ITALIA - MICHELA PEDRON

Sulle ali dell’oritsuru

Un’antica leggenda giapponese racconta che chi riesce a piegare almeno mille gru di carta, secondo la tecnica degli origami, potrà vedere esauditi i desideri e le preghiere che ha nel cuore.
Non è infatti raro, mentre ci si aggira per i templi scintoisti disseminati su tutto il territorio giapponese, vedere ghirlande di gru colorate, sapientemente modellate in fogli di carta che, come il sussurro di una preghiera, vengono scosse dal vento davanti all’ingresso di un tempio.
La gru è tradizionalmente un animale legato al concetto di lunga vita e di dedizione, e sostanzialmente una figura apotropaica, fondamentale nella realtà scintoista.
Al mito delle mille gru è inoltre connesso uno dei più toccanti episodi della storia del Giappone post bellico, la vicenda di Sadako Sasami, una bambina che nel 1945 aveva due anni e viveva a Hiroshima, a circa un chilometro dal punto su cui venne sganciata la bomba, e rimase miracolosamente illesa. Crebbe, ma la bomba non aveva smesso di uccidere: nel febbraio del 1955, all'età di dodici anni, Sadako si ammalò di leucemia a causa degli effetti delle radiazioni.
Sadako nelle lunghe giornate in ospedale si dedicava a costruire piccoli origami raffiguranti ben auguranti gru. La mattina del 25 ottobre 1955 morì. Da quel giorno migliaia e migliaia di gru di carta, di tutte le dimensioni e di tutti i colori, prendono continuamente forma dalle mani dei bambini e di tutti gli abitanti di Hiroshima e vanno a costituire ghirlande, disegni, composizioni di ogni tipo che vengono utilizzate al posto dei fiori per onorare tutti i luoghi della memoria: una miriade di piccole gru che vengono spedite alla città di Hiroshima anche da tutto il mondo.
Per questo motivo l'origami della gru è stato elevato a simbolo di pace e fratellanza per tutti i popoli nel mondo.
Tutte queste suggestioni sono confluite nella grande installazione intitolata Big Oritsuru - gru in giapponese - realizzata dalla giovane artista Michela Pedron.
Nella sua visione, non mille gru ma una gru mille volte grande che porta sul becco un segno indelebile, il sangue dell’artista, e che assume un valore profondamente sacrale e sancisce il suo legame, come un ponte, tra l’occidente e l’oriente.
Ci troviamo di fronte ad un’opera che presenta evidenti aspetti di ibridazione culturale, il riferimento al mito scintoista della gru si fonde con l’idea, presente nella dottrina cristiana ma desunta da una tradizione antropologica comune non solo alle culture del mediterraneo ma alla totalità del genere umano, che il sangue sia il più efficace dono sacrificale.
L’azione di mediazione culturale viene attuata dalla rinuncia metaforica dell’aspetto cruento che risiede nei significati allegorici propri del sangue, fondendolo, non solo fisicamente, con la figura della gru, simbolo di vita e speranza, che rientra nella concezione di armonia del tao. La gru però, portando sul becco il segno tangibile e fisico della presenza dell’artista - il suo dono – diviene anche l’intermediario per raggiungere la divinità e, al tempo stesso, sottintende un messaggio di cambiamento.
 

 

Testo a cura di Igor Zanti