelli di Mooney sono magnifiche e sicuramente la renderanno ancor più famosa.
..::Tratto dal saggio di
Patrick J. Murphy
HRHA 24/5/04 Presidente ROSC
Ex Presidente An Comhairle Ealaoin, - Consiglio per le arti dell’Irlanda
Membro – Consiglio internazionale, MOMA, New York
Membro, Comitato consultivo, Scambio di festival artistici Irlanda – Cina – 2004
Responsabile della direzione delle arti, Ufficio dei lavori pubblici, Dublino, Irlanda
..:: http://www.carmelmooney.com/