USA - WILL KERR
Will, nato a Boston, Stati Uniti, si è laureato presso la Facoltà di Filosofia della Washington University a Saint Louis. Sono molto pochi quelli che, laureati in filosofia, sono poi cresciuti con un’ossessione per l’arte come la sua.
Il Will artista non assume un approccio classico alla pittura e alla realizzazione artistica. Per lui, la pittura è espressione dell’anima, non definizione della pittura stessa, e sembra richiamarsi all’arte primitiva delle grotte, rifiutando la definizione comune e l’oggetto del confronto per creare un’arte propria nel mondo del suo io. Dai suoi dipinti emerge preponderante la sua persona, un ballerino solista solitario.
Il Will filosofo, invece, ha vissuto una vita itinerante alla ricerca delle sue radici culturali in Portogallo (luogo di nascita di sua madre) e Scozia (terra natia di suo padre) per diventare mio vicino in Cina, dove conduce una vita estremamente semplice, mangiando riso e broccoli, e crea opere d’arte con grande dedizione e incessante impegno. Per i suoi modi senza compromessi, la dignità di Will mi ricorda le parole di Gustave Courbet quando affermava: “Spero che la mia arte possa sostentarmi, ma non posso derogare ai miei principi né andare contro la mia coscienza. Non dipingo mai opere d’arte per soddisfare le esigenze commerciali di qualcuno”. Per Will, l’arte è fede religiosa che gli permette di vedere la luce lungo un arduo cammino.
Testo a cura di He Gong
Taiwan R.O.C. - YAO JUI-CHUNG
Nell’ultimo ventennio, Yao Jui-Chung si è dedicato attivamente alla critica politica e storica utilizzando un’ampia gamma di mezzi come la rappresentazione, l’installazione, la fotografia, il video, il disegno e la pittura. Scrittore prolifico, curatore, attivista e critico d’arte, Yao ha pubblicato numerosi testi sull’arte contemporanea taiwanese, tra cui Installation art in Taiwan 1991 - 2001, A condition report on performances in Taiwan 1978 - 2004 e New trends of Taiwanese contemporary photography since 1999.
Attorno al 1995, durante il servizio militare, Yao ha creato una delle sue maggiori opere, una serie di installazioni basate sulla rappresentazione intitolata Territory Takeover (1994) e the Recovery of Mainland China - Preface & Actions (1997), in cui ha commentato in forma caricaturale il passato militare del paese. Mutuando l’abitudine degli animali di marcare il territorio urinando, Yao ha scattato malinconiche foto in bianco e nero di se stesso nei luoghi storici delle invasioni straniere dell’isola dal XVI secolo alla Seconda Guerra Mondiale, un parallelismo con la propaganda nazionale di Chiang Kai-shek della ripresa della Cina continentale, postulando idiosincraticamente un mondo al tempo stesso reale e irreale, assurdo, grottesco e misterioso.
Negli ultimi anni, Yao ha raccolto immagini e risorse dai capolavori dell’arte e dell’artigianato tradizionale cinese nelle sue opere multimediali, un corpus di opere che, senza necessariamente reinterpretare il passato, si pone come un dialogo interattivo tra la mentalità degli antichi letterati cinesi e la condizione mentale dell’artista.
Golden Baby, un neonato dagli occhi chiari sgranati ricoperti di foglia d’oro, al tempo stesso angelo e demone, è il progetto di Yao Jui-Chung per la serie flags di OPEN. La personificazione della virtù e del vizio fusa in un unicum viene presentata in modo frontale e diretto affinché, da un lato, il dualismo della natura umana e i suoi desideri materialistici siano espressi con ironia dolce-amara e ineccepibile serietà e, dall’altro, nasca una nuova “icona infantile”, i cui elementi iconografici si richiamano al neonato Buddha.
Attualmente Yao sta proseguendo il suo progetto di scoperta di strutture e spazi pubblici abbandonati. Nell’ambito di una collaborazione con studenti d’arte iniziata due anni fa, ora sta preparando la sua terza pubblicazione sul tema, documentando 340 strutture e spazi dell’isola.
Testo a cura di Yang Wen-I
Taiwan R.O.C. - MEI DEAN-E
Nell’ultimo ventennio, Mei Dean-E è stato uno degli osservatori più critici del rapido mutamento della società taiwanese. Il corpus di opere basato sulla ricerca di Mei, che spazia dagli oggetti ai video passando per i materiali di recupero, i dipinti, i disegni, le fotografie e le installazioni, è discorsivo e argomentativo, talvolta spiritoso, spesso sarcastico. Possiede un’energia sovversiva e tocca argomenti come la memoria, la storia, le identità culturali e l’ideologia politica di Taiwan.
Analista culturale e politico, Mei si è imposto come figura chiave nell’affrontare il tema delicato dei rapporti di Taiwan con la Cina. Molti collage e oggetti dadaisti spesso rappresentano semplicemente fatti, come la sproporzione geografica delle due entità politiche, tramite simboli, tra cui cartine, bandiere, icone culturali, segni storici e persino un ritratto combinato di Mao e Sun Yat-sen, il “padre nazionale” della Repubblica Popolare Cinese.
I suoi progetti Silk Road del 1994 e Book of Xuang Zang del 1996 costituiscono un’eccezione nella sua opera nel senso che ambedue affrontano un periodo storico considerato l’apogeo della civiltà cinese e appartengono, peraltro, alle sue opere più contemplative, soprattutto la seconda in cui immaginazione e realismo perspicacemente si incontrano con una trattazione saggistica e poetica.
Negli ultimi anni, Mei si è dedicato a opere digitali generate da computer che si appropriano di immagini ottenute da fotografie, giocattoli, uniformi, utensili, cartoline e oggetti del primo periodo post-bellico, oggetti della sua infanzia o, come Mei li definisce, oggetti culturali minacciati, a rischio di estinzione.
Per OPEN, Mei ha presentato due opere, Purgatory Democracy e Happy Festival. Entrambe contengono immagini di scheletri, simboli di morte che rivelano una visione profetica e apocalittica del suo contesto di vita. Come ha detto una volta, Mei considera le derive assurde che si manifestano nella confusione della politica e della cultura come tratti caratteristici della dialettica dell’identità taiwanese che l’autore utilizza per spiegare perché, a Taiwan, i temi legati all’identità coinvolgano l’inscindibilità della realtà culturale e politica.
Testo a cura di Yang Wen-I
Taiwan R.O.C. - CHOU YU-CHENG
Il principale corpus di opere di Chou Yu-Cheng nell’ultimo decennio è stato post-concettuale con tratti di post-minimalismo. Oltre alla ripetizione di segmenti appropriati di immagini simboliche, l’artista propone anche progetti incentrati su ricordi di infanzia e una rappresentazione immateriale del sistema dell’arte nella sua accezione più ampia, ovverosia la simbiosi interdipendente tra le sue varie istituzioni con il suo circuito operativo e l’ecosistema dell’arte. Condividendo alcune caratteristiche con l’arte relazionale di Nicolas Bourriaud, le ultime due pratiche artistiche, malgrado la loro natura apparentemente eterogenea, rivelano un rapporto estremamente complesso, delicato e irrisolto tra i rispettivi partecipanti.
L’opera A Working History - Lu Chieh-Te del 2012 è dedicata a un lavoratore part-time, prima sconosciuto, un certo Lu, assunto casualmente tramite un annuncio pubblicato su un quotidiano dallo stesso artista. Alla mostra, la storia della vita di Lu è stata presentata sotto forma di libro, nato dalla penna di uno scrittore amico di Chou dopo la stretta collaborazione con Lu. Tra gli altri elementi della realizzazione finale della mostra vi erano una grande piattaforma ricoperta di disegni astratti ispirati a una T-shirt di Lu e la presenza dello stesso Lu quale custode.
L’opera successiva di Chou Yu-Cheng, In the Outskirts by Huang Tu-Shui, ha partecipato alla mostra Rhapsody in Green, Evento Collaterale della Biennale di Venezia 2013, un’opera che esemplifica al meglio il potenziale dell’artista nell’esplorare significati più profondi all’interno di una catena complessa di interattività con il sistema dell’arte. Esponendo semplicemente una didascalia a ribadire il concetto dell’esposizione, Chou evoca uno spazio che è al tempo stesso visibile e invisibile, una sorta di parodia dell’affermazione e del diniego di un’opera d’arte ormai persa da parte di un noto artista taiwanese.
La soggettività dell’artista nelle due opere è elusiva e difficilmente definibile. Lavorando con vari materiali come video, pittura, oggetti, elementi architettonici e fotografie, Chou fornisce un sistema aperto di lettura, o significato, una différence nel senso di Derrida, che oscilla tra l’asserzione e la mimica all’interno della struttura di potere dei diversi partecipanti.
The Quilt, l’opera di Chou Yu-Cheng per OPEN, è un’appropriazione del lenzuolo del letto dell’infanzia dell’artista, un atto che è meno esibizionistico di un gesto di condivisione, un trasferimento tra l’interno e l’esterno, il personale e il collettivo, il privato e il pubblico, inducendo in tal modo ulteriori riflessioni sulla natura, la definizione e la funzione dello striscione e dei mezzi di comunicazione in quanto tali.
Testo a cura di Yang Wen-I
Taiwan R.O.C. - CHEN CHUN-HAO
Dal 1997, Chen Chun-Hao ha intrapreso e intensificato un progetto costituito da diverse serie di opere realizzate con “chiodi”. Dalle prime forme astratte con effetti di luce alle opere di “scrittura” con caratteri cinesi per giungere all’attuale riproduzione dei capolavori tradizionali cinesi, Chen Chun-Hao ha sempre e solo utilizzato la pistola sparachiodi come suo unico strumento di lavoro, conficcando innumerevoli sottilissimi chiodi in acciaio inossidabile, detti “mosquito nails”, nella superficie bidimensionale della tela.
Le sue riproduzioni dei paesaggi cinesi del Palace Museum di Taipei contengono sia una mimica post-coloniale che un potere fenomenologicamente sovversivo. Ricreando e copiando i capolavori nella loro dimensione originale con ogni dettaglio, come ombre, densità, luce e consistenza, Chen Chun-Hao non soltanto consolida lo status intrinseco del “capolavoro tradizionale” ma, aspetto più importante, sostituisce e sfida gli strumenti di lavoro ortodossi, pennello e inchiostro, fino a oggi veri e propri simboli dell’artista e dello scrittore, in un’impresa formidabile in cui la tela viene letteralmente crivellata di chiodi (ne servono da mezzo milione a un milione per ogni opera).
In una delle prime serie, Chen ha sviluppato questa sua tecnica caratteristica utilizzando gli ideogrammi cinesi per riprodurre famose calligrafie. Le sue attuali riproduzioni di dipinti di paesaggi comprendono quelle di tre opere iconiche del X e XI secolo del National Palace Museum: Early Spring di Guo Xi (158,3 x 108,1 cm), Travellers Among Mountains And Streams di Fan Kuan (206,3 x 103,3 cm) e Wind in the Pines Among a Myriad Valleys di Li Tang (188,7 x 139,8 cm).
Interessante è notare, tuttavia, che la sua opera per OPEN rappresenta un’enorme silhouette nera di fronte a una tradizionale raffigurazione di un paesaggio. Con le braccia levate a vietare l’accesso, il gesto di questo fantomatico personaggio potrebbe essere una dichiarazione sul rapporto di Taiwan con la Cina in senso storico, culturale o politico, mentre il titolo dell’opera, Non-nuclear Landscape, suggerisce una dimensione di significato alquanto diversa che, vale la pena sottolinearlo, riafferma le connotazioni idealistiche della pittura paesaggistica tradizionale mettendo le sue immagini al servizio di un tema di grande attualità.
Testo a cura di Yang Wen-I