L’arte moderna a caccia di pubblico A Venezia una gara sommersa fra fondazioni private, in palio c’è la Dogana
Fonte: La Nuova

Venezia e l’arte contemporanea, un amore difficile, nonostante la Biennale. Pur ospitando ogni due anni una delle rassegne più importanti del mondo nel campo delle arti visive, la città ha vissuto - soprattutto negli ultimi dieci anni - senza riuscire a fare sistema, un rapporto sofferto con le nuove forme di espressione artistica, ora riacceso dalla riapertura di Palazzo Grassi con la nuova gestione di François Pinault, inaugurata con la mostra Where are we going?, dedicata a una selezione delle opere di arte contemporanea della sua collezione, tra le più importanti del mondo. La risposta del pubblico è stata, finora, piuttosto tiepida - dopo il fuoco d’interesse iniziale - con una media di visitatori, che si sta attestando tra i mille e i millecento visitatori al giorno. Non pochi, in assoluto, ma certamente insoddisfacenti, se paragonati alle medie storiche di Palazzo Grassi, capaci - per le mostre di carattere archeologico - di sfiorare anche i quattromila visitatori al giorno. Il direttore artistico di Palazzo Grassi Jean-Jacques Aillagon, intervenendo oggi sulla questione su questo giornale, ricorda giustamente che sull’arte contemporanea si “rischiano” anche partecipazioni di pubblico minori rispetto a mostre legate a personalità entrate ormai nella storia dell’arte, ma non per questo si deve rinunciare a esporla e a proporla all’attenzione dell’opinione pubblica, e questo è ciò che la nuova gestione francese intende fare, valorizzando anche le scelte, in questo campo, del “padrone di casa”.
 Il problema, però, resta, e a testimoniarlo ci sono anche i numeri - nettamente inferiori a quelli di Palazzo Grassi, anche se supportati da un battage mediatico decisamente più modesto nel proporre gli eventi - di due pur belle mostre d’arte contemporanea in corso in laguna come quella dedicata alla collezione di Pontus Hulten, a Palazzo Franchetti e quella di Hans Arp e Sophie Taeuber, organizzata dal Comune al Museo Correr. Regge solo la Collezione Guggenheim, che per la grande mostra su Lucio Fontana ha visto affacciarsi quattromila visitatori nei primi due giorni di apertura. Ma quello della Guggenheim sembra un meccanismo ormai collaudato, visto che la raccolta americana rivaleggia annualmente nelle presenze con le Gallerie dell’Accademia - cioè il secondo museo italiano per la pittura antica dopo gli Uffizi - e vanta uno “zoccolo duro” di pubblico, che arriva in laguna anche da oltreoceano perfettamente informato delle sue iniziative espositive e desideroso di assistervi. Proprio il caso Guggenheim - che deve le sue fortune in laguna anche a un livello medio molto elevato delle sue mostre, che non trascurano mai di abbinare intelligentemente la qualità delle opere a un loro valore di riscoperta o di riproposta - introduce un’altro dei temi “caldi” legati all’arte contemporanea in laguna. La stessa Guggenheim doveva costituire a Venezia un suo museo d’arte contemporanea - d’intesa con il Comune e il Demanio, proprietario dell’area - alla Punta della Dogana. Ma il progetto fallì, prima di tutto per il tiepido entusiasmo della città, che indusse la fondazione statunitense a diverse strategie internazionali di ricollocazione e a un rafforzamento della sua sede attuale di Ca’ Venier dei Leoni. E se a un palazzo veneziano ora la Guggenheinm guarda con interesse, quello è piuttosto il vicino Ca’ Dario, se si raggiungerà il ventilato accordo con la famiglia Gardini - che non riesce a venderlo - per farne un centro espositivo dedicato alla grafica. Ora la Punta della Dogana è entrata anch’essa nell’orbita-Pinault, soprattutto per volontà del Comune, che non ha una propria strategia sull’arte contemporanea (e nemmeno fondi per supportarla) e che vuole fare del magnifico complesso seicentesco un polo dedicato proprio alle nuove espressioni artistiche, basato soprattutto sull’esposizione stabile e a rotazione di opere della sterminata collezione dell’imprenditore francese, che non può trovare sede a Palazzo Grassi, destinato solo alle mostre. Ma se esse registrano cifre non esaltanti sul piano delle presenze, che esito potrà dare un museo imperniato in permanenza su di esse, senza altre attività collaterali a vivificarlo e rinnovarlo? E’ questa la domanda che è lecito farsi - se non si pensa alla Punta della Dogana, ora dismessa, solo a un problema da risolvere trovando all’edificio una funzione - e che forse ha spinto altri a interessarsi alla gara per la gestione bandita del Comune e che sembrava destinata solo a Pinault. Una cordata di collezionisti italiani capitanata dal critico d’arte Philippe Daverio prima. E, ora, a quanto sembra, un’analoga iniziativa patrocinata dalla Regione. Ma oltre alle opere, bisognerà pensare anche a un pubblico per esse.

 

 

ENRICO TANTUCCI