Italia
Antonella Zazzera
The copper wire, in different colours and thickness, is the one element, that, combined with light, constitutes the most recent works by Antonella Zazzera: the “Armonici”. Those sculptures, complex ground or wall structures that recently have been also laid down on water, are formed by immeasurable sediments of the most common energy conductor wire. These sculptures are in close relation with the artist’s body, so close to even assume the same proportions. The bond between these primary and natural shapes and a certain painting is self-evident. Like in the works of Segantini, Balla or Dorazio, for example, the surface appears to us like a field of attracting and rejecting forces, which are similar to the ones in a pointillist pictures. In their slow, analytic and systematic occurring, those soft textures are distinct and drawn by areas of breathing and by areas of extreme saturation, which suggest the possibility of inner, mysterious spaces, where the only palpable presence is light. A light that nourish the body of the work and brings it to life, dressing it with an apparent frailty and with a discreet clamour. A light that exalts and reveals the lines of force, a light that weaves forms and that shapes changing structures, so protean and blazing. A light absorbed, retained and exhaled by the copper wire, generating chromatic, rhythmic interferences and vibrations which threat the apparent quiet dominating the surfaces of the “Armonici”.
Curator Bruno Grossetti
Text by Federico Sardella
Supported by Grossetti Arte Contemporanea, Milan
Argentina
Eduardo Pla
RIFLESSI E TRASPARENZE DELL’ARTE
Il progetto di Eduardo Pla per la decima edizione di OPEN, Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni a Venezia Lido si ispira a una scultura permanente, installata nella città di Punta del Este questo gennaio, in occasione dei cento anni dalla sua fondazione. La scultura è realizzata con piani paralleli metallici dove una sfera irrompe e si impone sopra la permanente imminenza del piano. L’idea dell'opera che si installerá al Lido ripropone questa rottura spaziale, però il materiale utilizzato in questo caso, e anche alcuni cambi realizzati nella superficie sferica, pretendono rappresentare l’importanza della trasparenza e della luminosità che trascende dal concetto sferico. Nello scegliere il vetro come materiale basico e la luce come supporto rappresentativo dell’opera, l’idea sottointesa è riscattare da una oscura contemporaneità la poetica terrena. L’opera di Pla è tipicamente concettosa, proprio nell’accezione manierista che attraverso il garbo dell’immagine mette in scena l’universo melanconico dell’artista venato sempre dal senso accrescitivo del dubbio mentale e da un’attenzione esistenziale. Scultura all’aperto, quella di Pla sul filo di una intenzionale leggerezza che vuole attraversare il sentimento e stabilizzare la precarietà di un senso mobile nella coscienza dello spettatore. Se tradizionalmente con l’alterazione del senso corrente l’arte sconcerta e impaurisce, quella di Eduardo Pla cerca di esorcizzare facili e apocalittici fantasmi, che producono soltanto un salto emotivo, per produrre un varco nella conoscenza. “L’affronto fatto alle cose” non è frontale ma giustamente laterale, secondo i dettami della cultura contemporanea attraversata dall’apporto delle scienze umane, che ha creato nell’artista e nell’intellettuale del nostro secolo un sano senso della perplessità misto alla coscienza dell’impossibile uso frontale del linguaggio, il quale non è adatto a frontali denominazioni. Per questo Pla mette in scena frammenti d’immagini relazionate tra loro mediante nessi inediti che producono una evidente complicazione, una conflittualità di rapporti tutti giocati sul superficialismo di uno spazio inteso come luogo di proiezione e di rovesciamento verso l’esterno, verso una visione scorrevole in tutte le direzioni tranne che verso la profondità prospettica. Il neoilluminismo di Pla consiste proprio nella conoscenza tutta moderna di non poter compiere atti di ortopedia iconografica, di non poter chiudere in un impossibile ordine statico la mobilità dei frammenti che costituiscono i tasselli dell’immagine definitiva. Tutto questo è realizzato fuori da ogni mentalità apocalittica, senza la nostalgia di un centro della visione, mediante appunto l’impiego di una intenzionale leggerezza stilistica, portato di un atteggiamento culturale che cerca non di rimuovere la complessità quanto piuttosto di metterla in scena nella essenzialità dell’immagine. Perché l’arte non è “amica della realtà e rispecchiamento”, non è complice della realtà esterna, piuttosto è lo strumento che ne valorizza i conflitti e ne evidenzia le aporie. L’accettazione di tutto questo comporta la necessità di strumenti linguistici che ne evidenziano l’adesione, che ne valorizzano la definizione stabilizzandola verso il luogo paradossale di una chiarezza carica di perplessità. La perplessità non è un sintomo di un pessimismo della ragione, quanto piuttosto il riscontro dell’impossibilità di una scelta tra chiarezza dell’intelletto e l’oscurità del profondo. Solo l’arte può abitare come cerniera l’ubiquità della doppia possibilità, anzi dell’unica possibilità dettata dall’intreccio tra fantasia ed intelletto, tra la pulsione analitica e quella sintetica. L’assurdo si distingue dall’oscuro non semplicemente perché non si lascia completamente rischiarare. La sua peculiarità consiste nel fatto che si chiude ad ogni razionalizzazione: è sì interpretabile, non però spiegabile. In questo senso ogni opera d’arte autentica è assurda. Ciascuna resta indisvelabilmente misteriosa. Shakespeare sapeva tanto poco se il rapporto straordinario fra Amleto e sua madre aveva origine in qualcosa del tipo del complesso di Edipo, quanto Beckett sapeva chi è Godot.” (A. Hauser, Sociologia dell’arte.) “L’assurdo” moderno di Edoardo Pla consiste nell’accettazione di una costitutiva assurdità delle cose che lo porta non a forzare con impeto materico l’immagine, ma piuttosto ad organizzarla assecondando quel residuo di inspiegabilità dell’arte corrispondente a quello della vita. Ma mentre la vita talvolta mette l’uomo nella condizione di assalto per tentare una razionalizzazione, la creazione artistica invece sostituisce tale tentativo con la possibilità di una interpretazione che rispetta sempre il resto inspiegabile. Per tenere in piedi tale doppiezza, Pla sposta la chiarezza di tale concetto nel chiarore dell’immagine, adotta oggetti in un disegno senza carne dove la nomlnazlone visiva non sostituisce le cose ma ne produce il sospetto. In tal modo l’arte non è una pratica dogmatica e assertiva, si dimette dal ruolo di una rifondazione forte del reale per assumere invece quello che ci ricorda il senso transeunte dell’apparenza e nello stesso tempo quello definitivo della griglia concettuale che la sostiene. Una sorta di disinganno e di ironia regge le composizioni di Edoardo Pla , illuminate da un chiarore interno che denota un percorso di elaborazione accrescitiva, in quanto sposta non soltanto la collocazione del reale dalla propria statica iniziale ma ne valorizza anche la capacità di relazione che soltanto la fantasia creativa e disinibita dell’artista riesce a sospettare. Il “…mistero inerente all’arte ne esprime la sua appropriabilità, ciò che, nonostante tutta l’ermeneutica, resta in essa inspiegabile ed incomprensibile... Il mistero è imposto all’arte dalla natura non artistica della realtà e l’artista in quanto estraniato alla società, s’impone da sé l’ermetismo...” (A. Hauser, Sociologia dell’arte.) Il rispettoso senso di perplessità corrisponde alla coscienza di non appropriabilità non soltanto del mistero dell’arte ma anche del mistero della vita stessa. L’unico percorso possibile all’artista è quello di partire dalla chiarezza di tutto questo, dall’apparente chiarezza delle cose, per approdare al chiarore della scultura che nella penombra della propria evidenza rappresenta la messa in scena del sentimento della perplessità. La perplessità laica di Pla produce un universo iconografico di pittura, scultura e disegno che tradisce insicurezze, semmai una “passione che si libera nel distacco” segnalata da Goethe per definire l’ironia. Un’arma efficace per controllare delicatamente le pulsioni profonde che ogni creazione comporta e nello stesso tempo proteggere senza dogmatismo la griglia concettuale indispensabile per ogni operazione riguardante l’intelletto e la mano. Compreso la scultura.
Curatore Achille Bonito Oliva
Con il Patrocinio dell'Ambasciata Argentina in Italia
Australia
Lindy Lee
La stima di cui gode l’opera di Lindy Lee ne attesta la capacità, in senso quasi classico, a commuovere il pubblico. Lee è una rappresentante della prima generazione di australiani di origine cinese e dagli anni ’90 la sua pratica del buddismo Zen influenza i suoi dipinti, le stampe e le installazioni che si basano su riproduzioni, campi di colore e gli espressivi “schizzi” di cera. Dopo aver fatto la loro comparsa nel 2004 i suoi striscioni a tendina evocano una qualità celebrativa ed araldica in un’opera che privilegia l’esperienziale e l’esistenziale. Lee non è una fotografa –eppure la capacità di fotografare per animare narrazioni complesse è un tema ricorrente nel suo lavoro. Nel 2001 Lee riconosce nell’esistenza di una vecchia fotografia di famiglia una sorta di punto, la qualità caratteristica di certe immagini che sono in grado di penetrare profondamente nella coscienza. La sopravvivenza di queste foto ne intensificano l’importanza nel tempo come veicoli della memoria, connessione ed elasticità. Uno sguardo speciale può penetrare in un complesso infinito di momenti accumulati – la sopravvivenza della sua famiglia nel contesto della rivoluzione cinese e l’immigrazione in Australia, storie di amore come pure storie di separazione, di rottura e di impermanenza. Brother Wah 2007 raffigura un bambino che emana preveggenza a dispetto della sua età. La madre dell’artista Lily-Amah 2004 viene raffigurata come una sedicenne di bellezza antica con una sensualità misurata che sta per parlare. I campi rossi intorno all’immagine non sono associati solo all’ideologia, ma anche alla vitalità, al sangue della vita. La forma di Flung Ink Painting turba la composizione trasformandola in pura espressione. Lee recentemente ha incontrato Pilgrim 2007 in Cina (fotografato da Robert Scott-Mitchell). Nell’opera di Lee è palese la resa completa del pellegrino in The Way nel grande callo sulla fronte dovuto alle prostrazioni quotidiane. Le immagini di Lee strutturano in maniera raffinata un vasto ricettacolo narrativo che invita alla contemplazione sulla misteriosa e ineffabile natura dell’esistenza.
Curatore Naomi Evans
Sponsors Blackstone Images, Sydney, Southern Cross Visual Communication, City of Sydney
This project has been assisted by the Australian Government through the Australia Council, its arts funding and advisory body.
Cina
Hu Xiangcheng
Fuori dall'Africa
Le esistenze visuali e oggettive sono spesso discordanti, divise tra l’evidente e il nascosto. Queste discrepanze sono particolarmente marcate in un artista come Hu Xiangcheng che ha vissuto in Africa e in Tibet, proprio come le sensazioni di certi momenti sembrano sempre esistere come se fossero in mezzo a delle rovine. Da una prospettiva materiale spesso si rileva che la materia cambia stato passando dal liquido al solido fino al gassoso. Le cose che hanno una forma sono solidi. Allo stesso modo i mondi organici e inorganici intersecano i propri cicli in continuazione. Hu Xiangcheng ama seguire i sogni, ed esistere in uno stato sognante. Gli piace anche sollevare dubbi sui rapporti tra cielo, terra ed esseri umani e non ama rispondere alle domande. E’ spesso curioso: quali sono in realtà i poteri tangibili e non tangibili che si celano dietro l’immagine? Che tipo di materiale soggiace al cambiamento nella materia? Questo genere di sensazione viene in maniera assai netta in Africa, e Hu Xiangcheng è ansioso di trovare una risposta. In Africa ha scoperto lo stato primitivo della vita tra la gente locale. Ha osservato molte realtà di superficie, ma anelava a trascendere il confine tra la società primitiva e la propria società moderna. Voleva rispondere alle domande. Hu Xiangcheng ha insistito a creare una sorta di potenziale per trascendere il tempo e lo spazio per pensare a questa domanda. Hu Xiangcheng ha visto l’aspetto innocente, vero e onesto degli africani. In un piccolo villaggio dell’Africa si è completamente staccato dal tipo di ambiente di vita delle relazioni economiche e culturali della Cina contemporanea, accumulando un tipo di potere a noi sconosciuto. Sappiamo che i nostri avi di 2000 generazioni fa provenivano tutti dall’Africa, che tutti hanno lo stesso gene M168 eppure i geni culturali sono diversi nelle varie parti del mondo. Guardandoli nei loro occhi scuri vediamo noi stessi al nostro stato più primitivo. Le sculture sono formate da modelli danzanti e spazi vuoti ripetuti, come le componenti di una macchina, o i resti di qualche animale. La scultura “Stranger” si riferisce al modo in cui la vita ha inizio in un mondo inorganico e si sviluppa fino al punto in cui raggiunge l’intelligenza superiore, muovendosi alla fine verso l’estinzione. Questo tipo di straniero, attraversando l’universo, forse è alla ricerca di un tipo di esistenza eterna, ciclica. “Arrow” verte sui processi mediante i quali si è sviluppato l’uomo dalla vita primitiva fino al suo status attuale, sui suoi stati e sulle tendenze necessarie che contrastano con la natura.
Nel complesso Hu Xiangcheng vuole dirci che la freccia compie un giro continuo intorno al mondo, riveste molti significati: in primis la simmetria perfetta. La freccia è solamente un emblema, un centro. Una rotazione di 360 gradi, a prescindere dalla prospettiva, è una simmetria perfetta. In secondo luogo per noi esseri umani la freccia può essere vista come una sorta di domanda, lo spirito di avventura, una sorta di fervore. Questa freccia rappresenta ogni possibile disposizione dell’umanità. In terzo luogo Hu Xiangcheng vuole anche spiegare le tematiche dell’uomo e dell’ambiente, compresi i desideri territoriali che vengono con l’arte. Se si usasse un’immagine per simbolizzare l’intera attività umana sul pianeta Terra, Hu Xiangcheng sceglie certamente la freccia. Dalle frecce usate per creare il fuoco mediante frizione, fino ai lunghi archi di Genghis Khan, arrivando ai pozzi di petrolio e al potere distruttivo dei missili (in cinese “frecce di fuoco”)… dalle lotte tra essere umani fino alla lotta dell’uomo per conquistare la natura, la forma della freccia ci fa pensare a molti altri mondi, come.. occupare, luogo sacro, centro, assoluto, direzione, ideale, bersaglio, avanzamento, velocità, direzione, dentro e fuori, debolezza, richiesta e speranza… Hu Xiangcheng si propone di realizzare un progetto della freccia sulla Terra, in quanto la freccia compare sempre negli ambienti speciali e in altre importanti opere d’arte. In genere la gente spesso pensa a torto che le opere in cui vengono raffigurate impressioni dell’Africa siano tutte astratte. Per Hu Xiangcheng queste opere non lo sono del tutto, alcune sono concrete, ma le cose concrete sono state nascoste da una sorta di potere. Sia che si tratti di stranieri o di frecce, sono tutti microcosmi dell’Africa nel cuore di Hu Xiangcheng. In questo momento il cuore di Hu Xiangcheng ha già lasciato questo continente.
Curatore Zhang Qing
Presentato da Visual Culture Research Center, China Art Academy
Cina
Li Chen
Già celebrato in occasione della settima edizione di OPEN Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni, Li Chen torna a Venezia Lido con un'opera di grandi dimensioni intitolata All in One. La ricerca espressiva di Li Chen si sviluppa negli anni con singolare, ostinata coerenza. Colta e sacrale, essa insiste sui suoi temi per definire lo spazio, per misurarne i volumi. Potrebbero apparire evidenti le sue influenze, ma, in realtà, le forme dilatate assumono subito evidenza ‘patetica’ nuova, valgono come itinerari all’interno dell’anima che ha dovuto così esprimersi. Il "pathos" che muove la sua arte ricco di fascini, di memorie, di seduzioni diverse, religiose e letterarie, filosofiche e figurative, non potrebbero altrimenti esprimersi. Ha bisogno di imprimere la propria traccia non solo nel manipolare le masse bronzee ma su tutto lo spazio circostante – esige di trasformarsi in grande ‘macchina’ di farsi teatro. Li Chen sente che l’iconografia Buddista possiede un significato che bisogna indagare con mezzi più acuti e penetranti: un significato che è come un lievito segreto, qualcosa che si muove nel suo interno, che si dilata, che prende forme in espansione palpitante, pronte a rinnovarsi per celebrare una nuova figurazione legata al pensiero moderno. L’accezione di “forme rigonfie” fa riferimento alla capacità dell’artista di dare un’espansione vitale alla massa bronzea e più precisamente chiamano in causa l’aspetto puramente contemplativo e emozionale dove il gioco plastico assume parvenze oniriche, che vengono a galla attraverso il ricordo e la coscienza, approdando così ad un linguaggio lirico e poetico. Il ciclo di opere Bodhisattva presentano i momenti di maggior rilievo di questa ricerca di autentica, vivente ‘monumentalità’. Poiché, certo, ‘monumenti’ devono cercare di essere le opere: esse devono invitarci a restare, a resistere, a meditare. Devono avere tutta la necessaria forza persuasiva per farlo.
Curatore Paolo De Grandis
Sponsors Bank SinoPac www.sinopac.com / Hsin Yi Foundation www.hsin-yi.org.tw
Presentato ed organizzato da Asia Art Center Co., Ltd www.asiaartcenter.org