Norvegia
Marianne Heske

 

VEDERE:

UNA CULTURA ATTIVA E INQUIETANTE

 

Ecco un’artista che viene dal freddo e vi ritorna volontariamente, non fosse altro per riportarci i paesaggi pittoreschi della costa occidentale della Norvegia, sua terra natale. Marianne Heske si ricongiunge dunque alla tradizione realista dei pittori che lavorano sul "motif" della natura, ma il materiale di osservazione che porta con sé nei suoi viaggi è tutt’altro che tradizionale. Non più scatole di colori, pennelli e cavalletto, bensì una videocamera.Le sue viste originali registrate su nastro magnetico sono successivamente tradotte e definite elettronicamente. Il risultato di questa manipolazione cromatica e formale viene poi fotografato. Il negativo finale così ottenuto viene ingrandito e dipinto su tela con l’ausilio di una macchina per dipingere computerizzata. Le viste sublimi di Tafjord, di Romsdalshorn o ancora della chiesa di legno di Urnes ci stupiscono e ci emozionano con la loro avvincente struttura retinata, mentre la sontuosa intensità dei loro colori fiammeggia come colate di lava.Sono il prodotto di una tecnica molto elaborata e rappresentano le immagini estremamente avanzate della nostra modernità visiva. Nella sua sequenza " Viaggio pittoresco", Marianne Heske ha sostituito la videofotografia ai tradizionali pennelli, ma ciò che lei anche ipotizza in questa opera, in riferimento all’intera storia della pittura, è la permanenza della visione dell’artista. Una visione sia analitica sia globale, un fenomeno di sensibilità intuitiva, ma anche di identità culturale. È ovviamente la visione di Marianne Heske, che sceglie gli elementi pittoreschi nel suo viaggio al contempo esplorativo e introspettivo. Questa visione, tuttavia, è espressione di una cultura basata sulle sue esperienze di vita e, dunque, sulla pratica della relatività esistenziale. Nel 1980, per la XI Biennale di Parigi, Marianne Heske ha trasportato la sua capanna da pastore dalla Norvegia al Centro Pompidou. Questa capanna di legno, tradizionalmente utilizzata come riparo e fienile, è stata smontata in Norvegia, rimontata a Parigi, quindi riportata nel suo luogo di origine un anno dopo. Intervistata da Per Hovdenakk[1] sul significato di questo progetto, l’artista ha dato una risposta estremamente eloquente: "Ho pensato che la capanna sarebbe stata considerata soltanto una capanna in Norvegia, mentre a Parigi sarebbe stata vista come una manifestazione di arte concettuale ". A prescindere dalla speculazione apparentemente ingenua sul cambio di scena e l’interpretazione di un oggetto al di fuori del suo contesto originale, l’atteggiamento dell’artista rivela una profonda capacità analitica. Lo sguardo di Marianne è un potente creatore e messaggero di una visione incentrata sull’essenziale relatività della percezione. Il suo sguardo è una domanda sullo stesso realismo. La realtà cambia a seconda del clima, della latitudine, del contesto e della cultura; proprio l’interazione tra realismo e fantasia, oggetto e soggetto, costituisce la legge del vedere. A questo livello si pone per Marianne Heske l’interrogativo essenziale dell’arte, come lei l’ha definito nei suoi precedenti lavori: "Works & Notes" (il viaggio della testa di una bambola attraverso diverse situazioni sociologiche - Maastricht, 1978) o "Video Dialogue" del 1984 (il concetto di arte: un metro a nastro o una fascia elastica?). Un interrogativo senza risposta poiché non ne richiede alcuna. Cos’è l’arte? Porre questa domanda oggi significa interrogarsi sulla natura della trascendenza. Cos’è Dio? Si può fare arte con qualsiasi cosa proprio come si può trovare Dio ovunque. Arte e Dio sono domande di fede, ossia di identità e dunque, in ultima analisi, di relatività. La perfetta padronanza di un mestiere non conferma la presenza dell’arte più di quanto il rispetto per un rito religioso confermi la presenza di Dio. Questo è sicuramente ciò che Edward Munch ha pensato nel più profondo del suo animo quando ha dato alla sua pittura l’espressione definitiva della protesta, al di là del dramma dell’esistenza[2]. La percezione relativa della realtà oggi viene tradotta da Marianne Heske nello splendore poetico dei suoi dipinti. Avendo impietosamente proclamato questa relatività, l’artista norvegese se ne appropria nella definizione della sua realtà visiva: un’immagine estremamente personalizzata nata dalla fusione interna tra tecnologia elettronica ed esperienza di vita. Questa è la dimensione pittoresca del suo viaggio. E questa è anche la quintessenza della sua visione: una cultura attiva e inquietante.

 

 

..:: Testo a cura di Pierre Restany

15 marzo 1986

Parigi

 

 

[1] Nell’ambito del progetto "Gjerdeloa" Marianne Heske, Universitetsforlaget, Oslo, 1984

[2]Il 6 dicembre 1985 ho avuto occasione di visitare un’importante retrospettiva di Munch al Palazzo Reale di Milano con Marianne Heske. Quell’esperienza è stata per me una rivelazione del modo di guardare nordico e luterano: il realismo nella sua personificazione drammatica della figura (o del paesaggio) pretende dall’immagine il suo anti-corpo, la sua identità diluita.