Un'arcipelago di padiglioni 'extra moenia'
Fonte: VENEZIA NEWS

La Biennale di Venezia non è più un "hortus conclusus" dove i Giardini e l'Arsenale segnano i confini dell'arte contemporanea, ma è un arcipelago in continua espansione sulle acque della laguna veneziana. Questa necessità di sfondare i limiti topografici delle aree canoniche, dettata essenzialmente dalla crescita esponenziale di nuove partecipazioni presentate da Arte Communications, diviene metafora del comune desiderio di raggiungere una dimensione cosmica parallela alla tanto anelata visione a 360 gradi dell'arte contemporanea. All'origine di questa tendenza, che ad oggi vede 69 partecipazioni esterne, vi è la mostra 'Quartetto' organizzata da Paolo De Grandis nel 1984 parallelamente alla XLI Biennale presso la Scuola Grande S. Giovanni Evangelista. L’esposizione fu consacrata ufficialmente dai critici Achille Bonito Oliva, Alanna Heiss e Kaspar Koenig, testimoni di un importante confronto tra quattro artisti: Joseph Beuys, Enzo Cucchi, Bruce Nauman e Luciano Fabro. La proliferazione di padiglioni cosiddetti "extra moenia", è stata guidata da Arte Communications che, dal 1995 ad oggi ha rinforzato le linee della kermesse veneziana aprendo le frontiere all'Oriente e a quelle realtà geografiche considerate deboli rispetto al circuito internazionale dell'arte contemporanea come Singapore, Indonesia, Iran, Lettonia, Estonia fino ad arrivare all'odierna prima partecipazione del Marocco. Tra le tante letture possibili del varo del Marocco alla Biennale, c'è il variare della sensibilità nell'immaginare luoghi mitici, mondi culturalmente lontani, ma c'è soprattutto il filo delle collaborazioni internazionali avviate da Paolo De Grandis in occasione di OPEN Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni che si tiene a Venezia Lido parallelamente al Festival del Cinema e che è divenuto negli anni un trampolino di lancio per le nuove presenze alla Biennale. All'interno delle sacrali mura della Chiesa di S. Maria della Pietà, gli affreschi del Tiepolo dialogano con le tele di Fouad Bellamine, Mohamed Bennani MOA e Fathiya Tahiri. Ed è l'elemento della tradizione culturale, reinventato, capovolto o recuperato, a ripetersi con insistenza, rifuggendo banali esotismi o localismi per aprirsi a contaminazioni ed esperimenti di linguaggio.

In arte non si abbattono solo le barriere territoriali ma anche quelle sociali. Come Perseo liberò dalle catene Andromaca, così Bita Fayyazi e Mandana Moghaddam spezzano le catene dell'isolamento femminile dalla scena artistica, facendosi portabandiera del padiglione dell'Iran. La persistenza di mitografie ed il recupero di antichi testi iraniani sono i segni di un'essenza comune, elementi che, nella loro 'simpatia simbolica', divengono mezzi di identità interculturale per affermare la forza della donna che sostiene e rigenera il mondo. Su un altro versante, ma concettualmente affine, è il progetto presentato da Mark Raidpere per il padiglione dell'Estonia a Palazzo Malipiero. Mescolando fotografia e video, "Isolator" è una zona di confine dove l'alienazione, sia essa legata a questioni sociali come l'omosessualità o ad evocative situazioni familiari, si fonde con la perversione estetica e la fascinazione dei contenuti provocatori. Una terra di nessuno in cui l'occhio fotografico dell'artista si aggira e seleziona istantanee estreme, brandelli di un'umanità inerte e disperata che si ergono a metafora di una condizione esistenziale a confronto con i dettami della società borghese estone. All'interno dello stesso Palazzo la Lettonia presenta il gruppo F5. Nel progetto "Dark Bulb" c'è la storia di Aristotele Operandi, il fantomatico inventore della lampadina emanante luce nera. Un racconto d'evasione per lasciarsi avvolgere dall'oscurità delle atmosfere inusuali. Ed è con questo piacere della scoperta, tra i tessuti cerebrali della mente umana, che si può visitare un percorso ai limiti della visionarietà occidentale in cui si mescolano conoscenze storiche e gusto della bizzarria.

Altra isola di questo vasto arcipelago è l'Indonesia, rappresentata quest'anno da quattro artisti: Entang Wiharso, Noor Ibrahim, Yani Mariani Sastranegara e Krisna Murti. La loro arte abdica la narrazione e si fa trama sfilacciata di 'sottosensi' resi espliciti da scelte espressive che reinterpretano gli stilemi, volutamente grezzi, della visualità indonesiana: dalla natura rigogliosa fino al mare, amico ed ostile, furor estatico che fende il paesaggio, separa uomini e cose. Nel padiglione si sente l'eco distorto del profondo sentimento di riscatto.

In questa Venezia, crocevia di culture ed idee, ci sarà un leone di meno? Forse... Al padiglione di Singapore, Tzay Chuen, Lim, l'irriverente jongleur di paradossi, appassionato e ironico abilissimo di ogni contraddizione, narra la storia del fantomatico ratto del Leone di Singapore: il Merlion. E, nell'ideale traslazione del mitico simbolo, che unisce Venezia a Singapore, il progetto evolve, in bilico tra assenza e presenza, nel gioco beffardo che confonde le attese dello spettatore.

Carlotta Scarpa