Venezia Arte Contemporanea e Spazi Espositivi
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Piero_Fogliati

 

Piero Fogliati

Italia • Italy

Piero Fogliati esordisce con una pittura molto scenografica per poi rivolgersi ad una scultura innovativa ricca di suoni e rumori inattesi. Al centro del suo lavoro vi è l’ideale dinamico della Città Fantastica: egli pensa di trasformare l’urbanistica ripetitiva, caotica, stereotipata e farraginosa delle nostre città, arricchendole delle sue opere plastiche, a fini non solo estetici ma spirituali. Dialogando con esse attraverso immagini e suoni, gli abitanti sensibili possono riscoprire il proprio autentico essere interiore, in sintonia col proprio sé più segreto.

Qui a Venezia - lungo i percorsi della mostra-evento OPEN 18 - possiamo noi stessi mettere alla prova l’idea con il Fleximofono (1967), una scultura in acciaio al silicio (acciaio armonico). Essa dialoga con noi visivamente attraverso le molle da cui è costituita, ma anche attraverso suoni e rumori. I suoi “ricci metallici”, toccati dal vento, cominciano a muoversi producendo imprevedibili e affascinanti effetti sonori.

In seguito la Città Fantastica comincia ad utilizzare come “materiali nobili” anche i fenomeni atmosferici. L’acqua, il vento, la luce solare, il colore ed il suono diventano gli elementi primari che contribuiscono a suggerire una vita spirituale alle Città rinnovate dall’Arte. Fogliati adotta tecnologie complesse e laghi e fiumi si dotano di rumori sonori; le gocce della pioggia si animano di colori, mentre Fogliati prepara anche macchine per decorare i cieli. Col tempo il suo rapporto coi fenomeni naturali della Luce, dei suoi vari modi di riflettersi, nonché del Suono e dei colori, si arricchisce di nuove scoperte legate all’uso sempre più approfondito delle nuove tecnologie. Fogliati è estasiato dal fatto che i colori - che erano stati il leitmotif dei suoi inizi pittorici, sotto forma di pigmenti materici - ora con l’uso dell’elettricità possano dotarsi di varietà luminose ben più straordinarie. Ora, queste apparizioni dai colori splendidi sono non solo fittizie perché possono scomparire quando spegni l’interruttore, ma possono anche allietarci ripresentandosi. Ed è così che deve essere, sembra suggerirci l’artista, perché la vita è un gioco che ognuno di noi può reinventarsi a propria immagine e somiglianza psichica, specie se lo facciamo collegati l’uno all’altro, dialogando e riscoprendoci attraverso l’Arte.

Daniela Palazzoli, Curatrice

 

Francesco De Molfeta

 

Francesco De Molfetta

Italia • Italy

Nome: Demo
Cognome: deve ancora deciderlo
Professione: artificiere specializzato
Età: pare sia giovane abbastanza da essere considerato un talento promettente, ma forse è più anziano considerato quanto si è già parlato di lui in giro per il mondo
Residenza: in quel meraviglioso paese di Alice
Sogno nel cassetto: vendere giocattoli

Breve e irriverente curriculum: inizia il suo percorso di studio con i maestri degli anni ’80 e da studente monello, seppur con quoziente intellettivo sopra la media, deride docenti e presidi. Rielabora gli insegnamenti di quel periodo, stravolgendo miti, status simbol, eroi veritieri e dei fumetti, politici, tutto ciò che il resto della mandria enfatizza. I suoi compagni “secchioni”, come spesso accade nelle migliori classi, si perdono per strada; lui ha uno zaino pieno di note di richiamo sul registro, ma anche annotazioni dei migliori critici italiani e del mondo.

I suoi lavori di pongo diventano sculture di resina e materiali vari e girano il mondo. La sua determinazione è tale da sconfiggere Batman, che si ritira in una clinica dimagrante consolandosi di nascosto con un gelato alla nutella (o era surrogato...); deposita assegni cabriolet con tanti zeri tratti sulla banca dei giocattoli, congela indubbie torte nuziali, comprende che la vera vocazione di Michelangelo era aprire un’officina meccanica. I paparazzi hanno scritto che di recente frequenta Pinocchio...

Abbiamo indagato per comprendere meglio... continuano a pervenirci solo ottime critiche, inviti per mostre in grandi e acclamate gallerie, persino al Museo della Permanente di Milano... e ora ad OPEN 18 a Venezia... Sarà davvero bravo allora questo Francesco De Molfetta... non abbiamo paura di chiamarlo con il suo vero nome, perché sappiamo che è un Vero Artista di questo secolo, dove le certezze sono purtroppo molto poche.

George Braque affermava che “l’Arte è fatta per turbare. È la scienza che rassicura”. Io preferisco convincermi del contrario e confidare nell’Arte per un po’ di spensieratezza e per ricordare che nella vita bisogna essere capaci di ridere. Credo che Demo la pensi nello stesso modo.

Serena Mormino, Curatrice 

Carlo Bernardini

 

Carlo Bernardini

Italia • Italy

L’artista parte da considerazioni teoriche e metodologiche piuttosto complesse e, orientandosi nell’ambito della scultura, pone da subito la questione della luce e dell’ombra e della loro capacità di abitare lo spazio. Non parla del corpo dell’opera, del suo pondus, parla di luce e ombra come dei due estremi di una dialettica dove il termine medio non è considerato. Se si osservano le sue sculture in effetti si può constatare il punto di arrivo di un linguaggio riduzionista fino al limite estremo delle consistenza plastica: strutture filiformi in acciaio, schermi luminescenti, lastre di plexiglas trasparente. Il minimo che si possa dire è che i vuoti prevalgono sui pieni fin quasi ad annientarli...

Nella maggior parte dei casi, le fibre ottiche, da sole, si impossessano dello spazio: l’opera vive interamente del rapporto fra la linea luminosa, il disegno di luce, perfettamente geometrico e perciò auto-evidente nei suoi nessi costruttivi, e lo spazio che lo ospita. Nel rapporto, reciproco, lo spazio diventa condizione di visibilità della luce e viceversa, il disegno di luce si articola in base alle caratteristiche strutturali dello spazio (che a volte contiene oggetti con cui i raggi luminosi interagiscono) e quest’ultimo viene dinamizzato dalle linee rette, altamente energetiche, che lo attraversano sempre disegnando volumi virtuali. Tutto ciò, abbiamo detto, “smaterializza”: luce e ombra, spazio vuoto, pochi materiali capaci di assottigliarsi fin quasi ad annullarsi alla percezione. Eppure, Bernardini non è mai troppo hegeliano: la vista come soglia verso il pensiero puro non celebra qui il suo assiomatico trionfo.

Il corpo è altrettanto fortemente tematizzato nell’opera di Bernardini, solo che all’opera non appartiene. L’istanza della fisicità è delegata allo spettatore, è il suo corpo che l’opera chiama in causa come elemento che la compie, anzi che la fonda nelle relazioni di senso che attua con lo spazio. Questo spazio infatti non è pensato come astratto, è pensato in termini fenomenologici, è ambiente, spazio vissuto. Il corpo dello spettatore non solo è previsto muoversi e percepire, ma anche, col suo movimento, trasformare l’opera, che varia nel suo aspetto a seconda dei punti di vista. Come Paul Klee, Bernardini può dire che il suo lavoro postula un punto di vista vagante, agito da un osservatore che, osservando e muovendosi per osservare, modifica l’opera stessa in ciò che ha di più fondante, i suoi rapporti significanti con l’ambiente.

Giorgio Verzotti 

Daniele Basso

 

Daniele Basso

Italia • Italy

Acciao specchiante, dal sicuro e forte impatto visivo, contrapposto ad una poesia e concettualità profonda ed interiore... ed ecco che la forza della materia diventa un’esaltazione dello spirito delle opere di Basso, riflettendo il mondo che le circoda e l’io degli spettatori che, inconsapevolmente, diventano parte dell’opera stessa.

Qui in Achill il poeta scultore, racconta la vita di questo rapace della mitologia celtica che “nobile e potente, scivola leggero nell’aria: Possiede il Cielo. Alto sopra la realtà... guida all’amore per l’uomo e la sua natura. Si fa tramite col mondo spirituale e ne diventa simbolo d’illuminiazione, creatività, verità ed esperienza...”.

Basso abbraccia questa forma di vita aprezzandone anche la capacità di visionare la vastità del paesaggio che sovrasta, la vastità del mondo e, al contempo, la capacità di osservare ed apprezzare ogni dettaglio, ogni particolare.

I suoi soggetti ritratti, come qui Achill, hanno una doppia anima, non intesa come dualità interiore e caratteriale nei confronti dell’esterno, bensì come capacità di vivere della propria spiritulità ed essere e, sapientemente, fare proprie anche le sfumature del “resto”... La Natura Sovrana e il genere umano diventano co-protagonisti delle sue espressioni artistiche, capaci di rinnovarsi ogni istante, mantendone però memoria.

Achill leggiadro sovrasta l’ambiente e approda in Laguna come simbolo della violenza costruttiva dell’Arte, capace di trasformare la natura della Laguna delicata, rafforzandola con forza e sicurezza, vigilando su di essa...

Serena Mormino, Curatrice 

Lello Ardizzone alias Tony Wetfloor

 

Lello Ardizzone alias Tony Wetfloor

Italia • Italy

Le opere di Wetfloor comunicano grande cultura e tradizione, riportata sapientemente in chiave contemporanea e tecnologica; ma di lui si sa veramente poco. Inglese, nato intorno al 1960 (troviamo una sua foto da bambino sui social), nulla di più se non che ama viaggiare per lavoro e per passione. Qualcuno afferma che non abbia nemmeno una fissa dimora, ma sempre una suite prenotata negli alberghi più fashion delle capitali, ovviamente sotto pseudonimo.

Le sue opere, seppur molto eterogenee, sono immediatamente riconoscibili per la forza e la cultura che sprigionano. Mandala tibetani della cultura Veda quasi tatuati sulla tela, piccole figure mitologiche e di guerrieri annegate negli intrecci di colore che rimandano immediatamente alla street art e ad una cultura diametralmente opposta.

Tele raramente povere di cromaticità, se non qualche pregiato bianco e nero alla Vedova, o blu marini sfumati e ricchi di luce alla Sturla. Più spesso i colori si mescolano. I primi lavori presentano sfumature di pantone tenui, pennellate con rigore come amava fare il grande Dorazio.

Tele disseminate di pois colorati, interrotti da altri più grandi neri, come se per un attimo fosse mancata corrente o connessione al suo Ipad; mosaici posati tessera per tessera sul tablet, con grande precisione tecnica e la sapienza della simbologia antica e più contemporanea.

Tappeti persiani del XXI secolo, tessuti e annodati a mano su Ipad; ogni singolo dettaglio, non esiste “copia e incolla”. Perché nulla è “banalmente” ripreso e copiato dalla storia dell’Arte. Ogni file prima di diventare tela è frutto di rielaborazioni grafiche e mentali, culture che si mescolano con sapienza ed esperienza vissuta in prima persona. Ma anche di emozioni del momento.

I suoi pezzi più interessanti nascono nelle lounge o negli spazi comuni di attesa degli aeroporti, tra un viaggio e l’altro. Ed ecco che infatti cambia l’intensità del colore e la violenza con cui viene gettato sulla tela “virtuale” del video del suo Ipad. Un tablet usato come un vecchio quaderno degli appunti o come una tela di grande formato. Un tablet privo di connessione internet, perché Wetfloor non vuole essere rintracciato e distratto dai social... forse perché quel pc da cui si estrapola qualsiasi cosa invece per la sua Arte è il foglio, la tela bianca. Quella tela dove non si può copiare, ma reinterpretare... What is not Art?

Serena Mormino, Curatrice 

  1. Georgia - ETERI &GOCHA CHKADUA
  2. Corea, USA - NAM JUNE PAIK
  3. Colombia - JAIME ARANGO CORREA
  4. Cina - QIN FENG

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