RUSSIA - OLGA SCHIGAL
Il viaggio iniziato
In quasi tutte le culture la foresta ha un profondo significato simbolico, rappresenta lo spazio fisico e mentale in cui intraprendere un viaggio verso un mondo sconosciuto. Non è infatti infrequente, nella complessità delle tradizioni antropologiche, identificare la foresta come luogo prediletto per lo svolgimento dei riti di iniziazione o di passaggio tra l’infanzia e l’età adulta.
Anche nel mondo occidentale vi è, a vari livelli e con differenti accezioni, un costante utilizzo dell’archetipo della foresta, basti pensare alla selva selvaggia e aspra e forte di dantesca memoria o al bosco, presente, come elemento fisico e psicologico, nei miti e nelle fiabe, inteso come luogo misterioso, dove la natura prende il sopravvento sul raziocinio umano, ma anche come implicito momento di crescita e di evoluzione.
Tutte queste considerazioni sono le necessarie premesse per poter comprendere l’installazione Taiga - un grande striscione pubblicitario teso tra gli alberi del Lido di Venezia - dell’artista di origini russe Olga Schigal.
Il paesaggio della taiga è infatti per la Schigal un paesaggio familiare, avendo trascorso i primi anni della sua vita in Siberia, ma è, al tempo stesso, un luogo della memoria, del ricordo. Ci troviamo di fronte ad un omaggio di Olga a quella dimensione fisica e mentale rappresentata dai boschi siberiani che l’hanno vista crescere e che l’hanno accompagnata dall’infanzia fino alla tarda adolescenza, quando ha abbandonato il suo paese d’origine per trasferirsi in Germania.
L’aspetto biografico è preponderante, quasi vi fosse una necessità di ripercorrere a ritroso quel bosco che l’ha portata lontana da casa, anche se, per sua stessa ammissione, il mix di culture che contraddistinguono la nostra artista le impedisce di identificare qualsiasi luogo dove ha vissuto come casa.
L’installazione è da intendersi, inoltre, come un pezzo di natura portatile, che si fonde con il paesaggio reale per dar vita ad un immaginifico trompe l’oeil dove si perde il limite, talvolta sottile, tra realtà e finzione, tra arte e vita, tra presente e passato. A tutto questo si unisce l’idea di poter intervenire sul paesaggio urbano, con un vago sapore situazionista, modellandolo alle necessità della propria personale grammatica, con l’ambizione ultima di portare lo spettatore nello spazio mentale dell’artista e di interrogarsi su una natura reale e simbolica che sta progressivamente scomparendo, assumendo il ruolo di un bene di largo consumo, da pubblicizzare in mezzo a una strada.
Testo a cura di Igor Zanti