E' morto Emilio Vedova
Fonte: Corriere della Sera

Partecipò nel 2000 ad OPEN Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni

 

 

L'artista è morto a 87 anni. Era nato a Venezia da una famiglia di operai

Addio a Emilio Vedova, profeta dell'astratto

La sua scomparsa segue di poco più di un mese quella della moglie, Annabianca, avvenuta il 21 settembre scorso

«Mezzo soldato di ventura e mezzo trappista: il tutto avvolto in una grande barba nera. Una barba fluente e quadrata che gli arrivava al petto come quella dei falegnami, apostoli della Settimana santa in Val Gardena», scriveva, nel '62, Raffaele Carrieri di Emilio Vedova. Circa 45 anni dopo, l'artista, nato a Venezia nel 1919, era esattamente come allora. L'unica differenza era, forse, data dalle rughe e dal bianco della barba che lo faceva avvicinare più ad un profeta, mentre si aggirava fra i suoi Dischi enormi, dipinti in entrambe le facce con sciabolate di nero, di rosso e di bianco, e fra gli Angeli (con i quali aveva una certa dimestichezza).

Colori squillanti. Forse proprio per questo, partendo da Kandinsky-Schömberg, s'è sempre parlato dell'uso sonoro del colore, dovuto anche alla sua frequentazione con Luigi Nono. E proprio al musicista veneziano aveva dedicato i suoi ultimi tre lavori grafici, riuniti in un libro d'arte, Al gran sole carico d'amore, da Egidio Fiorin, per le edizioni Colophon, nel luglio scorso. Vedova e Nono si erano incontrati nel 1942. Poi, nel '60, il compositore aveva dedicato un'opera all'amico. Nono amava la gamma cromatica di Vedova perché vi trovava un'analogia con l'improvvisazione e la sonorità della musica dodecafonica. Colori guizzanti, lampeggianti, si diceva.

L'artista liberava il furore che aveva dentro di sé, con gesti repentini che diventavano forme astratte. E che lasciavano anche perplessi se recitate con una punta di stramberia. Ricordo, agli inizi degli anni Settanta, una sua performance al castello di Pavia, in occasione d'una mostra a favore dei fuorusciti spagnoli. C'ero andato con Rafael Alberti, di cui Vedova era amicissimo. Dopo i soliti discorsi di circostanza, era intervenuto Vedova. Aveva biascicato qualcosa, commuovendosi platealmente. D'un tratto aveva cominciato a tempestare di pugni un suo grande quadro. Gli astanti lo guardavano tra stupore e divertimento. Ma quella di Emilio era una maniera di esprimere la sua collera contro il franchismo. Teatrale? Certamente. Ma efficace.

La recita faceva parte del personaggio e c'era, in lui, in questo, un certo compiacimento. D'altronde egli stesso faceva di tutto per alimentare l'aneddotica che gli fioriva attorno. Un esempio? Qualche anno addietro, due ufficiali della Guardia di Finanza erano andati nel suo studio fingendosi interessati all'acquisto di alcuni dipinti. «Quanto costa, questo?». «Due-tre milioni», rispondeva la moglie Annabianca, che aveva capito chi erano i due. «Ma che dici, sei impazzita, per quel quadro ci vogliono cento milioni!», urlava Emilio, dal fondo dello studio. La scena s'era ripetuta più volte, anche se la moglie aveva cercato di avvertirlo con gesti e gestacci. Finale? Un miliardo e 200 milioni di multa (ridotta, poi, a un miliardo). L'anno dopo, una seconda visita. Stavolta, Vedova aveva capito tutto e subito. Così, dopo essersi allontanato, s'era ripresentato nudo: «Così mi avete lasciato l'altra volta», aveva detto agli agenti esterrefatti.

Furore, s'è detto. Ma il suo furore non ha conosciuto scuole o correnti. Vedova, a suo tempo, aveva rimesso in discussione il Futurismo e la sua partecipazione a Corrente, a Oltre Guernica, al Fronte nuovo delle arti, al Gruppo degli Otto, all'Action painting, all'Art brut, sino all'Informale coi quali aveva avuto sempre un rapporto di scambio, mai di subordine. In realtà, Vedova ha sempre agito come una forza della natura. L'artista veneziano — che di Venezia, ormai, era diventato un elemento del paesaggio come San Marco e l'isola di San Giorgio — viveva i suoi dipinti. Una pennellata era un colpo di nervi, un gesto bilioso e selvaggio. E del selvaggio aveva anche l'aspetto, l'istinto vigile. Natura e carattere si fondevano, diventavano ritmo. Angoscia e lirismo, lucidità e pazzia. Di un finto pazzo, però, che in realtà era un genio.