Svizzera
Heinz Aeschlimann
“Come ingegnere, ho un rapporto molto stretto con l'ambiente che vivo in uno stato di continua conflittualità e tensione tra resistenza ed armonia, natura, tecnologia e umanità. L’espressione artistica di queste componenti ed emozioni é la mia vera passione e la loro trasformazione in energia creativa è il mezzo con cui riesco a sfuggire al peso della vita quotidiana.”
AEH
Heinz Aeschlimann / 1947, Svizzera
Le piramidi sono una vera e propria impronta dell’antica civiltà egizia. L’area della loro base é ricavata da un preciso rapporto matematico in base alla loro altezza in modo da costituire un’opera architettonica di straordinaria armonia. Per la prima volta nella storia, Heinz Aeschlimann ha riprodotto queste enormi sculture ricavandole dall’asfalto fuso. L’asfalto fuso serve normalmente come manto di rivestimento del fondo stradale. Grazie ad una nuova formula speciale e all'aggiunta di additivi e stabilizzatori Aeschlimann é riuscito a realizzare un tipo di asfalto fuso eccezionalmente idoneo anche a pareti e strutture verticali. In questo modo si é riusciti a realizzare per la primissima volta grandi opere scultoree anche in questo particolarissimo tipo di materiale. L’asfalto é uno dei materiali più antichi nella storia dell’uomo. Già i romani e i babilonesi lo utilizzavano per colmare fughe stradali nonché per l'impermeabilizzazione dei loro famosissimi giardini pensili. Da allora, l’asfalto é stato utilizzato anche come mezzo per la realizzazione di opere scultoree. Le piramidi di Aeschlimann conferiscono un grande senso di sicurezza e pace. L’asfalto fuso si sposa in modo molto estetico ed affascinante agli inserti di pannelli di vetro producendo a seconda dell'intensità e dell’incidenza dei raggi solari riflessi meravigliosi ed effetti spettacolari. L’effetto scultoreo dell’opera si traduce poi in vari ed incredibili effetti ottici a seconda dell'ora del giorno (giorno o notte) e delle condizioni atmosferiche (pioggia o secco).
Heinz Aeschlimann abbozza e realizza le proprie opere in tempi rapidissimi. L’esperienza concreta, l’azione e il fascino del materiale sono gli elementi ispiratori di ogni scultura da cui derivano anche la stessa molteplicità delle sue forme espressive e le sue sperimentazioni con i più svariati materiali, sempre al limite del possibile e alla ricerca di straordinarie armonie tra i materiali più diversi. Le sue precedenti sculture di acciaio, frutto di una eccezionale simbiosi tra forma e profonda conoscenza dei materiali, si muovono all’interno di un vibrante rapporto estetico tra monumentalità e soluzioni giocose. Come un temporale futuristico, si pongono in contrasto fulminante con l'architettura della nostra corte. Dal 1970 Heinz Aeschlimann ha creato una vasta gamma di produzioni a partire da piccoli oggetti fino a grosse sculture di svariate tonnellate di peso ideali per l’arredo di parchi scultorei e collezioni. L’artista è stato ripetutamente ospite di mostre negli USA, in Europa e in Asia con il patrocinio di enti molto noti ed importanti. Attualmente vive e lavora a Zofingen, in Svizzera, a Stansstad e Mt. Ceneri.
Curatore Art - St- Urban
Con il sostegno di Art - St - Urban, Aeschliman
Con il patrocinio dell'Ambasciata di Svizzera in Italia
Lussemburgo
Florence Hoffmann
"Galleggiando"
Sei boe salvagente galleggiano sull'acqua in balia delle onde.
Una boa dall’aspetto normale sta accanto ad altre cinque boe le cui forme sono cambiate: i segni delle cinque maggiori religioni praticate nel mondo sono integrati in queste ultime, trasformandone il volume e conferendo loro una simbologia evidente.
Mosse a piacimento dalle correnti d'acqua, cambiando continuamente posizione, queste boe – che simboleggiano ciascuna il cristianesimo, il giudaismo, il buddismo, l'induismo e l'agnosticismo - non costituirebbero ognuna una boa salvagente individuale che mantiene in vita o alla quale uno s’aggrappa disperatamente, oppure si tratterebbe qui, al contrario, di residui risaliti alla superficie dell'acqua, provenenti da relitti affondati, navi desuete gettate nella tempesta ricorrente delle fedi e delle non-fedi che regolarmente assalgono il mondo ?
Curatore / Testo a cura di Florence Hoffmann
Con il sostegno di Ministry of Culture, Fonds Culturel National, Ministry of Foreign Affair, Luxembourg, EDITPRESS Groupe Luxembourg
Con il Patrocino dell'Ambasciata del Lussemburgo
Finnish Academy of Fine Arts
Sampo Malin
"Mi affascinano sfere, confini e volumi del reale e dell’irreale, le loro interfacce. Gli opposti concettuali peso/assenza di peso, visibile/invisibile e tangibile/intangibile, ma anche il momento in cui si trasformano nel loro opposto, sono anch’essi un aspetto importante della mia opera", afferma Sampo Malin (nato nel 1977) parlando dell’essenza del suo lavoro. Le sculture di Malin sono generalmente rifinite con estrema cura, ma come artista potrebbe definirsi uno scultore di concetti anziché di materia, poiché richiama la nostra attenzione sui confini mentali indefiniti dello stesso spettatore, colui che vive l’esperienza, ponendoli in contrapposizione con le dimensioni fisiche dell’opera. Il tema della delineazione entra dunque anche nel campo di esplorazione dell’interno e dell’esterno dell’opera e del confine tra percettibilità e impercettibilità, costringendo lo spettatore a interrogarsi sulle percezioni eventualmente utilizzabili per definire ciò che si vede. Malin mette in discussione la forma delle sue opere smaterializzandone le dimensioni. La luce generata, concentrata o riflessa in modi diversi, astraendo l’opera in virtù del suo essere una traccia immateriale, è un elemento essenziale di molti suoi lavori. Egoes (2007), l’opera in due parti per la decima edizione di OPEN, sottolinea anche l’ambiguità dei confini intrinseci dell’opera attraverso l’alternanza della luce tra giorno e notte. La luce che emana dall’interno spezza inoltre l’anatomia e la chiarezza dell’opera stessa, rendendo il momento della percezione e l’impatto dell’opera su ciò che la circonda più importante dell’oggetto fisico in sé.
Curatore Pilvi Kalhama
Presentato da Finnish Academy of Fine Arts
Con il Patrocinio dell'Ambasciata di Finlandia in Italia
Si ringrazia Marianna Uutinen
Italia
B.zarro
LA FERITA ROSSA (E GIALLA)
Una stella, una falce, un martello, la firma B.zarro e una Rolls Royce: strani connubi che in tempi sospetti avrebbero creato scompiglio ideologico e delirio politico. Il presente postcomunista permette, al contrario, riflessioni stridenti che diventano forma “colpevole” ma giustificabile, ferita dissacrante per stimolare nuove chiarezze etiche e una vitalità creativa senza vincoli ideologici. La Rolls Royce si tramuta in macchia rossa e lascia galleggiare quei simboli gialli sulla geografia di elegante lamiera old style. Il colore esplode nel suo status di bandiera nomade che attraversa confini e barriere. I simboli tatuano l’aspetto esterno della macchina, ne divengono il passaporto ma anche la miccia catartica, il cortocircuito definitivo che dona vigore scultoreo al feticcio in perfetto stato stradale. L’automobile inglese per eccellenza, simbolo di un tenace lusso conservatore, viene ribaltata dal modello postdadaista di B.zarro, artista che ci ha abituato ad altre rielaborazioni etiche di oggetti imponenti del nostro quotidiano. I tre simboli del comunismo (russo da una parte, cinese dall’altra) mantengono vivo il loro messaggio ferocemente utopico, spiccando sul rosso come pietre miliari di un marxismo/maoiosmo che ha stravolto i destini del mondo intero. Ma non vogliono riaffermare le ragioni di un’ideologia impraticabile, al contrario usano la provocazione per riazzerare il nostro sguardo sulla volgarità del mondo odierno. La Rolls Royce viaggia sulle proprie ruote, occupando gli spazi come una scultura senza terra e senza patria. L’asfalto è il suo museo, il cielo la sua luce, i passanti i suoi spettatori illustri. Sbuca come un moloch del postcolonialismo, del postfordismo, del postcomunismo e di tanti “post” del nostro mondo. Riporta l’occhio oltre il pop, oltre il feticcio, oltre la citazione. E ci rimanda a quel grado zero da cui inserire finalmente la prima…
Curatore Gianluca Marziani
Con il sostegno di GIALLO QUARANTA CLUB, Roma
Courtesy of 155 - Art of this Century Gallery
Francia
Ariane Michel
Il potere unificante del mare…
In riva al mare o in un bosco, gli incontri fortuiti con animali, siano essi mansueti o selvatici, non sono del tutto inaspettati. Ma imbattersi in creature mitologiche come sirene o centauri significa veramente mettere alla prova il proprio senso della realtà. In maniera singolare e lirica, Ariane Michel evoca questi magici incontri. Michel è una giovane artista della quale ho seguito il lavoro con particolare interesse. Pur proseguendo la sua attività di talentuosa regista in ambito convenzionale, Michel ha iniziato a realizzare ambiziose installazioni artistico-cinematografiche in cui l’ambientazione del pezzo svolge un ruolo creativo essenziale. Michel proietta i suoi film in luoghi inusuali come un bosco selvatico in Svizzera o l’iconica Place de la Concorde, nel cuore di Parigi. Abbinando i luoghi scelti per le sue proiezioni alle ambientazioni filmate, Michel stabilisce un legame ingannevolmente semplice, eppure palpabile, tra il mondo naturale e quello cinematografico. Riflettendo l’ambientazione degli stessi film, i teatri all’aperto di Michel creano un connubio tra realtà e finzione, associazione esemplarmente incarnata dal suo “The Screening”, straordinario film proiettato di notte in un bosco di Basilea, ma anche dal suo “On the earth”, sbalorditiva rappresentazione della tranquilla vita selvatica sulle rive artiche, proiettata sulla spiaggia del Lido a Venezia. Stimolando sottilmente l’inconscio dello spettatore, tali incontri, siano essi arborei o semi-acquatici, sono ciò che trasforma la realtà in mitologia. “On the earth” documenta la vita dei trichechi nell’oscuro paesaggio groenlandese analizzando i momenti tranquilli della loro vita naturale mentre spostano lentamente i loro corpi voluminosi, respirano, russano e giacciono immobili, come i massi che li circondano. Man mano che la telecamera passa da panoramiche grandangolari a primi piani dei loro corpi arrotondati, le grandi pieghe rugose della loro pelle riflettono l’ambiente circostante, il loro pelo irsuto riecheggia la dura vegetazione nordica. Ciò che più colpisce delle creature rappresentate non sono né la loro massa né le loro dimensioni imponenti, bensì la tenerezza con cui interagiscono. Dormendo fianco a fianco come vecchie coppie, paiono indisturbati dalla nave aliena che passa nelle immediate vicinanze, arguto richiamo al fatto che nessun ambiente è inviolato quanto potrebbe sembrare.
“On the earth” ha stato recentemente proiettato in diversi cinema al coperto e gallerie convenzionali. Presentato ora sulla spiaggia del Lido per la 10a Esposizione Internazionale di Sculture e Installazioni OPEN2OO7, parallelamente all’edizione 2007 del Festival internazionale del cinema di Venezia, l’opera richiamerà pubblico sia del mondo cinematografico che di quello artistico. Nella proiezione all’aperto del lavoro “On the earth” di Michel, i suoni e le immagini in movimento del film gradualmente diventano tutt’uno con l’ambientazione naturale. Gli spettatori sdraiati sulla sabbia inconsciamente mimano i trichechi addormentati, creando in ultima analisi una fusione sorprendente tra animali marini e umani, non diversa da quella delle sirene immaginarie del passato. I richiami degli uccelli, il suono delle onde che lambiscono la riva e i quieti versi delle creature imponenti presto circondano lo spettatore da ogni parte in un ambiente disorientante in cui finzione e realtà si ricongiungono.
Ariane Michel (nata a Parigi, Francia, nel 1973), artista che opera principalmente in ambito cinematografico, ha partecipato a mostre personali e collettive internazionali tra cui Art Basel 38 (2007) e The Moving Image Biennale (2005).
Curatore Alanna Heiss
Con il Patrocinio di Jousse Enterprise Gallery, Paris / Love Streams agnès b. Productions
Courtesy of the Artist and Jousse Enterprise Gallery, Paris