bernard pourriere

 
FRANCIA - BERNARD POURRIÈRE

Intervista di Bernard Pourrière con Enrico Pedrini 

Enrico Pedrini: Se vogliamo vivere, bisogna accettare di cambiare, dunque dobbiamo basarci sulle nostre forze al fine di risolvere i nostri problemi. Questa esigenza di una attività incrociata pone l’individuo a incoraggiare il cambiamento della natura nel senso favorevole alla sopravvivenza, allo sviluppo, al miglioramento della specie e si manifesta nel cuore del sistema dell’arte attraverso l'allargarsi dell’orizzonte dei linguaggi, come se l’arte fosse in attesa di una dimensione nuova che, per estensione, chiamiamo un’arte del tutto. Si può dunque affermare che il sistema dell’arte vuole presentarsi come un luogo senza confini. In fisica, a parte la Teoria del Caos, un’altra conoscenza si afferma ogni giorno di più: la teoria del multiuniverso. L’esistenza dei mondi paralleli favorisce una visione paradigmatica nuova, in quanto si suppone una possibilità di esistenza di altri universi. La categoria del possibilismo è diffusa nel mondo intero, in quanto le costanti non sono necessariamente parallele nel mondo e prendono dei valori differenti negli universi contigui. La pratica che tu Bernard metti in atto, cioè un mixage e un incrocio tra la robotica e la genetica, che ti permette di realizzare degli animaux-objet e degli oggetti biologici, mi sembra legata a queste possibilità nuove che permettono all’artista di ricercare un ambito differente tra i due campi. Pensi che questo si realizza nella tua opera?
Bernard Pourrière: Effettivamente anch’io penso in qualche modo all’esistenza dei mondi paralleli, ma anche che il nostro modo di pensare, la nostra logica, il nostro modo di agire, la nostra cultura ci trattengono dall’acquisirli. Restringono il nostro modo di vedere le cose. La scienza, nonostante i suoi progressi costanti, sviluppa le proprie teorie basandosi su un pensiero logico, sul ragionamento e solo molto di recente comincia a prendere in considerazione altri dati quali l’aleatorio e l’indeterminato. Anche a proposito del modo in cui il pensiero si è sviluppato nel tempo, questo mi sembra molto limitato e molto simile ad un pensiero unico; preferirei credere nella possibilità di un multipensiero. Precisamente riferendomi a diversi campi del sapere quali le nuove tecnologie, la robotica, la genetica, trovo interessante che questi possano incontrarsi, intrecciarsi, mischiarsi. È inevitabile e necessario un confronto dei progressi e dei diversi punti di vista. In quanto artista e creatore di forme plastiche non trovo niente in contrario nel lavorare su di un progetto a fianco di un biologo, un operatore della robotica, un informatico, né che questi personaggi possano rivendicare la stessa creazione da dividersi in parti uguali con l’artista. Certe mie installazioni che propongo restano aperte, non sono né fissate, né determinate, esse possono essere arricchite in ogni momento da dati che vengono ad influenzare l’evoluzione del pezzo. Questi multiuniversi, da te evocati nella tua domanda, mi fanno pensare inevitabilmente a dei multitempi, a tempi che si sovrappongono, che si penetrano a vicenda. Circa una decina di anni fa’, un cineasta aveva manifestato l’intenzione di utilizzare le nuove tecnologie per far rivivere Marilyn Monroe come attrice in un suo film. Avevo trovato in questo aneddoto un parallelo con il mio lavoro per quanto riguarda la temporalità (nei decoupages e nelle permutazioni delle sequenze sonore), in cui piazzavo quanto si trovava prima dopo et vice-versa, dove le sequenze ritagliate si trovavano disposte sullo stesso piano. Sulla rete tale fluidità spazio-temporale mi interroga.
E.P.: Puoi parlarmi della tua idea di choséification e di marchandisation della vita? Nel tuo lavoro fai spesso uso della categoria di decostruzione; che valore dai a questo tipo di linguaggio e di operatività?
B.P.: Con la manipolazione genetica l’uomo ha ormai acquisito il potere di accelerare l’evoluzione naturale delle specie, compresa la sua. Su certe specie vegetali ed animali egli crea ormai delle mutazioni più resistenti, più produttive. Il prossimo in lista potrebbe essere lo stesso essere umano. I mutanti rappresenteranno forse il prossimo stadio dell’evoluzione umana? Solamente il futuro potrà rispondere a tali domande che possono sembrare surreali (solo qualche anno fa’ tutto sembrava pura fanta-scienza). La trasformazione dell’essere vivente nel mondo della clonazione, dell’intelligenza artificiale e della robotica, ci mette di fronte ad un universo di mutanti ibridi, di artefatti, dove il corpo diviene oggetto. Potremo domani manipolare ed assemblare dei pezzi di un corpo senza preoccuparci della sua funzionalità, presentando il corpo fisico come mutante e clonabile. Questo apre delle possibilità di trasformazione delle membra in elementi modulari che faranno del corpo un oggetto che si possa riconfigurare a volontà e che sottolineerà il trionfo del corpo. Direi che il termine decostruzione mi imbarazza; per quanto mi riguarda userei piuttosto il termine frammentazione. Nelle mie colonne sonore si ritrova questo decoupage in frammenti. Questi frammenti sono isolati, possono funzionare indipendentemente, ma si associano ad altri per dei copia-incolla, oppure duplicandoli. Il frammento può diventare multiplo, accoppiarsi con altre specie. Può scindersi lui stesso come multiplo. Smontare in questo lavoro non può essere altro che la messa in piano di elementi che cercano di incastrarsi, che sono modulabili, che non sono fissi, che si trovano in estensione, che possono o meno raggrupparsi, che possono diluirsi, che possono cancellarsi, che non sono determinati. Queste operazioni mi permettono di manipolare a mio piacimento degli elementi che diventano materiali eterogenei.
E.P.: Nel 2005 nell’installazione Pensieri estetici tu esegui delle operazioni in cui crei un dispositivo che evidenzia la decostruzione delle immagini e dei suoni. Vorrei tanto sapere in che modo tu sviluppi questo gioco di interferenze, di combinazioni e di permutazioni che chiami sovrapposizioni.
B.P.: Parlando di sovrapposizioni, alludo principalmente al mezzo impiegato, cioè ad un software sonoro multipiste o un logicien di montaggio video elettronico, dove sia possibile sovrapporre diversi suoni ed immagini, che si possano lavorare in trasparenza, lasciando apparire uno o più sotto-strati. Utilizzo questo sistema di sovrapposizioni per trovare nuovi mixages ibridi. Per quanto riguarda il mio modo di procedere, questo si basa sul metodo e sulla constatazione dei dati scientifici che le sequenze dei canti di uccelli potevano ricordare della sintassi, essendo gli uccelli sensibili all’ordine delle sequenze nei canti. Per esempio, ritaglio un canto di uccello in diverse sequenza sonore, le mie sequenze vengono numerate, cerco per cominciare di assemblarle molto semplicemente mettendo insieme per esempio due cifre pari e una dispari, o due dispari, una pari e due dispari, e così via; ma molte cose verranno a perturbare queste combinazioni logiche. La materia sonora telecaricata sulla rete lascia spesso apparire delle imperfezioni sonore (rumori parassiti). Sono imperfezioni situate a caso sul canto che farò riapparire nelle mie sovrapposizioni, e ciò resterà completamente aleatorio. In Pensées esthétiques in parallelo a tutte queste operazioni, facevo un copia-incolla di diverse voci umane, in cui lasciavo rivelarsi delle briciole di frasi che mi fanno delle domande e che giocano con il ritmo del frasato. In uno dei pezzi presentati alla galleria Depardieu uso un altro procedimento, sempre a partire dalle sequenza dei canti di uccelli, ma questa volta diretti dal computer. Nella sala si ascolta una colonna sonora di canto di uccelli. La presenza di una persona su di un tappeto di sensori collegati al computer fa variare in maniera casuale il posizionamento delle sequenze del canto, creando altri frasati inattesi. La presenza di altre persone nella sala accelera il lavoro del computer rispetto a queste sequenze. Lo spostamento delle persone nella sala fa variare la frequenza e la tonalità del suono.
E.P.: In alcune esposizioni hai sostenuto la tesi della ricerca del corpo che ha perduto la sua materialità, che si è dissolta e dispersa nello spazio infinito della rete. Spiegaci come hai espresso questa idea all’interno di queste mostre.
B.P.: Contraddittoriamente al mio discorso sulla dissoluzione del corpo sulla rete, nel mio procedere mi fa piacere credere a un’altra presenza del corpo, un’altra lettura del corpo. Per curiosità ho voluto sapere se la rete mi avrebbe presentato una nuova definizione del corpo, ciò che l’elettronica nell’essere vivente lasciava apparire sotto forma di tracce (erano principalmente dei suoni che raccoglievo). Cercavo di capire se la presenza di un’entità qualunque si svelava. Ho lanciato dunque una ricerca su diversi server per più giorni e archiviavo in un dossier sul computer questa materia sonora, che si raccoglieva nel corso dei giorni, a mano a mano che gli incontri si susseguivano. Ciò creava delle entità sonore inattese. I suoni venivano appena ritoccati (velocità, durata, ripetizioni), mentre accentuavo la presenza di qualche imperfezione esistente. L’idea di un’assenza di materialità si svilupperà in questo accumulo di materie sonore, che posso considerare come degli organi intercambiabili. Questo corpo non ha più carne, non ha più sofferenza, non ha più difetti, al di fuori da ogni temporalità in una totale disincarnazione, proveniente da un non luogo, senza territorio, senza limiti da espandere. L’utilizzazione di molti walkman in questo lavoro (che diffondono dei suoni di respirazione, di battito del cuore, tutti provenienti da internet) va in questo senso, gli spettatori possono spostarsi nella sala con dei caschi, e ciò propone una seconda lettura che va ad interferire con una prima installazione sonora. Questi suoni, che ci raggiungono in maniera aleatoria, propongono altri punti di vista acustici sull’installazione, e ciò dipende dall'andirivieni dei visitatori che usano i walkman. Le persone possono prendere in prestito i walkman al di fuori dello spazio espositivo. La mostra non si limita alla sola galleria e propone l’idea di un’opera in espansione. Ciò non solo suggerisce lo spazio illimitato di internet, ma anche la nozione della mobilità, e ancora il cambiamento di percezione dell’opera in rapporto al corpo. Quest’assenza ci  rinvia a noi stessi, proponendoci una nuova lettura di un corpo i cui i limiti restano da definire in quanto respinge le frontiere di ciò che è esteriore ed interiore. L’attesa di un corpo altro, perché non chiamarlo un secondo corpo, ci lascia nell’incertezza del nostro corpo, nella sua presenza al mondo, nel suo confronto con l’altro. Tutto ciò ci riporta a ripensare e a riconsiderare la funzione del corpo rispetto all’opera e vice-versa, a riformare i nostri riferimenti, nei termini di azione, di concentrazione, di postura, di spostamento, d’investimento. Il tempo abita ormai lo spazio dell’opera interna. 

Testo a cura di Enrico Pedrini