Spagna - RAQUEL MONJE

 

Monje

Come tutte le grandi opere d’arte che coinvolgono la mente e l’anima, i capolavori dell’artista madrileña Raquel Monje sono profondamente personali così come magneticamente universali. Sia utilizzando semplici oggetti di uso quotidiano che lei trasforma magicamente in arte - un tavolo, una sedia, un paio di scarpe, o un frammento scolpito di una figura umana, una fibra di vetro appesa come torso pieno di foglie, o un paio di gambe composte da piume - le creazioni visivamente complesse che Monje partorisce, o sia che siano composte di gesso, resina, ferro, legno, vetro o erba, sono intrise di una poesia semplice che segnala - a coloro che si prendono il tempo di leggere i mille segni lasciati dalla mano nubile dell’artista - che ciò che si sta guardando è il volto multiforme dell’umanità.

In nessuna opera quanto in Woman Lighthouse (Donna Faro) di Monje, “i mille punti di luce” sono più evidenti; una scultura splendidamente realizzata, che si presta a una sovrabbondanza di interpretazioni. Stilisticamente, quello che stiamo guardando è un’opera semplice, di gesso, il torso di una donna intarsiato a mosaico con centinaia di frammenti di specchi-gioiello. A prima vista, la figura nel suo insieme evoca pensieri di una creatura intergalattica trasformata in un corpo cristallizzato da una pistola a raggi come nei film di fantascienza. Più da vicino e man mano che la nostra osservazione comincia a scomporre visivamente la figura, notiamo, grazie agli specchi che riflettono la nostra immagine, che il dialogo con la straordinaria signora è in pieno svolgimento.

Dall’artista, il cui lavoro tende a combinare l’aspetto psicologico, filosofico e scientifico, abbiamo proprio la storia dello scultore, una storia di auto-guarigione per Monje così come per lo spettatore. Lei scrive: “Woman Lighthouse descrive il momento in cui è difficile resistere, ma lei va avanti, contro tutto. La fulgida signora riflette la luce mentre restituisce un migliaio d’immagini di te stesso. Un modo per conoscersi e mostrarsi agli altri. Le viscere vuote permettono di accedere visivamente al suo interno, per comprenderla e per sapere che cosa accade dentro di lei. Ho assemblato questi innumerevoli frammenti di specchi, li ho spezzati e incollati insieme, uno a uno, per ricostruire me stessa”.

 

Testo a cura di Edward Rubin