Paesi Bassi
Jackie Sleper
Racconti. Riflessione lirica sull’esistenza e sulla natura
L’universo di riferimento di Jackie Sleper è quello dell’amore, ma non nella valenza erotica, bensì in quella più intimista e fantastica di una favola ‘bella’, che non illude ma, seducendo, riconduce l’uomo sui sentieri sempre nuovi di un mondo veduto come attraverso gli occhi incantati di un fanciullo. I suoi quadri sono visioni oniricamente surreali, con un’esplosione gioiosa di colori e di forme, quasi come fossero desunte da virtuali e rutilanti ‘collages’ di immagini. Il suo modo di fare pittura, accostando il realismo di immagini fotografiche – ma fotomontate e abbinando elementi ‘fuori scala’, così da stravolgere la realtà come in un sogno – ad una gestualità cromaticamente sintetica che riduce gli oggetti e le figure a icone dell’immaginario infantile, ci trasporta sui sentieri di una novella moderna o, meglio, postmoderna. Analogamente e parallelamente si sviluppa il percorso dell’artista in campo scultoreo. Le sue opere tridimensionali, con processo concettuale sostanzialmente analogo, assemblano oggetti ben definiti e riconoscibili di materiali tra loro diversi (porcellana, pietre dure, metalli, plastica, resina, ecc.) e spesso virati nelle loro cromie originariamente reali. L’unicum finale che ne deriva esprime un pensiero o meglio una riflessione lirica sull’esistenza e sulla natura, oggi troppo spesso contaminata e messa in pericolo dal cinico pragmatismo dell’uomo. Le sue sculture, sempre simboliche e surreali, sono una parafrasi della vita ed una moderna parabola sussurrata, dove si mescolano filosofie e religiosità occidentali e orientali, mistica della natura, gioia della vita in un’esplosione semplice e serena di una vibrazione cosmica. I colori primari e assoluti, dati per smalti traslucidi, nei riflessi perlacei che trasformano le masse plasmate di resina quasi in preziose e fragili porcellane e madreperle, contribuiscono a condurci ad un ritorno alla figurazione elementare, così come divulgata dall’arte ‘popolare’ (Pop Art), ma che si ricopre di riferimenti postideologici e transideologici, come riflesso coerente dell’arte contemporanea, ovvero postmoderna. Opere che accarezzano lo sguardo e rasserenano l’animo, andando diritte al cuore dell’uomo, senza la virulenza ideologica e provocatoria che era stata propria delle avanguardie novecentesche; opere il cui messaggio suadente e pacato è, nel contempo, sempre forte e ben deciso, lucidissimo, come sottolineato dai commenti stessi che Jackie Sleper accosta alle sue sculture. Basti pensare a “Modestia”, un inno al cavallo, umile ma sempre libero, e a ciò che eticamente rappresenta. Alcuni elementi sono ricorrenti nel suo vocabolario simbolico, come le grandi rose (in “Modestia”, “Tenzin” o “Blue Royal Duck”), gli animali ‘parlanti’ (si pensi a “Camee”) ed i puttini (“Innocence”), significanti – questi ultimi – la favola etica e didascalica, con strette assonanze al mondo antico del mito (parola che non a caso in greco significa ‘racconto’) – talvolta citato espressamente in chiave moderna, come in “Thea tis Thalassas” – e al suo valore moralizzante, appunto attraverso la purezza vitale e fragilmente indifesa dei fanciulli (ricordiamo l’inno universale di Vivere). Anche i colori non sono casuali o semplicemente armonici tra di loro, ma sempre legati al significato che ogni cromia ha per l’uomo e ai loro riflessi sulla psiche (il blu, il rosso, ecc.). Una perfezione di forme morbidamente essenziali in espansione vitale, quasi simboleggiata dalla ‘rinascita’ nella purezza di “Clarity”, che pone la produzione della Sleper in un contesto originalissimo nell’ambito della scultura poeticamente ‘didascalica’ e nel panorama della produzione artistica europea contemporanea.
Curatore Giampaolo Trotta
Con il sostegno di GOMECSYS - B.V.
Francia
Frederique Nalbandian
In un mondo sempre più virtuale e velocizzato dall'informazione Frédérique Nalbandian evita di utilizzare i materiali che si presentano rigidi, duri, estremamete compatti, per privilegiare quelli morbidi, flessibili e duttili che per la loro consistenza possono essere facilmente plasmati dalla mano dell'artista. Frédérique ama quindi usare il gesso, il sapone, la cera e la paraffina per la loro capacità di avvolgere le cose, gli oggetti ma anche le forme organiche, quali la carne e gli organi dell'uomo. Non c'è nella sua opera una forte esigenza al riduzionismo dell'immagine come nell'Arte Povera e neppure il bisogno del recupero degli elementi primari della natura, ma piuttosto il desiderio di recuperare la memoria delle cose e le forme degli oggetti preesistenti riproponendoli in un linguaggio caldo e personale. Il lavoro di questa artista è in qualche modo più vicino alle esperienze delle Mitologie Individuali degli anni '70, dove il linguaggio dell'arte diviene lo strumento per recuperare l'estensione della spazialità dell'essere-
uomo in tutte le sue diverse direzioni e in tutte le sue facoltà immaginative. Il suo linguaggio è quello della ricopertura degli elementi sparsi nel nostro mondo quotidiano, al fine di carpirne in negativo la forma che ella successivamente ricostruisce in gesso o col sapone. Il suo dispositivo di lavoro è quello di frantumare con il martello dei pezzi di realtà e ostenderli sui muri o sul pavimento dei luoghi di esposizione. Realizza in tal modo il suo progetto, ovvero mettere questi frammenti in presa diretta con lo spettatore, che viene pertanto coinvolto in un'esperienza estetica. Attraverso la frammentazione delle immagini in negativo, essa ottiene delle forme inusitate e enigmatiche, che conservano il calore della vita e restituiscono, attraverso le impronte delle sue dita lasciate sul gesso, la testimonianza personale del suo fare operativo. Questo desiderio di distruggere e modificare la realtà nasce certamente da un suo stato interiore, quasi a visualizzare un proprio disagio, che genera e produce il gioco delle emozioni. Rompere le fattezze del reale e ricrearlo sotto forma di nuove immagini è un atto creativo riparatore di una mancanza di amore che l'artista vuole colmare e riempire di significato. Attraverso questo suo atto di trasformazione e condivisione, essa partecipa in prima persona alla vita delle cose e degli eventi, in modo da stare loro insieme mediante l'azione di una reciproca coesistenza. Quello che più colpisce nel fare creativo di Federica è questo processo che mette in scena la tattilità della materia ridotta in frammenti, la quale ci restituisce la potenzialità di recuperare la memoria delle cose e il calore della vita espressa dall'integrità dell'uomo. E' “l'idea tradotta in materia”, che attraverso la sua fisicizzazione produce un'emotività antropologica intensa e cerebrale.
Curatore Enrico Pedrini
Italia
Marco Nereo Rotelli
“Bunker Poetico” alla Biennale di Venezia 2001, “Light Bunker” al Living Theatre di New York nel 2006, “Bunker Anatomico” oggi all’aeroporto Nicelli al Lido di Venezia. L’idea del bunker nasce dal voler proporre tramite la metafora bellica, una riflessione sull’uomo, sulla sua necessità di identità e sulle costrizioni alla libertà. “L’ultimo sogno di Eva Braun” è una installazione dedicata al volto umano di ogni essere: alle ultime parole di Eva Braun nel Füehrerbunker, agli sguardi, ai gesti, alle parole di un amore estremo. La poesia, come scriveva Pasternak, unisce i distanti. In questa interiorità la distanza non esiste più. Le parole sono cose, le cose sono parole, il reale è irreale, l’irreale l’universo della quotidianità. Giocando sulle parole come limite, il bunker stesso si fa scultura della vita, una “unità di abitazione” estrema.
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Aus dem stillen Raume,
Aus der Erde Grund
Hebt mich wie im Traume
Dein verliebter Mund
Wenn sich die späten Nebel drehn
Werd' ich bei der Laterne steh'n
Wie einst Lili Marleen,
Wie einst Lili Marleen.
Da luoghi silenziosi
dal profondo della terra
si alza come in un sogno la tua bocca
quando le tarde nebbie svaniranno
io sarò di nuovo vicino al lampione
come una volta Lili Marleen
come una volta Lili Marleen
From my quiet existence,
And from this earthly pale,
Like a dream you free me,
With your lips so hale.
When the night mists swirl and churn,
Then to that lantern I'll return,
As once Lili Marleen
As once Lili Marleen
da “Lili Marleen”
"Lili Marleen" è una celebre canzone pacifista tratta da un poemetto scritto nel 1915 da un soldato tedesco.
Curatore Marco Nereo Rotelli
Si ringrazia Centro Italiano Arte e Cultura, Galleria Soave
Courtesy of Fondazione Banca Agricola Mantovana
Layout Grafico Elena Lombardi
Finnish Academy of Fine Arts
Antti Majava
Antti Majava è un artista che lavora con molti supporti diversi, ma l’aspetto caratterizzante della sua opera è la specificità rispetto al sito e alla situazione, sebbene anche lo spazio abbia la sua importanza. Majava erige i suoi commenti sociali in luoghi che ci mostrano la nostra realtà come una totalità dinamica costituita dalle nostre scelte. Per la decima edizione di OPEN, Majava ha creato un quadro resistente agli agenti atmosferici intitolato Human Resistant (2007), di ispirazione marittima. L’opera è un grande dipinto realizzato in un linguaggio moderno, ma può anche essere vista come un oggetto costruito che somiglia ad un segnale di navigazione semplificato. Dal punto di vista della pittura in sé, a distanza ravvicinata, l’opera è forse persino troppo minacciosa, brusca, quasi monitoria, per non parlare dell’estrema artificiosità del materiale con il quale è realizzata, mastice bituminoso. Da lontano, nondimeno, l’opera incarna anche l’idea della sopravvivenza e della sicurezza. È importante per l’artista che l’opera non sia soltanto un motivo artistico, ma consenta l’osservazione prescindendo da tutte le aspettative normalmente riposte nell’arte. L’opera si accosta alle persone che passeggiano lungo il Lido, ma è quasi un segnale di guida, poiché pare rivolgersi ad altri, essere vista da un altro luogo.
"A volte è giusto guardare qualcosa da un’angolazione "sbagliata": forse tutto non è proprio come dovrebbe essere. Mi piace l’idea che l’arte faccia sempre riferimento ad un luogo altrove, ad un "altro". Per me, è il modo di pensare nella pittura che fornisce un modo per comunicare messaggi contraddittori, per funzionare razionalmente con irrazionalità", afferma l’artista.
Curatore Pilvi Kalhama
Presentato da Finnish Academy of Fine Arts
Con il Patrocinio dell'Ambasciata di Finlandia in Italia
Si ringrazia Marianna Uutinen
Australia
Lindy Lee
La stima di cui gode l’opera di Lindy Lee ne attesta la capacità, in senso quasi classico, a commuovere il pubblico. Lee è una rappresentante della prima generazione di australiani di origine cinese e dagli anni ’90 la sua pratica del buddismo Zen influenza i suoi dipinti, le stampe e le installazioni che si basano su riproduzioni, campi di colore e gli espressivi “schizzi” di cera. Dopo aver fatto la loro comparsa nel 2004 i suoi striscioni a tendina evocano una qualità celebrativa ed araldica in un’opera che privilegia l’esperienziale e l’esistenziale. Lee non è una fotografa –eppure la capacità di fotografare per animare narrazioni complesse è un tema ricorrente nel suo lavoro. Nel 2001 Lee riconosce nell’esistenza di una vecchia fotografia di famiglia una sorta di punto, la qualità caratteristica di certe immagini che sono in grado di penetrare profondamente nella coscienza. La sopravvivenza di queste foto ne intensificano l’importanza nel tempo come veicoli della memoria, connessione ed elasticità. Uno sguardo speciale può penetrare in un complesso infinito di momenti accumulati – la sopravvivenza della sua famiglia nel contesto della rivoluzione cinese e l’immigrazione in Australia, storie di amore come pure storie di separazione, di rottura e di impermanenza. Brother Wah 2007 raffigura un bambino che emana preveggenza a dispetto della sua età. La madre dell’artista Lily-Amah 2004 viene raffigurata come una sedicenne di bellezza antica con una sensualità misurata che sta per parlare. I campi rossi intorno all’immagine non sono associati solo all’ideologia, ma anche alla vitalità, al sangue della vita. La forma di Flung Ink Painting turba la composizione trasformandola in pura espressione. Lee recentemente ha incontrato Pilgrim 2007 in Cina (fotografato da Robert Scott-Mitchell). Nell’opera di Lee è palese la resa completa del pellegrino in The Way nel grande callo sulla fronte dovuto alle prostrazioni quotidiane. Le immagini di Lee strutturano in maniera raffinata un vasto ricettacolo narrativo che invita alla contemplazione sulla misteriosa e ineffabile natura dell’esistenza.
Curatore Naomi Evans
Sponsors Blackstone Images, Sydney, Southern Cross Visual Communication, City of Sydney
This project has been assisted by the Australian Government through the Australia Council, its arts funding and advisory body.