Agusti Roque

 

Agustí Roqué

Andorra

Nella linea europea della scultura, confermata dall’opera di Agustí Roqué, che corre da Michelangelo a oggi, la scultura non opera sulla semplice compressione del vuoto ma nella continuità tra i due versanti - pieno e vuoto - senza alcuna interruzione. La teoria del non-finito affonda le sue radici nella filosofia neoplatonica. Non un’arte come rappresentazione mimetica del mondo, ma come luogo di condensazione formale di una illuminazione che la trascende.

La scultura diventa il teatro di conflitto tra la materia inerte e l’uomo che vorrebbe infondervi un’impronta divina, e tale impossibilità costringe a considerare la finitezza della forma e l’incapacità di approdare a un risultato corrispondente alla sostanza dell’ispirazione.

Ecco il furor neoplatonico di Agustí Roqué che attraversa gli elementi positivi e negativi dello spazio, pieno e vuoto, andando oltre il puro e semplice valore plastico che sembra dare specificità all’opera, e supera lo statuto puramente celebrativo, l’aspetto clamorosamente monumentale che ha contraddistinto molta scultura occidentale ed ha portato Arturo Martini a parlare di “lingua morta della scultura”.

Agustí Roqué, infatti non insegue l’utopia positiva dell’arte, ovvero la possibilità di costruire un modello capace di trasformare il mondo, ma piuttosto di realizzare un piccolo ordine collegato all’opera realizzata, e capace dunque di essere semplicemente un modello di se stesso. L’umiltà dell’oggetto sta proprio in questo, in una poetica che non si serve di materiali colti o di generi artistici accademici, ma piuttosto è capace di attraversare il quotidiano, di prelevare l’inerte quotidiano per collocarlo in una sorta d’assemblaggio, di cortocircuito che eleva l’elemento e il dettaglio a frammento, a tassello di costruzione mentale.

L’opera finale di Agustí Roqué in definitiva è l’approdo del soggetto creativo dell’artista ad una dimensione separata della propria biografia, proprio perché con grande umiltà egli individua nell’arte la propria possibilità espressiva. Inoltre è anche un ancoraggio per lo sguardo dello spettatore verso una costruzione capace di sollecitare in lui un nuovo senso delle cose. Ma questo senso non capovolge il senso del quotidiano, non lo combatte ma semmai individua un interstizio, un luogo, quello di una utopia negativa, ovvero direttamente collegata allo spazio fisico abitato dall’opera da cui l’artista parla e lo spettatore può riflettere.

Achille Bonito Oliva, Curatore