: Cina
Changwei Chen
Erodere le vestigia del potere.
Chen Changwei (nato nel 1973 nella provincia cinese dello Yunnan) si è diplomato nel 2000 presso l’Istituto per le Arti dello Yunnan, dove è rimasto per svolgere l’incarico di lettore. Scultore abituato a concentrarsi sulla presenza iconica della figura, Chen utilizza la fibra di vetro lucida, un materiale amato dalle nuove leve, per sottolineare il rapporto che intercorre tra iconografia e sensibilità contemporanea. Attraenti e variopinte, le sue sculture sono in genere moderne e alla moda, garbatamente divertenti e nel contempo mimetizzate nel quotidiano come può esserlo anche un oggetto di plastica e delle maioliche industriali. Prima delle serie attuali, Chen ha dedicato svariati anni a sviluppare un’interpretazione comica dei dodici simboli zodiacali, presentati nel contesto dell’albero della vita e con riferimenti a sesso, patriottismo e razza. La presenza iconica di queste creature simboliche è stata adeguata allo spirito della cultura popolare: leggere, sdolcinate, stilizzate per agevolarne il riconoscimento. Durante una sperimentazione con la fibra di vetro due anni fa, Chen è rimasto colpito dalla natura morbida e indefinita di questo materiale, dalla sua sericità sensuale che ha ispirato l’attuale serie di oggetti ondulati.
Molti degli oggetti creati da Chen con spirito irriverente sono tutt’altro che leggiadri. Tra di essi figurano un teschio, il busto di Mao, una pistola, libri aperti e chiusi, modelli di viali cittadini intasati dal traffico, nubi informi e montagne. Buona parte di questi oggetti rappresentano il potere e sono raffigurati nelle loro forme consuete, salvo presentare una superficie articolata. Il busto di Mao e il teschio sono grinzosi e butterati, così consumati dalle intemperie da trasmettere l’impressione opposta di immagini perenni che non possono (o non vogliono in nessun modo) essere cancellate. Il libro aperto offre una lettura interessante e pare quasi che lava rovente stia ribollendo al suo interno. I paesaggi urbani sembrano sciogliersi sotto la calura, congestionati da vetture che affondano nell’asfalto vischioso, oppure si piegano e si allungano, come i grattacieli che oscillano sotto i colpi di un temporale. Questa resa particolare, ottenuta impastando con le dita l’argilla del modello, attribuisce alle forme scultoree di Chen un tocco locale nella misura in cui ricorda le estati della città di Kunming, quando la canicola sfuma tutti i contorni. Chen utilizza questo metodo anche al fine di prendere le distanze dalle forme scultoree acquisite in ambito accademico. Vediamo emergere un dilemma tipico del formalismo accademico: sebbene Chen abbia sfidato inconsapevolmente l’immutevolezza della rappresentazione iconica, non riesce a negare la sua presenza né la sua influenza. Queste icone permangono in un regno parallelo, apparentemente eterno. La presenza vacua del busto di Mao, il teschio o la pistola prendono forma mano a mano che Chen modella l’argilla, materializzandosi per volontà propria attraverso il lavoro dell’artista. La trasmissione di questa iconografia è rimasta per lungo tempo una prerogativa degli artisti formati in ambito accademico, i quali a loro volta hanno radicato queste immagini nella visione culturale collettiva. Queste icone sono simboli del potere della nostra società; non è facile modificarne la forma e neppure effettuare ritocchi banali. Possono essere ridicolizzate, deformate in veste pop o viste sotto una nuova luce, ma le icone del potere non accettano di scomparire in sordina. Chen sa di non poter sopraffare la forma iconica e sceglie pertanto di sottometterne gradualmente la solennità erodendo i dettagli, dissolvendola. Nelle sue mani, l’argilla si erge contro la forma. L’elegante finitura di smalto alla superficie vuole distogliere dalla gloriosità innata dell’icona. Chen osserva queste icone con gli occhi della sua generazione, con uno sguardo distante e impreciso.
Con questo medesimo sguardo Chen si rivolge a un’altra serie di icone provenienti dal passato della Cina: le montagne incantate. Anche qui permane la difficoltà di una visione nitida, ma il problema si pone in altri termini. A differenza della prima serie di icone, in questo caso non esistono forme predefinite cui attenersi. Chen modella le rocce e i rilievi ispirandosi all’antica pittura paesaggistica cinese, ma non offre una soluzione univoca. E forse il motivo non va ricercato in questo caso nel mezzo scultoreo. Non esiste una soluzione univoca perché il potere personificato dalle montagne incantate è di tutt’altra natura. Si tratta di un potere che non necessita dell’avallo dei politici e della società ma richiede piuttosto un’ardua ricerca e un’indagine personale. La generazione di Chen considera queste icone tramontate ormai da tempo e forse è suo compito adesso reinventarle, strappandole di nuovo all’oscurità.
Curatore: Chang Tsong-zung
Testo a cura di Chang Tsong-zung
Con il sostegno di: Hanart TZ Gallery
: Cina
Xiao Ge
La ricerca di Xiao Ge, passata attraverso un lungo percorso di studio tra disegno e pittura è oggi approdata ad una formulazione di concetti in bilico tra racconto e memoria. Memoria di luoghi, vicende, incontri, che ne hanno via via formato il carattere, gli interessi, le passioni e proprio per ciò divenute parte integrante del suo lavoro. Attraverso l'uso del suo corpo o di quello di persone da lei selezionate, ella interagisce con la sua memoria e la sua storia, in particolare nella performance "Passage", realizzata per OPEN, il corpo diventa il mezzo per esaltare o cancellare i ricordi della sua vita in una sorta di riattraversamento autobiografico di emozioni, dolori o semplici accadimenti della sua ancor giovane vita. Il colore, steso con il corpo in una sorta di danza, dalla formulazione eroticamente esorcizzante, diventa cancellazione mnemonica di un vissuto. Nella sua performance Xiao Ge mette in scena la propria fragilità, e nello stesso tempo, la propria tenacia, nella stentatezza di un gesto senza controllo logico, quasi direi spudorato e da questo gesto, da questo suo "mettersi in scena" nasce quel suo linguaggio che diventa così arte. Figlia di quei movimenti artistici maturati ed esplosi in Cina a cavallo degli anni ottanta e novanta e in particolare derivati da quella mostra evento del 1989 "China-AvantGarde", che divenne una sorta di spartiacque tra arte ufficiale tradizionale e nuovi fermenti artistici, dalla quale nacque un nuovo modo di fare arte in Cina, Xiao Ge facendo proprio il messaggio di quell'evento e abbandonati gli strumenti tradizionali del fare arte si è tuffata in una ricerca di "riappropriazione critica, di rigenerazione, della sua esistenza come cinese e come artista". Indossato l'abito cinese "Qipao", ella entra in contatto con le immagini della sua storia che, cancella o esalta, con stesure di colore direttamente spalmate sulle immagini con il suo corpo che rivestito dalla e candida veste, sarà alla fine intrisa e lorda di materia colorata, rimanendone indelebilmente macchiata, come in una sorta di sudario sindonico attraverso cui "la cronaca del vissuto e la storia collettiva lasciano le loro impronte". Con l’uso sapiente dell’immagine fotografica, accompagnato dalla forza evocatrice della materia colorata, e ai gesti eroticamente tribali del suo corpo, esaltati dal candido "Qipao", ella ci trasporta in una sorta di incantesimo, in cui materia, colore, gesto e visione diventano un "metalinguaggio che unisce idealmente occidente e oriente sulla soglia di un nuovo codice poetico".
Curatore: Vincenzo Sanfo
Testo a cura di Vincenzo Sanfo
: Cina
Zhao Guanghui
L'evoluzione delle macchine viventi
Zhao Guanghui (nato nel 1972 nella provincia cinese dello Yunnan) si ispira a un opuscolo pubblicitario di una linea di autovetture per presentare il proprio opuscolo di vetture assurde. Un’auto dalle dimensioni di una Mini Cooper e la forma di un pesce rosso prossimo a raggiungere la terraferma è chiamata “Nimi-Z”; l’opuscolo la descrive come una macchina da corsa a sospensione magnetica priva di ruote, un prodotto miracoloso nato dal connubio tra biotecnologia e ingegneria. Un’altra vettura chiamata “Subaro - Imprezo”, simile all’incrocio tra una razza e uno squalo, figura nell’opuscolo corredata da una costellazione di accessori meccanici e un motore. Questi sono i veicoli immaginari di domani, il prossimo passo nell’evoluzione delle macchine che un giorno acquisiranno la capacità biologica di trasformarsi in creature ancora più stupefacenti.
La tendenza biomorfica delle innovazioni tecnologiche è fortemente radicata nella storia della civiltà. Le macchine che hanno sostituito gli animali domestici in diverse mansioni ne hanno assunto anche le caratteristiche specifiche di prestanza fisica che più colpiscono l’immaginazione umana. A partire dall’avvento dell’era industriale con il controllo di nuove fonti di energia, la tecnologia è cresciuta a ritmo accelerato e senza mai voltarsi indietro. Adesso conosciamo soltanto il potere e l’efficacia potenzialmente infiniti dei manufatti industriali; abbiamo dimenticato i limiti imposti dalla natura sulle capacità degli organismi viventi. Abbiamo dimenticato anche la funzione primaria di queste capacità, sviluppate innanzi tutto per soddisfare bisogni biologici ben precisi.
Nella nuova generazione urbana che conosce in prima persona solo gli animali domestici, lo stupore per le abilità speciali del regno animale continua ad essere alimentato e sorretto dai documentari naturalistici alla televisione e dai cartoni animati Digimon. Per questa generazione, le vetture fantastiche di Zhao non sono realizzazioni impossibili, anzi paiono dei prodotti perfettamente legittimi in attesa del loro turno alla catena di montaggio. Anche le soluzioni tecnologiche più improbabili non riescono talvolta a scoraggiare il possibilismo dei giovani di oggi.
Zhao scruta l’orizzonte per individuare il prossimo grado evolutivo delle macchine, ma il suo stile di pensiero lo induce anche a voltarsi indietro. Nel 2005 ha dato il via a una serie di opere intitolate “Excavated Future” (Reperti dal futuro) . In questa serie Zhao presenta frammenti fossili pseudo-ossei ricoperti da cumuli di sabbia. I fossili che emergono hanno la forma di parti di un’autovettura o di un computer. Con questa serie l’artista ci proietta in avanti, in un’epoca in cui gli umani possono osservare il nostro presente preistorico, recuperando i reperti fossilizzati delle nostre macchine come se si trattasse di dinosauri moderni. Questa prospettiva evolutiva delle macchine viventi non pretende necessariamente di porsi come modello rappresentativo per l’evoluzione del mondo animale. La premessa evolutiva della “legge del più forte” sottintende che nel mondo naturale sopravvivono soltanto gli organismi più forti. Eppure tale premessa non può essere accolta in maniera aprioristica. Forse la visione tradizionale e ottimistica sull’evoluzione delle specie è nata dall’osservazione dell’evoluzione delle macchine, che diventano obsolete in seguito a variazioni nella tecnologia e nelle esigenze umane. Forse la nostra lettura del mondo biologico è stata influenzata inopportunamente dalla nozione di progresso scientifico. In questo caso, le macchine viventi di Zhao assurgono a simbolo beffardo della nostra epoca e a caricatura perfetta del nostro immaginario collettivo.
Curatore: Chang Tsong-zung
Testo di Chang Tsong-zung
Con il sostegno di Hanart TZ Gallery
: Cipro
Catselli Trachoniti Kakia
"Aphrogennimeni" – nata dalla schiuma: uno degli epiteti della dea greca Afrodite (“nata dalla schiuma”), nata, secondo un mito, dalla schiuma del mare, vicino Cipro. In tempi recenti, soprattutto nell’era post-coloniale, Afrodite è stata parte integrante dell’autorappresentazione collettiva greco-cipriota, specialmente nei confronti degli outsider. In una comunità cristiana (prevalentemente greco-ortodossa), una divinità pagana può solo essere un riferimento “culturale” superficiale, soprattutto a fini turistici. Eppure, al tempo stesso, Afrodite è un frammento di una costruzione ideologica più ampia, che si richiama ad una “continuità” culturale secolare “inviolata”. L’“Afrodite” di Kakia Catselli-Trachoniti, nella sua installazione "foam birth", insidia gli stereotipi dominanti, si astiene dal partecipare ai dibattiti prevalenti e si richiama ad una diversa (parte della) tradizione. In luogo dei prototipi visivi ipersfruttati, come la statua di Afrodite ellenistica del I secolo a.C. di Soloi, sulla costa occidentale di Cipro, o la più famosa "Venere" di Botticelli – la figura femminile di Kakia Catselli-Trachoniti è “generica”: un manichino – come quelli utilizzati dalle sarte – senza braccia e senza testa (forse un riferimento a statue antiche in parte danneggiate, come la succitata "Afrodite" ellenistica), realizzato in schiuma a pressione plastificata (riferimento parimenti indiretto, questa volta alla nascita mitologica della dea). La figura spicca da una piattaforma ricoperta una pavimentazione il cui disegno ricorda quello utilizzato nelle abitazioni cipriote durante la maggior parte del secolo scorso, intridendo ulteriormente l’installazione di una certa “familiarità”. Come un simbolo sacro astorico, indifferente alle offerte della gente, ma in procinto di riceverle, come una donna sul punto di provare un abito non ancora terminato, come una superficie bianca che ha bisogno di essere iscritta, la figura in rilievo si erge immobile. Man mano che viene vestita, viene iscritta. Il suo abito in plastica – una sorta di copertura-rifugio – è decorato con motivi floreali schematici, colorati, motivi copiati da quelli utilizzati nella vecchia tradizione della fattura delle "mandilas" [mandila = (testa) sciarpa, fazzoletto da capo, mantiglia]. Ora, a Cipro, la tradizione delle "mandilas" è estinta. Era una vecchia tradizione custodita da piccole aziende a conduzione familiare, ciascuna delle quali salvaguardava i propri segreti per la fabbricazione delle tinture con le quali erano colorati i motivi organici dopo che i loro contorni erano stati impressi sul tessuto utilizzando stampi in blocchi di legno ("manas"). L’intero processo somigliava al lavoro svolto nel laboratorio di un alchimista medioevale e la protezione dei “segreti” dell’arte ha contribuito alla scomparsa della tradizione. La "mandila" era parte integrante dell’abbigliamento delle donne (e occasionalmente degli uomini) e spesso era veicolo di vari simbolismi. Tra i suoi utilizzi pubblici vi era un breve rituale (ancora in uso) nel quale i genitori passavano una "mandila" attorno alla vita della sposa e dello sposo a simboleggiare il legame familiare e la benedizione trasmessa alla giovane coppia. In altre occasioni, indossare una "mandila" nera era segno di lutto e dolore. A questa tradizione si richiama l’opera di Kakia Catselli-Trachoniti. La sostituzione della plastica al tessuto per l’“abito” allude alla morte dell’elaborato procedimento-rituale manuale di fattura della "mandila", ma, nel contempo, rappresenta una forma di resistenza allo sfruttamento a piene mani, nostalgico, ispirato ai cliché e, dunque, superficiale, del passato locale. L’intera costruzione, invece, aspetto sottolineato dalle ampie stampe sospese in guisa di palinsesto ad un palo posto accanto alla “figura” principale dell’installazione, funge da veicolo della memoria personale, una memoria che inevitabilmente contiene aspetti della coscienza collettiva (ma anche dell’inconscio), pur opponendo resistenza ai discorsi collettivi, egemonici. Nonostante i riferimenti apparenti alla tradizione recente e alle presunte allusioni all’antica mitologia, "foam birth" resta ostinatamente personale, ma non per questo ermeticamente sigillata: è un’opera aperta che stimola incontri e scambi individuali, interpersonali.
Curatore: Antonio Danos, Assistente Professore - Dipartimento di Arte e Design - Intercollege - Nicosia - Cipro
Testo a cura di Antonio Danos, Assistente Professore - Dipartimento di Arte e Design - Intercollege - Nicosia - Cipro
Con il supporto del Ministero per l'Educazione e la Cultura - Servizi Culturali, Cipro
Ringraziamenti: Abacus Limited, Catselli Plastics
: Francia
Arman
Arman è oggi il maestro consacrato del linguaggio dell'appropriazione quantitativa. Dico sempre che la sua opera è il "discorso del metodo" (discours de la méthode) del Nouveau Réalisme. Fra il 1959 e il 1964 Arman ha concepito e verificato le sintassi maggiori del suo linguaggio quantitativo (Accumulations, Coupes, Colères, Combustions). È ormai da più di trentacinque anni che la sua produzione vive al ritmo accelerato di questa trama operativa. Il potere creativo di Arman è senza limite, dal mini-gioiello al maxi-monumento. L'universo degli oggetti è infinito. Oggetto dopo oggetto, tematica dopo tematica, la mente di Arman, in permanente agguato, sta esplorando il mondo: il suo mondo, quello dell'industria. Su questo secolo, che ha raggiunto ormai la fine, Arman lascia la sua impronta personale ed unica, quella del grande ingegnere ispirato dal riciclaggio poetico della produzione industriale. La sua intelligenza dell'oggetto è affascinante, allucinante, genialmente estrosa.
Curatore: Pierre Restany
Testo a cura di Pierre Restany
Con il supporto e per gentile concessione di: Galleria Vecchiato
Con il patrocinio dell'Ambasciata di Francia in Italia - Servizio Culturale