Italia
Mario Paschetta

La verità della natura è una presenza nelle tele e nelle carte di Paschetta dall’inizio degli anni Novanta. Nel suo percorso pittorico l’ossessione della terra come luogo d’indagine ha da subito una valenza fortissima e già dai primi "Paesaggi" ancora molto figurativi s’intuisce il dissacrante procedimento della distruzione della forma mutuato da Morlotti.

Nel 1992 inizia uno studio approfondito sia dei materiali che del loro utilizzo, verranno così alla scoperta gli influssi che hanno avuto su di lui artisti come Burri, Crippa, Mattioli. Nell’estate del 1993 Mario Paschetta, autodidatta con un padre collezionista che fin da bambino lo portava negli ateliers dei suoi amici, decide di cambiare rotta e cominciare a dipingere. "Il fatto è che stavo partendo per il mare - dichiarava in una nostra intervista - Metto le valigie in macchina e saluto i muratori che lavorano lì vicino. All’improvviso mi sono accorto della forza dei materiali che stavano usando. E non sono più partito, ho riaperto lo studio ed è iniziata la mia nuova avventura". La sua tavolozza impara subito a giocare con la materia. I rossi, i bianchi gessosi e i neri corrugati in velature sovrapposte che nascondono stracci, cerniere, materiali vari di riciclo, sono la regola di quasi tutto il suo lavoro. Insieme ai verdi liquorosi degli stagni, talvolta ai blu, quasi allucinati. Acrilici mischiati a colle, malta e terre. Nascono da lì i suoi luoghi solitari con il terreno spaccato dall’arsura, fenditure longitudinali che suggeriscono i moti sussultori del pianeta. Le stoffe imbibite di colore si corrugano in forma di dune, colline, canaloni di montagna. Fioriscono lagune, paludi, pianure senza nome. La pittura si addensa in luci e ombre, asciugandosi si spalancano solchi e su tutto regna sovrano il silenzio. Contro il cielo plumbeo, quando non è del tutto nero, s’inerpica un albero sopravvissuto, specie di fantasma del mondo agli inizi. Ma quell’unico esempio di vita che sfida orgoglioso il vuoto dell’aria dice di una speranza dolce e profonda. Impossibile non riconoscere questa pittura come espressione del Terzo Millennio, luogo mentale della distruzione fisica del genere umano, ma uno sguardo più attento conduce in un’altra direzione. Per comprendere le lande desolate di Paschetta bisogna ancora una volta guardare a Cézanne. L’orizzonte abbassato che chiama in causa un cielo di volta in volta tempestoso o luminoso e carico di promesse ha a che fare con quella scoperta. La visione generale nella pittura di Paschetta è carica di tensione, di lampi di colore quasi a rinnovare il sodalizio con la natura di Cézanne, il quale mise fine all’Impressionismo e aprì la strada a una tensione nuova, quella per cui la tela diventa il palcoscenico di un mondo in divenire. 

Testo a cura di Anna Caterina Bellati