Italia
Eliseo Mattiacci
Eliseo Mattiacci, scultore di grande sensibilità e particolare fantasia antropologica, partendo dalla memoria dei suoi Alfabeti primari degli anni Settanta e della Cultura mummificata, presentata alla Biennale di Venezia del 1972, ci propone una lastra di marmo tagliata in otto quadrati da appoggiare contro il muro uno sull'altro. Il suo è quindi un "marmo da sfogliare" come i fogli sciolti di un notes su cui è incisa "a giorno" la parola: "Rispondenze". Una parola che ci ricorda che la nostra vita oltre che di "relazioni" è fatta di "rispondenze", un sentimento, oggi un po' trascurato, che ci permette in ogni momento di portare su un piano di contemporaneità gli eventi trascorsi e quelli che stanno per essere vissuti, in modo da poter verificare l'esistenza di questi valori dello spirito e della vita di relazione tra noi e gli "altri".
Biografia
ELISEO MATTIACCI
Cagli (Pesaro), 1940
Mostre personali selezionate:
1967 Galleria La Tartaruga, Roma
"Mattiacci - Pascali", Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma
1968 "Sculture recenti", Galleria L'Attico, Roma
"Lavori in corso al Circo Massimo", Galleria L'Attico, Roma
1969 "Percorso", Galleria L'Attico, Roma
Galerie Alexandre Iolas, Paris
1971 Galleria L'Attico, Roma
"Radiografia ossea del proprio corpo", Galleria Franco Toselli, Milano
1972 "Sostituirsi con una parte dell'artista", Galleria Schema, Firenze
"Senza titolo", Incontri Internazionali d'Arte, Roma
XXXVI Biennale di Venezia (sala personale/one-man exhibition)
1973 "Rifarsi e pensare il pensiero", Galleria Iolas, Milano
1974 Iolas Gallery, New York
1976 "Essere - Respirare", Galleria La Salita, Roma
1977 "Duomo Donna", Galleria d'Arte Moderna, Roma
1979 "Piattaforme", Galerie Jean & Karen Bernier, Athens
Galleria de' Foscherari, Bologna
Galleria Il Capricorno, Venezia
Galleria Piero Cavellini, Brescia
1980 Galleria Vera Biondi, Firenze
Galleria E Tre, Roma
1981 Padiglione d'Arte Contemporanea, Milano
1982 "Predisporsi ad un capolavoro cosmico-astronomico", Galerie Appel und Fertsch, Frankfurt
Galerie Walter Storms, München
1983 Iolas and Jackson Gallery, New York
1984 "Alta tensione astronomica", Kunstforum, München
Istituto di Storia dell'Arte dell'Università degli Studi "La Sapienza", Roma
1985 Casa di Macchiavelli, S. Casciano Val di Pesa (Siena)
"La torre dei filosofi", Monteluro (Pesaro)
1987 Parco di Miramare e Castello di San Giusto, Trieste
1988 LXIII Biennale di Venezia (sala personale/one-man exhibition)
Palazzina dei Giardini, Galleria Civica di Modena
1989 Galleria Martano, Torino
1991 Galleria dell'Oca, Roma
Museo di Capodimonte, Napoli
1992 "Un ascolto di vuoto", Cava di Sant'Anna, Passo del Furlo (Pesaro)
1993 PradaMilanoArte, Milano
"Un ascolto di vuoto", Alexanderplatz, Berlin
1996 Museo d'Arte Moderna, Bolzano
Centro per le Arti Visive Pescheria, Pesaro
1997 Galleria Casoli, Milano
Centro per la scultura contemporanea, Zona archeologica, Cagli (Pesaro)
1998 "Meridiana", Galleria Spazia, Bologna
2000 "Microcosmo", Collezione Ambientale Giuliano Gori, Celle (Pistoia)
2000-1 "Dentro il cosmo", Studio Casoli, Milano
2002-3 "Capta spazio", Galleria dello Scudo, Verona
2004 "Eliseo Mattiacci. Misurazione di corpi celesti e altre invenzioni 1968-2004", Galleria dell'Oca, Roma
Monastero delle Lucrezie, Todi (Perugia)
Italia
Luigi Masin
I volti di donna senza lineamenti dipinti da Luigi Masin, dimostrano la capacità dell'artista di esprimersi al di fuori e al di sopra della rappresentazione.
Il suo impressionismo-espressionismo, fatto di pennellate fresche, immediate, luminose è, come lui stesso spiega, bilanciato da una maturazione "interiore" del quadro, che viene poi strutturato in maniera espressiva dalla materia che assorbe la luce e la rimanda in modo omogeneo e da una particolare tecnica per cui il supporto di juta viene trattato con sostanze resinose che permettono fascinose trasparenze.
E' chiaro come la tecnica esecutiva incida sulla forma emotiva del dipinto e sia al servizio dello stile, di cui è il supporto fecondo.
Masin ha la preziosissima dote di saper adattare la sua pittura al soggetto in cui si incardina: i suoi quadri, diversi l'uno dall'altro, sono tuttavia legati da una sensibilità di base che unisce una tecnica originale e una rara capacità di raccordare forma e colore.
La qualità "interna" dell'opera, oggi così necessaria, è particolarmente presente nei suoi bronzi, in cui non vi è niente di inerte, niente di artificioso; dalle colombe, dalle ballerine, dalle maternità emerge una grande affettività.
I gioielli, composti con perle e pietre preziose sono, al pari delle medaglie, opere piene di finezza e di tensione emotiva.
I bozzetti, infine, rivelano la spontaneità nata dai sentimenti dell'artista, che è comunque il frutto di un'attenta osservazione e di un programma primariamente mentale.
Testo a cura di Paolo Rizzi
Italia
Marco Lodola
Se dovessi indicare la prima cosa positiva pensando a Marco Lodola, direi che non si tratta di un artista "nuovo", o almeno totalmente nuovo. Non ritengo affatto che il nuovo sia un valore positivo in arte. Lo è sicuramente per il mercato, il vero, grande dominatore dell'arte contemporanea, secondo una legge del marketing moderno che è valida per i dipinti come per le automobili: bisogna offrire prodotti sempre rinnovati per stimolare le vendite, promuoverli come tali, creare bisogni indotti negli acquirenti. Quando i mercati e i loro fedeli alleati (i critici, i collezionisti) hanno scoperto, intorno alla metà del secolo scorso, che l'Avanguardia si accorda perfettamente al principio della merce nuova, l'arte è diventata moda.
Una metamorfosi che ha quasi capovolto il senso stesso dell'arte così come era stato inteso fino all'Ottocento, quando si creava non per fare qualcosa di nuovo, ma di eterno. Assurdamente, il culto del nuovo artistico ha finito per trasformare il passato quasi in un nemico da combattere; solo di recente, quando ci si è accorti che anche il passato poteva essere a vantaggio di un nuovo sempre più richiesto, è tornato a essere preso in considerazione. Ci ritroviamo cosi a guardare tanta arte contemporanea degli anni precedenti.
Con Lodola certi pericoli dovrebbero essere scongiurati, proprio per il suo essere "non nuovo". Dietro le sue sagome di plexiglas, dietro le sue luci al neon, dietro le sue campiture cromatiche, c'è una precisa storia dell'arte che è stata conosciuta, meditata criticamente, rielaborata: il Futurismo, il colorismo ritmico della Delaunay, la Pop Art, per dire solo di ciò che sembrerebbe più evidente. Un certo modo di ridurre la figura a sagoma, contorno, minimo denominatore grafico, era stato tipico del modo con cui la Pop Art ha sviluppato gli spunti provenienti dalla figurazione pubblicitaria (si pensi, più ancora che a Warhol e a Lichtenstein, ad Allen Jones. Tom Wesselmann, James Rosenquist). Il neon aveva avuto in ambiti per la verità distanti da Lodola, il minimalismo di Dan Flavin e il concettualismo di Mario Merz, il suo impiego artistico più rilevante. Ma in fondo, a ben vedere, anche Lodola possiede una sua cifra non certo concettuale, ma almeno minimalista, un minimalismo della figura che è comunque esente dagli intellettualismi o dagli slanci mistici di Flavin e compagni. In quanto al colore, alla sua organizzazione in stesure distinte, planari e uniformi, vivacissime, il riferimento immediato è al Futurismo non tanto dei maestri fondatori, quanto di chi con il linguaggio dei maestri è diventato il grande compositore nei mobili, nei tessuti, in tutto ciò che poteva essere decorazione: Fortunato Depero; un aggancio, quello con Depero, capace di associare Lodola a un altro artista contemporaneo che ha avvertito analoghi stimoli, Ugo Nespolo, anche se, in seguito, con un percorso formale piuttosto diverso dal suo.
Lodola "non nuovo", quindi, perché saggio rispetto al passato, sul solco di esperienze storiche che, seppure ancora attuali, sono già patrimonio acquisito, tradizione.
Ma va anche ammesso che il suo modo di essere "non nuovo" possiede un'originalità indubbia, al punto da non poterlo definire né un neo-futurista, come avrebbe voluto da giovane, né un "post-pop", né con qualunque altra definizione che lo identifichi come un continuatore di qualcosa che era stata inventata prima di lui. Lodola è soprattutto Lodola, prima di ogni altra considerazione.
Cosi è stato sentito, cosi è stato subito apprezzato, così il suo essere "non nuovo" è finito per diventare una novità rispetto al nuovo non vero, il nuovo per il nuovo che piace tanto ai mercati, a certi critici e a loro soltanto. Non a caso gli esordi di Lodola sono avvenuti sulla scia di esperienze come i "Nuovi Nuovi" di Renato Barilli, che cosi nuovi in fondo non erano. Come in molta dell'arte dei "Nuovi Nuovi", Lodola ha recuperato il piacere di un'arte che non stabilisce più differenze con l'applicazione (la maggior parte delle sue opere sono potenziali oggetti d'arredamento), perché l'arte - come pensavano Depero, Delaunay, Léger - serve a decorare e reinventare il mondo dell'uomo, a entrare concretamente nel suo quotidiano.
Lodola ha recuperato, o forse trovato per proprio conto il piacere di un citazionismo quasi involontario, non ostentato, senza nessun interesse ad apparire colto e superbo, in questo così diverso dal post-moderno alla Mendini al quale pure potrebbe assomigliare. Lodola pensa solo a far vedere, a illustrare, è quello il suo compito, sia che collabori con gli scrittori o con le grandi industrie, con i musicisti pop o con i pubblicitari. E quello che ci fa vedere più di frequente sono i miti dell'inconscio collettivo nell'era mass-mediatica, la musica, il cinema, senza idealizzarli, ma anzi trattandoli in modo divertito e divertente, basta che il tutto si dia sempre come un gioco.
Alla fine quello che conta è il piacere dell'effetto, l'immediatezza della comunicazione, il gusto di un'immagine, di uno stile, di un oggetto subito riconoscibili nelle loro componenti fondamentali, come una sigla, un'icona, un "logo", senza altre inutili complicazioni. Sigle, icone, Ioghi che giungono ad abitare nell'inconscio e a convivere con quegli stessi miti dai quali provenivano, confondendosi con essi in un continuo meccanismo di specchi riflettenti.
Galleggiare, stare in superficie senza essere superficiali, ecco il grande azzardo dell'arte di Lodola; perché il piacere è qualcosa di rapido e di evanescente, esiste solo se non si va a scavare nelle nostre complicazioni, nelle nostre intricate psicologie, nelle nostre eterne insoddisfazioni.
È questa anche la "popolarità" di Lodola, vocazione anti-intellettualistica a rivolgersi allo stesso pubblico a cui si rivolge il cinema, la televisione, la pubblicità, la musica delle rockstar, ad adeguare i tempi e i modi dell'arte a quelli della vita contemporanea. Le opere di Lodola si potrebbero vedere muovendosi in un'automobile lungo un tratto urbano, fuori dai finestrini, oppure lungo il percorso di una metropolitana: c'è da stare certi che qualcosa di loro rimarrebbe certamente nei nostri occhi e nella nostra mente. Di quanti altri artisti si potrebbe dire altrettanto?
Testo a cura di Vittorio Sgarbi tratto da Controluce 2004
Italia
Nino Mustica
E' innegabile che nell'estetica di Mustica la dominante è data dalla componente intellettuale. In effetti l'aspetto mentale si manifesta sistematicamente nella progettazione e nella decisione razionale del senso di sviluppo dell'opera. Senonchè, al contrario di un Robin Benson o di un Pipilotti Rist, il risultato non è freddo, ma delicato ed evocativo, spesso della memoria della natura. Il raggio luminoso - come dicevo - è il referente massimo; pertanto dimensionare un oggetto o una texture, vuoi dire sublimarlo di luce fino a ridurlo ad illusione ottica, in cui lo spazio e il tempo, l'air ambiant e l'architettura, siano confusi in una sorta di empireo visivo ed energetico.
Confondendo vicino e lontano, piano e volume, si attraversano le apparenze Kunderaiane dell' "insostenibile leggerezza dell'essere" al massimo della loro immaterialità e trasparenza. Si aboliscono le distanze per sfasare la conoscenza, produrre un effetto di sospensione sul presente. In questa tendenza, come per la musica di Cage in cui il silenzio diventa suono, Mustica continua a lavorate per pervenire ad un infinito che è finito, ad un'assenza che è presenza, approssimandosi al limite poetico del Nulla, anche se sempre si mantiene fedele all'esperienza fenomenica del reale.
Testo a cura di Floriano De Santis
Italia
Nunzio
Nunzio, da quel forte scultore che è, porta sul bianco del marmo un fascio di segni neri e arcuati che si interrompono bruscamente verso l'alto come verso il basso, come se fossero stati spezzati improvvisamente da una mano erculea. Questi fasci ci appaiono anche quali solchi tracciati per una cerimonia sacra, un atto di desacralizzazione, o deflorazione del suolo, che in Oriente veniva compiuto personalmente dall'imperatore, mentre nel buddhismo significa sforzo spirituale. Questi segni carichi di mistero ci ricordano anche legni bruciati, simili a carcasse di balena, visti recentemente in una sua personale torinese.
Biografia
NUNZIO
Cagnano Amiterno (L'Aquila), 1954
Vive e lavora a Roma
Mostre personali selezionate:
1981 “Nunzio Di Stefano”, Galleria Spatia, Bolzano
1984 “XI sculture”, Galleria L'Attico, Roma
1985 “Nunzio”, Annina Nosei Gallery, New York
1987 “Nunzio”, Galerija Studentokog Kulturnog Centra, Beograd
“Nunzio. L’isola della scultura”, Galleria Civica, Modena
“Nunzio - Pizzi Cannella”, Valeria Belvedere, Milano
1988 “Nunzio. Sul guado dello Iabbok”, Galleria L'Attico, Roma
Galleria Bonomo, Bari
1989 Galerie Triebold, Basel
Galerie Di Meo, Paris
Galleria Bagnai, Siena
“Boero - Nunzio”, Studio G7, Bologna
1990 Studio Cannaviello, Milano
“Nunzio - Pizzi Cannella”, Galeria Fluxus, Porto
1991 Galleria Dell'Oca, Roma
Galerie H.S. Steinek, Wien
1992 Edicola Notte, Roma
Galerie Triebold, Basel
1993 Galerie Art Actuel, Liège
XXXVI Festival dei Due Mondi, Santa Maria della Manna d'Oro, Spoleto
Galleria Bonomo, Spoleto
1994 Kodama Gallery, Osaka
Galerie Di Meo, Paris
Galleria Raffaelli, Trento
1995 Galleria d'Arte Moderna, Villa delle Rose, Bologna
XLVI Biennale di Venezia (sala personale/one-man exhibition)
1996 Galleria L'Attico, Roma
Galleria Maura Cocchi, Parma
1997 Galerie Alice Pauli, Lausanne
Venice Design, Venezia
American Academy in Rome, Roma
1998 Galleria Bagnai, Siena
“Raimund Kummer - Nunzio”, Volume!, Roma
1999 Galerie Di Meo, Paris
2000 Galleria Fumagalli, Bergamo
2001 Galerie Alice Pauli, Lausanne
Galerie Triebold AG, Riehen - Basel
2002 Galleria Bonomo, Bari
Galleria Otto, Bologna
2003 Galleria Luisa Laureati, Roma
Galleria Vie Nuove per l’Arte Contemporanea, Firenze
Galleria Ronchini, Terni
2004 Galleria Giorgio Persano, Torino