Italia - Casagrande & Recalcati
La pittura di Sandra Casagrande e Roberto Recalcati ha sottili assonanze con il linguaggio del cinema. Il fattore tempo subisce una misteriosa contrazione: come in una sequenza filmica estremamente rallentata, i petali di un peonia sembrano dispiegarsi lentamente per permettere di cogliere la sensuale materia della pittura a olio mentre descrive la superficie cremosa e come di raso del fiore, lo snodarsi graduale dei petali dal centro della corolla verso l’esterno. Con la stessa fissità leggermente ipnotica, Casagrande e Recalcati descrivono i dettagli di una gemma incisa, di un animale mitologico, di un frutto o una serie di frutti, snodano uno stesso soggetto in una serie di fotogrammi non identici fino a ottenere complessi cicli decorativi che hanno l’impatto di un’inquietante sala degli specchi, in cui veramente il tempo sembra raggiungere una stasi. Sapienti accorgimenti formali sostengono questo effetto: il punto di vista leggermente ravvicinato rende più ipnotica la descrizione dei dettagli; l’oggetto è ritagliato dallo sfondo, con un risultato che, dalla pittura di icone ai manifesti di cinema alla pubblicità all’arte Pop, è quello di concentrare l’attenzione, rendendo l’oggetto stesso (fiore, vaso, gioiello, animale) una presenza enigmatica e assoluta, come i simboli che appaiono nei sogni.
E, proprio come nei sogni (o come in un ben riuscito thriller classico), la sensazione ultima è di mistero, tanto più provocante perché viene da questa singolare esaltazione del visibile: tanto più tutto sembra spiegato, narrato, magnificato come sotto la lente di un investigatore, tanto più il significato finale di quello che stiamo vedendo ci elude, rimane remoto, inafferrabile.
Testo a cura di
Gloria Vallese
Italia - Antonella Barina
Un circolo di giovani palme piantate in occasione di OPEN 14 viene a costituire un’architettura vegetale protetta e proteggente dedicata alla meditazione e alla recitazione poetica.
Al centro, un comodo e basso sedile di recupero con invitante cuscino.
Il segno sotto cui questa scultura vivente viene posta in essere è il rituale amico e cultuale del piantare un giardino, un giardino nel quale accogliere. Il primo gesto di amicizia è verso la pianta stessa, la palma, oggi a volte tenuta in spregio a causa della sua sorpassata fortuna come elemento esotico ornamentale dei giardini otto-novecenteschi. Senza contare che, a seguito della tropicalizzazione del clima, la palma si sta diffondendo rapidamente ovunque nel mondo a scapito di specie meno adattabili, col risultato che la specie umana le ha appioppato il cattivo nome di “infestante”: secondo l’artista è opportuno riflettere su questa definizione, ad indicare un principio di selezione opportunista e razzista, applicabile purtroppo ad altre specie e categorie, anche all’interno della comunità umana, e accogliere invece seriamente il segnale non equivoco sul cambiamento climatico che il proliferare delle palme ci invia.
Con la crescita queste palme, nate da semi di altre palme presenti nel giardino di Antonella Barina, studiosa, artista ed eclettica intellettuale a Venezia, potranno costituire un tempietto vegetale circolare colonnato ispirato a quello di Athena Pronaia, “guardiana del tempio”, a Delfi, del IV secolo a.C.; la stessa dea è nota anche come Athena Eileithyia, in relazione al suo ruolo nel processo di fertilità, e come Zosteria, “che assiste le donne nel parto”.
Testo a cura di
Gloria Vallese
Italia - Alex Angi
Turbo Jungle – NATURALE Rinascimento
La materia è forma e, come tale, è vita e per Angi è sinonimo di speranza e di comunicazione.
Angi usa la materia del suo tempo, la plastica, per dare una seconda possibilità all’uomo, per fargli comprendere che deve ritornare ad essere protagonista assoluto della scena utilizzando materiali e tecniche del suo tempo. Solo il progresso scientifico può condurci ad un nuovo inizio, ad un “Naturale Rinascimento”.
Le giungle di plastica di Angi si sviluppano nello spazio esplodendo in esso come un virus; la contaminazione ambientale è fondamentale nella sua Arte. È una sorta di scienziato pazzo in grado di trasformare le scorie, di rinnovarle dando loro nuova vita… dove cammina nascono i fiori.
La sua materia è poesia, gemme di plastica che fuoriescono dalla crosta terrestre in un tripudio di colori e filamenti, contaminando di ottimismo l’uomo e il suo mondo.
Materiali frutto di studi chimici che si confondono ed interagiscono con la Natura, filamenti diversi aggrovigliati in modo apparentemente confuso e casuale come i pensieri e i percorsi di vita, che ritornano periodicamente su se stessi per poi prendere nuove direzioni e sbocciare in qualcosa di imprevisto e, in quanto tale, magnifico, stimolante, unico.
Testo a cura di
Serena Mormino
Iran - Mahdiyar Arab
Sin dalla tenera età di 3 anni, Mahdiyar ha dimostrato grande creatività nel realizzare forme di animali e creature nate dalla sua fantasia senza alcun tipo di suggerimento utilizzando carta e successivamente argilla su indicazione dei suoi genitori, stupiti dopo qualche mese dall’eccezionale talento, opere che peraltro creava in brevissimo tempo – da tre a cinque minuti – senza alcuno strumento o insegnamento. Approfondendo e studiando le sue capacità e le sue creazioni all’età di 5 anni, gli psicologi hanno riscontrato che in quel momento aveva il talento e le capacità di un tredicenne con un quoziente di intelligenza pari a 148. La sua creatività e la sua notevole capacità erano dovute a una straordinaria rapidità di calcolo e risposta mentale che gli consentiva nello spazio di qualche secondo di completare il processo di osservazione, registrazione e analisi. Va altresì sottolineato che il talento di questo giovane artista consiste nel fatto che è in grado di creare le sue statue fantasiose senza guardare le proprie mani in un lasso di tempo incredibilmente breve, il che ha stupito molti artisti e critici iraniani e non.
Dal punto di vista dello stile, Mahdiyar si ispira a un realismo assoluto utilizzando materiali solidi, per cui non realizza vari componenti da assemblare, bensì inizia dalla testa e procede sino ai piedi in un unico blocco.
Esimi artisti iraniani quali il maestro Pedarami, il maestro Moghdam, il maestro Kafshchian, il maestro Espahbodi, il maestro Akbari, il maestro Nasehi, il maestro Mousavi Zade e altri di diverse nazioni si sono interrogati sul talento di Mahdiyar.
Mahdiyar ha realizzato 23 quadri e 30 statue: il quadro del maestro Farshchiyan Ashora trasformato in statua e figura; il quadro di Ghadir presentato in circostanze speciali alla presenza di rappresentanti dei mezzi di comunicazione e un gruppo di artisti e autorità a una mostra presso il palazzo di Niavaran; le restanti opere riguardano principalmente l’ambiente in cui vive e la vita selvatica.
Testo a cura
dei genitori dell’artista
Greece - Maria Kompatsiari
Usando la rappresentazione come punto di partenza, l’artista è passata per una sperimentazione e una ricerca personale sul colore e la tecnica che l’hanno portata alla costruzione di un linguaggio visivo astratto.
I suoi paesaggi astratti sono processi mentali e spirituali che contengono fughe e situazioni esistenziali aperte a molteplici letture. Il suo linguaggio visivo è caratterizzato da un vocabolario individuale tenero, eppure violento, tenero nel modo in cui si accosta al tema scelto, violento nei contrasti di colore estremi. Attraverso i suoi viaggi, le sue avventure di materia e forma, attraverso il suo incessante processo di ricerca personale, l’artista punta a una confessione visiva che sia, in ultima analisi, consolatoria.
Nell’opera creata per OPEN 14, l’artista invade lo spazio pubblico esterno spezzando i confini della sua pittura illusoria bidimensionale con la stessa eloquenza, utilizzando le componenti strutturali principali del suo linguaggio visivo: giustapposizioni dinamiche tra la linearità del disegno e l’intensità esplosiva del colore, fratture, inversioni, tracce, scritture, propagazioni di ritmo e forma, configurazioni cimose e sinuose che l’artista dipana attraverso la manipolazione illusoria della superficie della tela trasponendo magistralmente tale manipolazione dello spazio e del tempo nelle tre dimensioni e stimolando lo spettatore a molteplici letture. Il cubo e le sue espansioni, costruite in maniera che si racchiudano l’una nell’altra, diventano simboli, veicoli di esperienza e percezione spaziale, incorporando i concetti di eliminazione e viaggio, recando con sé il simbolismo carico di un volo, una fuga, un sogno diurno casuale. Grazie alla costruzione esterna in legno, quasi un guscio, la struttura di base del cubo avvolge i dipinti inscatolati nella forma chiusa di una miniatura sui generis di una galleria immaginaria proponendo un commento ironico sulla molteplicità, lo spazio, il sogno, il confine, la distanza, l’intimità, la rottura, la densità, il vuoto, il silenzio, l’immobilità, l’esplosione, vale a dire, in ultima analisi, sull’immagine anestetizzata dello spazio, il punto in cui il conscio incontra il vago.
Testo a cura di
Maria Kenanidou