:: Accademia di Belle Arti di Venezia
Alex Bellan
La panchina di Alex Bellan è quella che comunemente ci aspettiamo nei parchi e nei giardini pubblici; solo che, stirata su quattro lunghe ed esili zampe da zanzara, è andata a collocarsi ad altezze impossibili. Fa parte di un gruppo di sculture ugualmente impostate sulla negazione della funzionalità, spesso protese verso il cielo: uno sgabello alto 4 metri, una scala che si slancia verticalmente verso il nulla accompagnata da una sedia su cui è impossibile sedersi. Il colore bianco, con la sua potenzialità astraente, unifica la serie, accentuando la volontà di questi oggetti di non cooperare, di sottrarsi ai loro obblighi funzionali divenendo i fantasmi, ribelli e irregolari, di se stessi. Questa logica sottende a molto altro lavoro di questo scultore: che ha realizzato fra l’altro una nave, un’imbarcazione stilizzata dal pesante scafo di ferro, che non può navigare ma viene presentata anch’essa sollevata in alto, sospesa a catene, sopra le teste degli spettatori: una funzionalità trasformata in simbolo, come nei modelli votivi di navi sospesi nelle chiese medievali. Un’inflessione più ironica è avvertibile invece in “Monocycle” (2006): mezzo di locomozione estremo e improbabile anche nella realtà, di cui Bellan accentua ancora la funzionalità impervia, ai limiti dell’impossibile, presentandone una versione alta oltre 4 metri che se ne sta lì appoggiata al muro, nell’improbabile attesa di un acrobata gigante.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia
:: Accademia di Belle Arti di Venezia
Cristina Treppo
Un’idea Zen di giardino simbolico, luogo dove fiori piante e rocce sono più nella mente che nella realtà, circola dalle fotografie alle sculture alle installazioni in tutta l’opera di Cristina Treppo. Con un corpus di ricerca originale e coerente attraverso le varie forme espressive, Treppo sta emergendo come una delle figure più interessanti della giovane arte italiana, come prova la sua recente inclusione tra i finalisti del Premio Internazionale Arnaldo Pomodoro per la scultura. Fotografa fiori finti che sembrano veri (fino a quando l’occhio non scopre il minuscolo dettaglio che cambia la lettura, ad esempio, uno stelo di plastica), o scenari naturali nei quali vorremmo immergerci (ma che nel corso dell’esplorazione visiva si rivelano dei piccoli set costruiti in studio, con polveri colorate e piante artificiali). Il versante scultoreo di questa produzione, forse il più personale e sorprendente, si caratterizza per l’uso del ‘peluche’: materiale soffice da orsacchiotti e da cuscini, affettivamente ambiguo, che invita a toccare e accarezzare, a entrare in una dimensione di sensualità e tenerezza, nonostante i suoi verdi rosa e giallo aciduli lo denuncino come finto, non appartenente al mondo biologico. Nella produzione recente, questi colori hanno lasciato il posto alla monocromia, e l’asciuttezza semiastratta del linguaggio a una nuova inflessione più romantica e narrativa: tutto nero per “Tonight”, 2006, viluppo di corolle e tralci che termina in un paio di guanti da sera; tutto bianco invece per questo “Segreti e bugie” espressamente realizzato per OPEN2OO6: un letto a baldacchino/interno di stanza che cela parzialmente i suoi tesori floreali dietro cortine, lasciandoli intravedere però per mezzo di uno specchio: nuovo interessante esperimento di narrazione allusiva, indiretta, riflessa. Un'opera dal valore concettuale ampio, ma che si carica di particolari valenze in connessione al luogo dove viene presentata: un letto collocato nel giardino di un hotel rimanda a tutte le suggestioni che può dare una camera d'albergo, mentre il tema floreale riprende la decorazione delle maioliche dell'Hungaria Palace Hotel.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia
:: Accademia di Belle Arti di Venezia
Dania Zanotto
Il mantello del viaggiatore, nuova opera di Dania Zanotto espressamente realizzata per OPEN2OO6, riassume i temi della sua ricerca, imperniata sulla creazione di abiti scultura giganteschi e fragili al tempo stesso, nei quali si esalta il valore simbolico, cerimoniale, rituale che da sempre si sovrappone nel vestito alla funzione primaria di ricoprire il corpo. Alcuni dei grandi abiti-scultura della Zanotto sono resi diafani, incorporei e organici dall’uso di materiali come garza, piume, lattice; altri, come quelli della serie “medievale” presentata nel 2004 a Certaldo alla collettiva internazionale “Medioevo Prossimo Venturo”, sono primordiali e armati, costruiti con materiali come lana di ferro che, sfiammata, prende l’aspetto di un’irsuta pelliccia. Il mantello del viaggiatore è, insieme, la sua casa. Nella dimensione estrema della vita nomadica, non ci sono templi, né statue: il tesoro dei simboli è ridotto a colori, disegni, amuleti, portati come ornamenti sul corpo o dissimulati nelle pieghe dei tessuti. Il tempo e il luogo liturgico, lo spazio cerimoniale e quello della vita quotidiana coincidono, separati solo da gesti, da un corredo simbolico spesso immateriale. Ed è di questa dimensione provvisoria e minimale, in cui tutte le funzioni si evidenziano, che questo nuovo abito scultura è l’espressione.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia
:: Accademia di Belle Arti di Venezia
Giacomo Roccon
Il versante forse più originale della produzione di Giacomo Roccon consiste in installazioni che associano sculture a fotografie. “Untitled IV” (2005) è la scultura quasi al naturale di un bambino giapponese, un po’ stilizzata al modo dei fumetti, che protende vivamente una mano in avanti. Nel gruppo di foto associate a quest’opera, la figuretta riappare ambientata in un contesto domestico, la mano protesa verso la katana posata sopra un mobile. Le immagini suscitano allarme: che farà il bambino quando raggiungerà la letale, affilatissima spada? Ma la scultura col suo gesto immobile, cristallizzato, fissa l’azione in qualcosa di tipico, di eterno: il bambino giapponese può non cercare la spada? Ha per caso stampata in sé l’innata vocazione a emulare gli antichi guerrieri, a entrare nella leggenda dei samurai? In “Untitled II” (2004) il gioco si ripete: la scultura rappresenta un ragazzino imbronciato e triste, in camicia. Le foto lo raffigurano in bagno: un bagno istituzionale, pulito, moderno, con una fila di lavandini da una parte e le porte dei gabinetti dall’altra. Niente di anormale, tutto in ordine, ma l’associazione tra la figura e il luogo crea una misteriosa suspense carica di disagio. Con “Fallen Angel”, Roccon crea una scultura espressamente ideata per la volta a carpenteria metallica destinata a ospitarla al Lido di Venezia. Non ci sono fotografie questa volta. La figura umana, in grandezza naturale, pende lugubremente sospesa a catene, ricordando i cadaveri che venivano lasciati esposti dopo le esecuzioni dei secoli passati. La naturale immobilità della statua, i capelli lievemente oscillanti alla brezza marina assecondano l’illusione, rafforzando l’effetto evocativo di questa dolente, macabra elegia.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia, Alice Brunello
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Giuseppe Vigolo
L’ironica installazione di Giuseppe Vigolo gioca con un genere ben noto al pubblico, quello delle presentazioni museali: in questo caso, di una distesa di fossili. Fossili insoliti e sorprendenti, visto che ogni pietra si apre rivelando tracce non di pesci, vegetali o insetti, ma di armi: fucili, pistole, mitragliatrici, bombe. C’è anche l’uovo gigante di un animale misterioso che, spaccato, mostra l’embrione di un carro armato. L’idea, chiarita dal cartello che accompagna i reperti, è che l’aggressività umana è antica, antica come le montagne e anche di più, visto che risale a prima delle montagne, agli esordi stessi della vita. Abbiamo televisioni computer e cellulari, la medicina ha toccato traguardi un tempo impensabili, l’uomo e i suoi robot viaggiano nel cosmo e i telescopi valicano incredibili distanze nello spazio e nel tempo; ma la logica delle armi, strumenti messi a punto per dilaniare in un istante esseri cresciuti per lunghi anni, pazientemente portati dai gesti più dimessi fino alla parola e al pensiero, non sembra minimamente intaccata da questi progressi. Rimane sempre uguale, come nelle battaglie descritte dalla Bibbia e da Omero, come nell’età della pietra: come se nella pietra fosse scritta una volta per sempre, cristallizzata in una impossibilità totale di evolvere e trasformarsi.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia