Italia - CONSOLATA RADICATI DI PRIMEGLIO
I miei dipinti scelgono i colori della natura, della vita, della materia.
Ogni persona che vi si accosti vede riflesso ciò che si cela nell’anima e di cui alla volte non è neppure consapevole: emozioni, sensazioni, situazioni di vita presenti o future, stati d’animo profondi e poi la commozione.
Quasi tutti i miei lavori degli ultimi cinque anni hanno in comune il Cerchio: non ha inizio né fine, né direzione né orientamento e diviene spesso simbolo del cielo, della Divinità e di tutto ciò che è spirituale. Perfezione, eternità, armonia, infinito, compiutezza, unione, una linea unica le cui estremità si ricongiungono per annullarsi l’una nell’altra, lo spirito e l’immaterialità dell’anima.
Un simbolismo magico e celeste.
Il cerchio è il cielo, è il ciclo della vita, è il tempo. Il suo movimento è perfetto, immutabile, senza inizio né fine, né variazione.
Il cerchio è spazio sacro, è tempio, santuario, ospite di energie e forze spirituali. Il cerchio è limite invalicabile che protegge, dalle prime comunità nomadi alle tradizioni magiche degli antichi babilonesi, alle cerimonie religiose medioevali e rinascimentali fino alle filosofie orientali, deposito di gradi di conoscenza, trasposizione di immaginari cosmogonici.
Mandala di mondi conosciuti e agognati.
Testo a cura dell’artista
Italia - ALDO MONDINO
Edonistica e concettosa la pittura di Mondino che coniuga la doppia possibilità aristotelica della forma in sé o per sé dell’arte e quella mescolata alla materia. Materia intesa come esotismo e cultura della diversità. La rappresentazione non è mai simbolica o solenne. Accetta da quella cultura l’abbassamento di profondità e l’amore per la cronaca. In questa l’artista trova il suo piacere. La possibilità di poter partire dal dettaglio del gesto o dalla figura, fuori da ogni esemplarità o desiderio di cogliere l’assoluto. Non esiste assoluto nella materia. Semmai trasformazione attraverso la forma. E questo è il compito dell’arte. La sua essenza. Perciò Mondino dipinge nel chiuso del suo atelier le tracce di un viaggio reale o immaginario. Non importa. Il risultato, se c’è, è sempre lo stesso. Positivamente obbligatorio. Teso a restituire e nello stesso tempo a spogliare del loro abbigliamento la figura, vista fenomenologicamente nell’apparenza dell’apparenza o di un gesto.
Poi interviene la memoria. Quella dell’arte che ha per forza dimenticato a memoria ciò che ha visto per trasfigurarlo. Il viaggio creativo, a ridosso di quello reale, produce una famiglia di quadri, parenti tra loro per stile e confezione, disegno e pittura. La parentela è rintracciabile da alcune invarianti, costituite dalla presenza del nero e di un rosso, mai violenti ma quasi a commento della rappresentazione.
Testo a cura di Achille Bonito Oliva
Italia - FRANCESCO LUSSANA
L’essere umano è prima di tutto homo faber, capace di creare, di produrre, di dare forma e vita alle materie di cui è fatta la natura e l’epoca in cui vive. Lussana si scopre dotato di quel dono divino che è l’Arte, in fabbrica, nei luoghi di lavoro… Laddove ogni giorno si alternano ritmicamente movimenti, sequenze, schemi, presenze umane e di quei marchingegni che sembrano ormai dotati di sembianze umane, di vita propria…
Il rumore delle macchine nella lavorazione dei metalli, il ritmo seriale delle presse, la posa dei blocchi di acciai, i campanelli di allarme, il tintinnio delle catene, lo stridere delle punte incisive… Il respiro umano… Note musicali per Lussana, adagi, lenti, ritmi per la sua Arte… Inconsapevolmente ecco nascere una nuova esperienza Fluxus, fatta di momenti sonori e di opere d’Arte, sapientemente attualizzate alla nostra contemporaneità… Lussana sa fondere le caratteristiche dello storico movimento Fluxus alla tematica del riutilizzo e del recupero, denominatore comune dell’arte povera e della contemporanea corrente di Arte del riciclo…
E ancora crea scenografie per i suoi stessi concerti, per spazi museali, trasformando le fabbriche e i magazzini di produzione in archivi artistici, dando vita agli stessi stabilimenti che, inconsapevoli, sono incubatori di Arte di questo secolo…
Taglia lamiere, le fora, le modella, le assembla… Le fa fluttuare nell’aria, permettendo all’etere e alle correnti di diventare protagoniste e musiciste… Tra le lamiere e i tagli si formano correnti… Suoni… Magia… Ecco che si sta scrivendo una nuova pagina nello spartito dell’Arte…
Testo a cura di Serena Mormino
Italia - MARIA ELISA D’ANDREA
Nel mio lavoro il filo riguarda l’attesa. Attesa come condizione drammatica dell’esistenza, legata alla cura, alla malattia, alla sofferenza psichica. Attesa come situazione di passività, di pazienza, di abbandono allo scorrere delle cose, quando da partecipanti attivi si diventa passivi, e non si può far altro che aspettare. Lavorare il filo è un’attività meditativa, terapeutica. È qualcosa che placa l’ansia, che aiuta a sopportare la sospensione.
L’intreccio del filo rimanda alla nascita, alla creazione. Il taglio del filo, quando l’opera è finita, rimanda al taglio del cordone ombelicale, all’inizio della vita, che è anche l’inizio della morte.
Testo cura dell’artista
Italia - ROBERTO BRICALLI
L’apparente contraddizione del lavoro di Bricalli è, forse, la sua più preziosa ed interessante caratteristica artistica.
La forza e la decisione geometrica delle forme, in netto contrasto con la purezza delle linee dei suoi volti; la determinazione e l’importanza dei marmi e dei bronzi per plasmare opere di una leggerezza estetica disarmante.
Un gioco o forse un conflitto continuo tra i suoi bozzetti e la scelta della materia.
Linee classiche, rivisitate, allungate alla maniera di Arp che, improvvisamente, diventano più dure e al contempo moderne.
Giochi di contenitori, di spazi, di aperture e di architetture che sostengono, proteggono i suoi visi… Attimi in cui la materia viene meno, come se l’autore stesse cercando ancora qualcosa…
Bricalli riprende forme, soggetti classici e li fa propri del suo tempo. Sperimenta, studia, ma rimane ancorato in modo sapiente e nobile alla materia principe della scultura, ai marmi, con la loro forza e preziosità.
“Modernizza” le forme, pur sapendo storicizzarle a epoche, culture passate, come nei recenti lavori delle tinache, frutto di mesi di studi in Sud America, in quella Argentina che già lo ha ospitato per mostre di successo.
Testo a cura di Serena Mormino