Venezia Arte Contemporanea e Spazi Espositivi
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Aldo Spinelli

 

Aldo Spinelli

Italia • Italy

La mitologia e la storia hanno, sin dai tempi antichi, affrontato il tema del Labirinto. Il mito di Dedalo e del Labirinto di Creta per il re Minosse; testimonianze religiose nelle cattedrali gotiche ove nei “Cammini di Gerusalemme” era impossibile perdersi, esistendo un’unica via percorribile per arrivare al centro, perché la vita iniziatica è una sola, ma sufficiente per arrivare al centro del nostro essere, per trovare equilibrio e dare un significato alla nostra esistenza.

Esistono molteplici forme labirintiche, lineari o ramificate; percorsi centrifughi e centripeti, unicursali e multicursali... ogni percorso non è fine a se stesso, non è un banale districarsi tra rami e bivi, ma una vera ricerca di sé; non importa quanto tempo impieghiamo a camminare, quanto sforzo fisico dedichiamo, l’unico vero obiettivo è quello di effettuare un percorso di crescita, di scelta, di comprensione delle opportunità che vogliamo cogliere per arrivare a comprendere chi realmente siamo e dove vogliamo condurre il nostro Io.

Spinelli nel 1972 dedica la sua Arte a tale percorso iniziatico, circoscrivendo le lettere della stessa parola Labirinto per crearne una nuova forma, come a trovare la vera chiave di lettura di questo mito; come se il labirinto fosse alla ricerca di se stesso, ancora prima di sottoporsi agli altri. Spinelli fa suo questo concetto e lo dedica al genere umano, ma anche ad ogni singolo individuo... perché la vita di ognuno di noi, se osservata dall’alto, in fondo non è altro che un percorso iniziatico strettamente personale, tanto che ogni individuo ha un “suo” labirinto, artisticamente sintetizzato con la circoscrizione delle lettere che formano il nostro nome, perché ognuno ha un destino, la differenza sta nell’avere il coraggio di compiere delle scelte, talvolta di tornare indietro, per poi proseguire con maggiore consapevolezza, fino a centrare la vita e scoprire la propria essenza.

La tecnologia moderna, definirebbe il Labirinto edito con nome e cognome come un QR code che virtualmente conduce lo spettatore alla biografia del soggetto “sintetizzato”... ma la differenza è che non esiste App per leggere a priori la nostra vita e quale sia il percorso ottimale...

Serena Mormino, Curatrice

 

 

Arianna Spada

 

Arianna Spada

Italia • Italy

L’opera di Arianna Spada è un invito alla trascendenza. L’artista ha creato uno spazio dove la tensione dialettica tra conoscente e conosciuto drammatizza la concezione dell’Essere. Il visitatore è portato ad abbandonare per un momento la propria quotidianità estraniandosi dal mondo per indagare l’autenticità della propria esistenza.

Entrando nella cabina creata dall’artista, la persona si libera dalla dimensione spazio-temporale in cui si trova normalmente: l’Essere si svincola così dalla sua condizione di “essere gettato nel mondo”, aprendosi alla possibilità di auto-progettarsi e quindi, esponendosi alla possibilità di realizzarsi o di perdersi. L’opera è in aperto confronto con l’indagine che Heidegger inizia sul senso dell’Essere in Essere e tempo.

Spostando la dissertazione sul piano dell’installazione artistica, Spada cerca una risoluzione al problema della verità dell’Essere. Modifica il linguaggio - risultato limitante per il filosofo, tanto da preferirgli l’incompiutezza del suo saggio - e parte dal suo traguardo provvisorio, ossia l’interpretazione del tempo come orizzonte possibile di ogni comprensione dell’essere in generale. Il tempo viene inteso così come la modalità dell’Esserci nell’Essere, è il modo attraverso cui l’Esserci conosce il mondo e sceglie di esistere nel mondo.

L’invito dunque che Spada rivolge al visitatore è quello di prendersi il proprio tempo per capire chi si è e chi si vorrebbe essere, questa è la Cura, la totalità delle strutture dell’Esserci. La riflessione circolare che viaggia tra passato, presente e futuro si riflette nell’apertura della cabina, unica fonte di luce, simbolo del lumen naturale che permette alla persona di esperire la Lichtung, la schiarita, illuminando la rivelazione dell’Essere.

Amalia Nangeroni, Curatrice 

Marco Nereo Rotelli

 

Marco Nereo Rotelli

Italia • Italy

“OPEN ha scandito gli ultimi anni della mia ricerca.” Così Marco Nereo Rotelli, vincitore del Premio Speciale alla carriera nell’ambito di OPEN presenta la sua prossima installazione luminosa che, per l’appunto, inaugurerà la diciottesima edizione di questa importante manifestazione veneziana che ha avuto il pregio di portare la scultura in una città che ci appare essa stessa come una magica scultura.

Rotelli, che è artista veneziano, prende alla lettera questa asserzione ed illuminerà l’edificio più rappresentativo della Venezia moderna, il Molino Stucky, oggi Hotel Hilton. Chiamando a sé le arti che gli sono più vicine, la poesia e la musica, darà luce, durante il Festival del Cinema, al suo personale “film” delle arti, componendo e scomponendo differenti saperi.

Harald Szeemann definì l’opera di Rotelli un “ampliamento del contesto artistico”, che nel caso specifico declinerei in “illuminazione della mente”, perché la sua luce trasforma la notte in un giorno magico, non governato dalle leggi del potere e della ragione, ma dallo stupore, dalla magia, dall’emozione.

Illuminando il Molino Stucky egli proietterà un meraviglioso verso di Ezra Pound, del quale tra l’altro ricorre quest’anno il 130° anniversario.

“Will I ever see the Giudecca again? or the light against it, [...]” CANTO LXXXIII, Canti Pisani

Rotelli fa di questo riverbero un rovesciamento della tautologia che spesso chiude l’arte nell’arte: crea dall’architettura un concetto aperto (OPEN!!), in espansione, e coglie nel riverbero un irraggiarsi verso l’altrove. Nel far ciò invita poeti e musicisti e ricrea una festa.

Viva Venezia, la città non città dove tutto sembra finzione ed invece è tutto verissimo!

Manon Comerio, Curatrice

Ri.Co

 

Ri.Co.

Italia • Italy

Stucky 9 si qualifica come una tappa di un “viaggio” cominciato a Firenze nell’agosto del 2011, quando i muri della città diventano i soggetti di partenza di questo mio lungo e articolato percorso dai perimetri sfaccettati.

Ad ogni stagione il viaggio raggiunge una nuova città e i suoi muri, dopo Firenze Venezia, Burano, Roma e poi Londra ...Lille... per giungere nell’ultimo viaggio a Pechino e l’enigmatica Città Proibita custodita al suo centro, dove i misteri di una città isolata da sempre al resto del mondo rivela le sue emozionanti storie materiche e cromatiche.

Nei miei scatti - che costituiscono una collezione di opere su tela di grande formato e in edizioni limitate - il codice 9 contiene tutte le geometrie compositive e simboliche.

Il mio lavoro racconta storie, catturate da un obiettivo e restituite in uno scatto. I “macro” di muri esaltano le texture di intonaci, colori, raccontando le stratificazioni del vissuto delle città. La loro trasformazione, il deterioramento, il cedimento, le ricostruzioni che registrano i passaggi del tempo. Sono “pelli urbane” che, mutevoli nei loro cromatismi e crepe, sovrappongono colori e materiali raccontando le tappe della loro storia. Sono il tessuto urbano che tesse gli spazi e le architetture proprio come nella pelle di un essere umano che vibra, vive, assorbe e respira ciò che lo circonda.

2015 - Siamo a Venezia dove le architetture sono, più che altrove, scrigno di memorie, interpretazione di secoli, restituzione di viaggi, custodi di storia e storie. Qui nasce l’intervento site specific Stucky 9. Fotografia del Molino Stucky, uno degli esempi più interessanti di architettura industriale; in particolare lo scatto dell’unica porzione nascosta di muro che non ha subito restauri, testimone illeso dei passaggi dell’uomo. E il mulino diventa uno spazio emozionale tattile e visivo, dove i cromatismi della parete, carica di specificità, traslano dalla pura materia architettonica a tessuto fluttuante, drappi, involucro della quotidianità, come una nuova pelle che dalle architetture immacolate create dall’uomo torna all’uomo con le spontanee cicatrici che i sali, il vento e le acque lasciano nel mattone. La texture si moltiplica in frattali avvolgendo la torre del Molino Stucky per dare vita ad un nuovo equilibrio materico. Drappi come “muri” a tutti gli effetti che si mimetizzano nel contesto architettonico ma allo tesso tempo rivelano, al vento, la loro identità naturale se e quando la natura stessa viene lasciata agire in armonia col tempo che l’accompagna.

Ri.Co.

Gianmaria Potenza

 

Gianmaria Potenza

Italia • Italy

Per la varietà dei suoi moduli/corpi/geometrie Potenza ha individuato in scultura le forme della sfera e soprattutto dell’ovale per noi ribadibile come origine e contenitore concluso, primigenia scultura ideale che riconduce al concetto della nascita. Nel suo ricercare linguistico, nell’idioma della geometrico/fisica Potenza ha reso mobili questi corpi levigati o politi, concorrendo ora lo spazio luminoso al gioco dei riflessi e delle ombre ma soprattutto della mobilità. Modificando le staticità della scultura l’artista ha compiuto una variazione al peso del corpo bronzeo permettendone un vero e colto dinamismo.

Pullulano “nella” superficie questi moduli, quelle parti organiche tipiche del suo lavoro, tanto da poterne quasi costituire l’intera materia, ma ora, lontano da ogni riferimento alle sfere tutte solcate, ferite percorse dal segno di Pomodoro (come un occhio distratto potrebbe cogliere) le sculture di Potenza interrogano la luce e lo spazio. I meandri regolari (cui altri critici hanno dedicato storiche e complesse derivazioni formali dall’oriente musivo sino a Vienna) scorrono fendendo la luce e permettendole di interagire, sprofondare, costruire una “pelle” del bronzo che ne riveli la tattilità divenendo narrazione plastica. È penetrare visivamente come sospiro di luce nel corpo in moto della scultura che svela la complessità del “luogo plastico” di Potenza: costruire l’oggetto e contemporaneamente negarne l’essenza per entrare, quasi il suo segno si ripetesse ineluttabilmente nella “spirale” dell’aria, in un’atmosfera che da pesante si fa leggera. Così, in questo suo “esperire” il bronzo, divenuto anche intenso riflesso d’oro, permette al suo alchemico hortus conclusus un ennesimo viaggio. Sculture in bronzo, dalle acque veneziane alle terre dove troveranno un nuovo sole.

Luca Massimo Barbero 

  1. Italia, Germania - PIERO PIZZUL & ULRIKE PUSCH-HOLBINGER
  2. Italia - MICHELANGELO PISTOLETTO
  3. Italia - LUCIO MICHELETTI
  4. Italia - VICENZO MASCIA

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