:: Accademia di Belle Arti di Venezia
Stefano Zaratin
L’installazione di Stefano Zaratin riprende, anche se in scala immensamente più grande, tratti del favo d’ape e del nido di vespa: la perfetta e tuttora misteriosa geometria esagonale, l’accrescimento a strati, il lunghissimo elegante peduncolo che emula i tratti del nido sotterraneo. Questo squisito prodotto del design animale si fissa ai supporti prescelti, i più vari: alberi, terreno, rocce, nonché, come sappiamo, finestre e grondaie, tetti e fienili delle abitazioni umane. Non è ancora del tutto chiaro con quale logica api e vespe scelgono dove fissare i favi. Il loro saggio di architettura integrata al contesto ambientale, tema così alla moda tra scultori e architetti, rimane in parte indecifrato. Per Stefano Zaratin, scultore di rigorosa quanto delicata vena concettuale, la citazione di oggetti esistenti effettuata alterando alcuni dettagli, spesso soltanto la scala, è un caratteristico espediente di poetica. In “Untitled”, del 2005, la scritta “NON DEVI SBAGLIARE” appariva intagliata in normografo, il regolo di plastica trasparente che si usa per guidare la mano a tracciare lettere e numeri, però di formato gigante: la luce di un faretto attraversava l’oggetto proiettando al suolo quest’esortazione perentoria, cocci di vetro disposti tutto intorno all’impronta luminosa accentuavano ironicamente l’ironica, impeccabile evocazione di un profilo psicologico molto ansioso e sottomesso.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia
:: Accademia di Belle Arti di Venezia
Nebojša Despotović
Pittore e grafico di non comune immaginazione e talento, Nebojša Despotović ha da poco cominciato ad aprirsi anche nella scultura una strada originale. Il maialetto felice nel suo minuscolo prato di fiori di plastica, con apparato digerente formato da una colorata meccanica di tubi, è l’esatta traduzione tridimensionale dell’affascinante produzione di collages che l’artista ricava da periodici e immagini pubblicitarie, ne riprende puntualmente gli adattamenti estrosi e la sfrenata fantasia visuale. Se nella pittura Nebojša Despotović è un espressionista fantastico e spesso drammatico, con figure singole e a gruppi individuate dalla caratteristica pennellata larga impetuosa e lasciata sgocciolare, nel gioco dadaista del collage fa affiorare una vena ironica e paradossale: le immagini di cronaca e pubblicità si frantumano, poi si concatenano in nuovi insiemi precari, ammiccanti, creando catene di senso traboccanti di divertita ironia. Nelle sculture, per il momento, Nebojša traduce felicemente se stesso, con grande acume visuale, fino a farsi talora il verso: come negli ‘assemblages’ in materiali vari in cui il nastro adesivo marrone da pacchi, dispensato in larghe strisce sovrapposte, emula con sovrana autoironia l’effetto ottenuto in pittura dallo stesso artista con le caratteristiche pennellate larghe e impetuose.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia
:: Accademia di Belle Arti di Venezia
Alex Bellan
La panchina di Alex Bellan è quella che comunemente ci aspettiamo nei parchi e nei giardini pubblici; solo che, stirata su quattro lunghe ed esili zampe da zanzara, è andata a collocarsi ad altezze impossibili. Fa parte di un gruppo di sculture ugualmente impostate sulla negazione della funzionalità, spesso protese verso il cielo: uno sgabello alto 4 metri, una scala che si slancia verticalmente verso il nulla accompagnata da una sedia su cui è impossibile sedersi. Il colore bianco, con la sua potenzialità astraente, unifica la serie, accentuando la volontà di questi oggetti di non cooperare, di sottrarsi ai loro obblighi funzionali divenendo i fantasmi, ribelli e irregolari, di se stessi. Questa logica sottende a molto altro lavoro di questo scultore: che ha realizzato fra l’altro una nave, un’imbarcazione stilizzata dal pesante scafo di ferro, che non può navigare ma viene presentata anch’essa sollevata in alto, sospesa a catene, sopra le teste degli spettatori: una funzionalità trasformata in simbolo, come nei modelli votivi di navi sospesi nelle chiese medievali. Un’inflessione più ironica è avvertibile invece in “Monocycle” (2006): mezzo di locomozione estremo e improbabile anche nella realtà, di cui Bellan accentua ancora la funzionalità impervia, ai limiti dell’impossibile, presentandone una versione alta oltre 4 metri che se ne sta lì appoggiata al muro, nell’improbabile attesa di un acrobata gigante.
Curatrice: Gloria Vallese
Testo a cura di Gloria Vallese
Ringraziamenti: Accademia di Belle Arti di Venezia
: Francia
Louise Bourgeois
8. Il colore è più forte della parola. Comunica subliminalmente. L'azzurro rappresenta la pace, la meditazione, la fuga. Il rosso è un'affermazione a tutti i costi - senza riguardo dei pericoli che lo scontro comporta - della contraddizione, dell'aggressione. Simboleggia l'intensità delle emozioni.
Il nero è lutto, rimpianto, colpa, ritiro. Il bianco significa ripartire da zero. Rinnovamento, possibilità di ricominciare da capo, assoluta freschezza. Il rosa è femminile. Rappresenta il piacere e l'accettazione di sé.
30. Ogni giorno si deve abbandonare il passato o accettarlo e se non si riesce a accettarlo si diventa scultori.
33. Trovo il passato terribilmente doloroso sebbene ci sia legata. E' irrisolto. Eppure non ho alcun gusto per la rivisitazione. E' un paesaggio attraverso cui si è passati e che si è esplorato e superato. Solo il domani è interessante...
Curatore: Vincenzo Sanfo Testo a cura di Louise Bourgeois e tratto da: Chrstiane Meyer -Thoss"Louise Bourgeois, Designing for Free Fall"
Ammann Verlag AG, Zurigo, 1992. Con il patrocinio dell'Ambasciata di Francia in Italia - servizio culturale
: Italia
Marco Nereo Rotelli
Da sempre l'isola, forma che miniaturizza il cosmo, nel suo isolamento, costituisce la rappresentazione di un universo altro, reale e metaforico insieme da vagheggiare, raggiungere e forse abbandonare. L'isola è il coagulo di un desiderio; il rapprendersi di una perla nell'ostrica; è forma formata nel magma; è epifania di un paesaggio interiore - di un "in-scape" - di un luogo nutrito nell'anima e dipinto dal vento, dalla luce, dagl'irati flutti, dalle tempeste. E' apparizione; avvistamento; miraggio; è terra resa feconda dal sorriso degli dei; è la vertigine e l'abisso. L'isola è archetipo primordiale; è analogo primordiale che vuole sostituirsi alla realtà. E Marco Nereo è Prometeo, il titano che ha rubato il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e fare luce; ed è anche un "ulisside": Ulisse "polytropos" e "polymetis" l'uomo del lungo viaggio e l'eroe dalla mente accorta; è colui che possiede la "metis" vale a dire l'intelligenza attiva, fertile, duttile. Ma se Ulisse è colui che ritorna; è l'eroe del ritorno; Marco è invece come Enea: l'eroe che parte per fondare una nuova patria altrove. Egli si muove per andare verso l’altrove con l'occhio della luce e l'alito della poesia. In tal modo dopo aver creato una muraglia di poesia; aver scalato una montagna poetica; aver penetrato e ferito poeticamente una cava abbandonata; illuminato il Petit Palais; unito ponti tra l'Italia e la Bosnia; aver navigato verso l'isola di Pasqua riapproda a Venezia, meglio, in un'isola della laguna di Venezia, spingendosi evidentemente oltre Venezia: raggiungendo Venezia e andando oltre…
Curatrice: Annamaria Orsini
Testo di Annamaria Orsini
Organizzato dal CENTRO ITALIANO ARTE E CULTURA
Con il supporto della Fondazione Marenostrum