:: Macao Museum of Art
Ieong Kent
Muovendo la palla grande con la palla piccola, lo sport può cambiare la prospettiva...
Curatore: Ung Vai Meng
Testo a cura di Ieong Kent
Con il supporto ed il patrocinio, e per gentile concessione del Civic and Municipal Affairs Bureau, Macao Museum of Art
:: Macao Museum of Art
Wong Ka Long
Questa scultura rappresenta un antico motivo cinese, chiamato in mandarino “Shuang Xi”, principale decorazione del tradizionale banchetto nuziale cinese, che simboleggia la doppia benedizione dello sposo e della sposa. In un’epoca in cui stile di vita e cultura cambiano rapidamente, il motivo richiama con forza il tradizionale concetto cinese di matrimonio esortandoci a interrogarci sul significato ultimo dell'unione coniugale ideale nel nostro mondo interiore. Presentando “Shuang Xi” a Venezia Lido, vorrei trasmettere dal più profondo del cuore la mia benedizione a tutte le coppie del mondo.
Curatore: Ung Vai Meng
Testo a cura di Wong Ka Long
Con il supporto ed il patrocinio, e per gentile concessione del Civic and Municipal Affairs Bureau, Macao Museum of Art
Ringraziamenti: Kelly Kuan
: Messico
Gabriela Malvido Oest
Assenza di Dio
"Dio non ha poli nè preferenze: è energia pura"
Testo Buddista agnostico, secolo VI
Maria Zambrano, la grande filosofa spagnola, si chiede perchè l’essere umano abbia tanti problemi ad affrontare il divino. La nostra epoca, così repentina e veloce, ci porta ad adottare pratiche spirituali carenti di un compromesso con Dio o gli dei. Uno ha due possibilità di fronte al divino: venerare la sua presenza o negarla. Però eludiamo il principio fondamentale e vero della religione: una spiegazione etica sull’origine del bene e del male, sul perchè della luce e dell’oscurità e sul ritmo del progetto cosmico. Lo stesso succede con la fotografia, come dice l’artista e pensatore buddista Stephen Batchelor: “Ogni azione fotografica è un disegno fatto con luce”. Dobbiamo considerare inoltre che da un lato si trova l’inquadratura dell'artista e ciò che egli crede di vedere, mentre dall’altro lato ciò che lo spettatore intende di quella immagine. Scriviamo questi sillogismi perché al momento di osservare immagini di luoghi sacri certi concetti ci sfuggono con facilità. Quindi sorge la domanda: come affrontare le fotografie di Angkor dell’artista Gabriela Malvido? Dei due grandi complessi di templi antichi che esistono nel conflittivo sud-est asiatico, uno si trova a Bagan, Burma e l’altro ad Angkor, Cambogia. I templi di Angkor, costruiti dalla civiltà jerémer tra l’802 ed il 1220 dell’era moderna, rappresentano uno dei successi architettonici a lunga conservazione dell’umanità. Da Angkor i re jerémeri governarono un vasto dominio che si estendeva dal Vietnam ed una parte della Cina fino alla Baia del Bengala. Angkor Dak, la “città che è un tempio” fu concepita come uno specchio della costellazione del Drago. L’esuberanza della foresta, le leggende sulla città perduta e riscattata dai monaci buddisti nomadi, la numerologia che racchiude la cosmologia brahmanica, il ponte tra Cina ed India, il lago che serve da specchio e la strana fame degli alberi che divorano i templi sono solo alcune delle situazioni che generano l’alone di mistero su Angkor Thom che neanche Giulio Verne o Joseph Conrad avrebbero potuto sognare. Gabriela Malvido non scelse di fotografare la terribile realtà della Cambogia durante il suo viaggio nella città sacra, né di fotografare a sua figlia montando sull’elefante; né tanto meno scelse le inquadrature tipo "national geographic" quando arrivò ad Angkor Thom, la città tempio. Invece osservò come alcuni alberi si erano impossessati del Tah Prom, un tempio all’interno del complesso architettonico. La sua opera è una "sineddoche" di ciò che succede tra la natura e le opere umane. Gabriela scoprì che le radici multiformi abbracciano le strutture come se fossero il braccio giusto di un Dio assente che vorrebbe dare una lezione all’orgoglio degli uomini. Ricordiamo che sono trascorsi 145 anni nel tentativo di riscattare Angkor dalla ferocia naturale e dal saccheggio umano. Gli alberi, incuranti delle opere dell’uomo, sono cresciuti con un processo naturale nel trascorso dei secoli finché la loro presenza sopra il tempio impose una lezione ai monaci erranti. Costoro decisero che il cammino verso il Nirvana fosse un viaggio senza proposito e che la natura dovesse esercitare le sue leggi affinché fosse possibile l’armonia. In un mondo in cui stiamo cercando di riscattare tutto, ci sembra incomprensibile l’azione dell’albero sopra il tempio; per il mondo antico il progetto cosmico aveva altri meccanismi di metodo. Infine, ricordiamo le sagge parole del gran re jerémer Yayavaram VII, quando parlò delle sue intenzioni di edificare i templi: “Pieno di profonda simpatia per il bene del mondo, per concedere agli uomini l’ambrosia delle medicine per conquistare l’immortalità...Per la virtù di queste buone opere, vorrei poter riscattare tutti coloro che stanno lottando nell’oceano dell’esistenza...”.
Curatore: Vincenzo Sanfo
Testo di Carlos Aranda Màrquez
Con il patrocinio dell'Ambasciata del Messico in Italia
: Messico
Javier Marín
Javier Marín ha conferito all’uomo, ancora una volta, la massima dignità, restituendogli forza e grandezza, vitalità e luce, desideri e voglia di vivere, ribellione, potere, e addirittura la fiducia nel proprio dono umanitario che, seppure calpestato senza misericordia, non può essere distaccato dall’essere umano. Non rimane dunque molto spazio tra atrocità e apatia, ma in questo pertugio abbiamo costruito il nostro rifugio ignominioso, in cui abbiamo costretto il nostro stesso corpo, i nostri giorni, e tradito la nostra intimità. L’essere umano non delude Javier Marín che continua a scolpirlo con dolore, ammirazione, devozione, amando di un amore tremendo la sua gerarchia brutale, colmo di potere profondo, compassione e nobiltà, ardore e umanità.
Curatore: Vincenzo Sanfo
Testo a cura di Vincenzo Sanfo
Con il patrocinio dell'Ambasciata del Messico in Italia
: San Marino
Giovanni Giulianelli
Nel variegato mondo dell’arte esistono, per gli artisti, due strade percorribili: una è quella della ripetizione di un modulo sempre uguale a se stesso, sino a divenire una cifra stilistica, l’altra è quella della sperimentazione continua, della lotta con l’idea sempre nuova e quindi la ricerca di nuovi terreni da esplorare.
Giulianelli appartiene a questa seconda categoria, artisti inquieti, mai soddisfatti del loro punto di arrivo, il quale rappresenta solo una tappa verso altre sperimentazioni, altre ricerche.
Il suo lavoro si colloca quindi sulla scia dei grandi sperimentatori, da Duchamp a Beuys, dei quali respira il soffio creativo e recepisce le istanze intellettuali di u dibattito ancora non concluso tra idea e concetto. Giulianelli affronta la sua voglia di fare arte proprio dal punto vi vista dell’atto creativo, vissuto non solo come elemento decorativo, ma come espressione di un concetto il quale deve comunicare sensazioni, riflessioni e porre interrogativi.
La strada da lui scelta non è certo la più facile, ma, proprio per questo, è forse la più intrigante, loa più consona a questo nostro mondo fatto di precarietà ed inquietudine, ed è compito proprio degli artisti, quelli veri, di scandagliare le nostre coscienze, stimolare le nostre riflessioni, costringerci a pensare e a vedere ilo mondo intorno a noi con occhi nuovi e fortemente critici.
Il lavoro di Giulianelli quindi è una sorta di coscienza capace di stimolare e renderci partecipi degli accadimenti del nostro tempo, proiettandoci però verso mondi nuovi. Curatore: Vincenzo SanfoTesto a cura di Vincenzo SanfoCon il supporto di: Pier Giorgio Pazzini Stampatore EditoreCon il patrocinio di: Segreteria di Stato per gli Istituti Culturali - Repubblica di San Marino, Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea - Repubblica di San Marino, Ambasciata della Repubblica di San MarinoRingraziamenti: SimonaPhoto credits: Diego Gasperoni