USA - BETTINA WERNER
Bettina Werner, la Regina del Sale, è una famosa e apprezzata artista internazionale, nata a Milano nel 1965, ora cittadina americana. Scoperta come giovane stella emergente dell’arte da una prestigiosa galleria newyorkese quando è arrivata negli Stati Uniti nel 1989, Bettina Werner è una pioniera che ha inventato il primo uso del sale colorato come mezzo artistico nella storia dell’arte.
Le sue opere innovative realizzate con il sale sono composizioni di sale cristallizzato con colori brillanti, create con sofisticati movimenti, un flusso artistico dinamico e una superficie cosmica radiante. Il mistero del sale e della sua splendida qualità cristallina ha attratto l’artista sin da quando studiava all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e, nei primi anni Ottanta, ha sviluppato la sua complessa tecnica di colorazione e composizione per creare arte utilizzando cristalli di sale vivacemente pigmentati.
Le sue opere, che arricchiscono prestigiose collezioni, raffinate abitazioni e importanti uffici in tutto il mondo, sono state spesso esposte in musei e gallerie in Europa, Russia e Stati Uniti, tra cui Museo Whitney, Museo Puskin, Detroit Institute of Art, Museo di Portofino, Chase Manhattan Bank, Museo Barrick, Collezione di Herbert e Dorothy Vogel, Collezione di Martin Margulies a Miami e Collezione di Nicos Vernicos ad Atene. Bettina Werner è apparsa su pubblicazioni d’arte in tutta Europa come Arte del Novecento a cura Mirolla/Zucconi, attraverso la prestigiosa casa editrice italiana Mondadori Università 2002, e Arte Moderna a cura di Giulio Carlo Argan/Achille Bonito Oliva, un testo d’arte utilizzato da tutte le scuole italiane.
La sua recente retrospettiva per il venticinquennale della sua attività presso il 7 World Trade Center, in uno spazio espositivo di 3.800 metri quadri sul “ground zero”, ha rappresentato il culmine della sua carriera con una spettacolare vista panoramica sulla città di New York.
Nel 2002, ha istituito la Salt Queen Foundation, istituzione educativa non-profit che, tra i suoi obiettivi, celebra gli artisti la cui libera immaginazione si esprime in maniera unica e personale attraverso l’uso di tecniche innovative e materiali inconsueti.
Recensioni e articoli sulle sue opere sono apparsi su The New York Times, The Wall Street Journal, Vogue, Art in America, Elle, Architectural Digest, The Chicago Tribune, The Miami Herald, ArtNews, Elle Decor, GQ, Flash Art, Hamptons Magazine, New York Post, L’Espresso, Il Corriere della Sera e molte altre pubblicazione.
Testo a cura di Miriam Mirolla
USA - OLGA LAH
Mi interessa realizzare installazioni monumentali appositamente concepite per un determinato sito attraverso l’accumulo e la ripetizione di materiali comuni. In tal modo, sollecito un riorientamento comportamentale nei confronti del materiale e del contesto abitato dalla mia opera, richiamando l’attenzione su nuovi collegamenti all’interno di un ambiente. Un nuovo orientamento comportamentale e percettivo su vari piani suggerisce un nuovo adeguamento critico alla familiarità di ciò che ci circonda. In ultima analisi, nella mia opera ricerco una trascendenza precaria, rimettendo in discussione la natura della realtà.
Testo a cura dell’artista
Taiwan R.O.C. - KAO TSAN-HSING
Le opere scultoree in ferro e acciaio inossidabile di Kao Tsan-Hsing hanno arricchito e ampliato notevolmente l’orizzonte dell’arte taiwanese in un periodo in cui la creazione artistica tridimensionale, contrapposta alla pittura a olio e inchiostro tradizionale, stava appena iniziando a riconquistare terreno dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Dopo essersi laureato presso la prima Facoltà di Scultura di Taiwan dell’Università Nazionale delle Arti di Taiwan nel 1969, Kao si è completamente dedicato all’esplorazione delle possibilità del ferro e dell’acciaio, materiali emblematici della produzione industriale, e dell’interazione tra il loro volume, le loro dimensioni, la loro massa, il loro colore e la loro lavorazione tecnica (fusione, forgiatura o saldatura). Il risultato è una padronanza perfetta dell’equilibrio stilistico tra il peso effettivo del materiale e una leggerezza organica, tangibile e uniforme, come anche tra le graduazioni della consistenza e del colore della superficie.
Dal 1990, confrontandosi con il cambiamento ecologico globale, Kao infonde un contenuto sociale nella sua scultura, precedentemente astratta. Emergono figure umane e vengono proposti temi ambientali. Nel suo lavoro ecologico attorno al 2004, Kao ha realizzato un importante corpus di opere “verdi” sia elusive che perspicaci.
I suoi materiali di recupero, rottami di ferro e acciaio, sono sottoposti a una trasformazione dal loro peso massiccio originario nel suo opposto, in qualcosa di leggero, fragile, delicato e dissolvibile. Le simulazioni di prati verdi hanno una natura antropomorfica, come nella mostra Rhapsody in Green alla Biennale di Venezia 2013. Inanimati, eppure apparentemente dotati di vitalità, questi materiali industriali trasformati in opere d’arte spingono a domandarsi se possano avere qualcosa da dire nella nostra attuale eco-crisi globale.
In Ecocline, opera scultorea per OPEN, Kao ha creato un pezzo narrativo ricco di giocosità. Sottoponendo il materiale a varie trasformazioni, l’artista riesce a infondere in un’enorme scultura di oltre 60 chilogrammi un senso di leggerezza e delicatezza, se non fosse per i prati verdi sospesi nell’aria che suggeriscono uno stato di deriva trasmettendo una sensazione di disagio.
Testo a cura di Yang Wen-I
Svizzera - FRANCO CARLONI
Simbolo della nostra contemporaneità, del male della società moderna e della sua disarmante impotenza, l’opera Medusa rispecchia il vero essere dell’artista.
Tutto il lavoro di Carloni denota il suo carattere estremamente introspettivo. Grande studioso e inventore di brevetti nel settore dell’automobilismo da corsa, dell’ingegneria e da oltre trent’anni dell’ecologia, si accinge all’arte con sensibilità, con quell’attenzione che a parole spesso non esprime. Consapevole delle peculiarità umane e della realtà di un mondo sempre più fragile, legge il dono magnifico della natura e al contempo il pericolo della sovranità della stessa.
In Medusa la parte inferiore vuole rappresentare la società moderna composta da esseri umani che vivono dalla nascita inconsapevolmente e dovutamente sotto un potere inconfutabile ed intoccabile.
La medusa riesce a far percepire in modo diretto e simbolico la sensazione di impotenza nei confronti del sistema… L’essere umano è vorticosamente caduto in un ciclo di autodistruzione da oltre mezzo secolo, ma nessun “uomo” osa correggere o modificare il sistema, gli interessi del mondo a discapito del singolo individuo prevalgono sempre più e a qualsiasi costo… Le popolazioni, ormai ridotte a semplici spettatori, si rendono conto o semplicemente ammettono che basterebbe porre alla luce tutto ciò per liberarsene, proprio come la pericolosa e velenosa medusa se posta ai raggi e al calore del sole, naturalmente, si scioglie.
Testo a cura di Serena Mormino
Svizzera - TAMARA BIALECKA
L’idea di Eye in the well, l’occhio nel pozzo, nasce da un sogno fatto a capodanno del ‘93 … “Quando sono arrivata da Milano a N.Y. e sono andata direttamente nella discoteca Limelight, chiesa sconsacrata, a ballare. Lì ho preso due extasy ed ho ballato fino alle 05.00. Sono entrata in una gabbia che hanno sollevato, ed è stata un’esperienza bellissima ballare vedendo la moltitudine di gente ad ogni piano, ed il pulpito dove una volta si teneva la messa anche pieno di persone, ed il DJ che intercalava musica techno con musica di Bach.
Poi ho preso un taxi e sono andata a Brooklyn per vedere Manhattan alle prime luci dell’alba.
Il tassista greco mi ha portata in un posto speciale, pieno di sculture in ferro all’aperto. Erano -5 gradi penso, c’era un forte vento, il suolo era ghiacciato, ed io avevo addosso una lunga pelliccia nera di pelo finto come suggeriva la moda di quegli anni… E mi son lasciata trascinare dal vento ed ho fatto ‘sci sul ghiaccio’, coi miei stivali neri coi lacci, che erano in seguito diventate le mie uniche scarpe quando sono andata ad abitare a Brooklyn. Mi son lasciata trascinare dal vento con le braccia aperte come una vela in questa distesa di ghiaccio guardando le mille luci di Manhattan all’alba. Ho chiesto al tassista di portarmi a Manhattan in un afterhour. Così sono andata al The Tunnel. Bellissimo. Altre extasy e poi ad una festa privata nella Lower East Side.
Quando la sera del 1 gennaio mi sono guardata allo specchio nel bagno, dove nel loft la festa continuava, ho notato che le mie pupille erano così grandi che coprivano totalmente l’azzurro delle mie iridi.
In quel momento ho pensato a cose profonde, profonde come il mare e come l’universo.
In quel momento ho pensato alla nascita, alla morte, alla luna, al cielo e di nuovo all’universo.
In quel momento ho pensato di unire l’acqua, simbolo della nascita, con il buio profondo dei buchi neri, dello sconosciuto, del mistero dell’uomo, del suo cervello che è in se stesso e già di per sé un universo, per noi ancora sconosciuto.
Mentre facevo queste dissertazioni, ho sentito bussare forte alla porta, e mi hanno svegliata.
Hanno chiesto una volta a Serrano in un’intervista: ‘Che cosa è cambiato nella sua vita da quando è diventato famoso?’. Lui ha risposto: ‘Sono contento di non dover vendere più droghe per sopravvivere’.
Se mi ponessero un giorno la stessa domanda risponderei: son contenta di non dovermi più prostituire per sopravvivere…”
Testo a cura dell’artista