ITALIA - GIACOMO ROCCON, BARBARA TABONI
Pieno è il mondo, di carri e carretti, gli assali spaccati, inchiodati alla cenere del suolo. Come anche di cristallizzazioni fossili, nel meccanismo cinematografico, che non prevede alcuna continuità del divenire. Carri alati anche, apollinei, condotti da bianchi cigni. Che però il più delle volte portano uomini curvi, avvolti in stracci scoloriti. O certi carichi, invece, di stoffe leggere, per la confezione di abiti morbidi e fini entro cui riposare.
H491 è il primo lavoro scultoreo realizzato insieme da Barbara Taboni e Giacomo Roccon. E qui c’è un carro nuovo, carro da guerra, e cristalli come coltelli.
Matteo, 18:22 - Dopo i perdoni innumerevoli, settanta volte sette, la misura dell’uomo nella storia, di quest’uomo in questa storia, è colma. Tempo dunque di rifocalizzare il cristallino. E non fu Cristo forse un Cristallo?
H491 non mette in scena un bambino indaco, intento a ritraghettare nel flusso dell’essere l’uomo con il suo carico logoro di masserizie storiche. Si tratta piuttosto di un’aperta navicella radiante, un nuovo congegno critico guerreggiante. Pilotata, oltre le ultime pazienze, da un bambino-cristallo, gli idrogeni grezzi trasformati in idrogeni fini.
Il bimbo iridescente, prisma sfaccettato al fil di tungsteno, corpo traslucido del daimon, frange lo spazio, allagandolo, e irradiando uno spettro di colori, cangianti, subacquei. Egli sospinge il pietoso carro sul cui pianale inclinato, la testa volta all’indietro, è steso un uomo. Bruciato, il volto una maschera di carbone. La divisa grigia di feltro pesante in perfetto ordine. L’abito, e la postura, son quelli del perfetto Funzionario cinereo.
Il bimbo, ancora, è motore, stella, ordigno positivo, reattore, produttore d’alte energie.
Dopo la fusione nucleare, il composto precipita nello stampo – la forma del dispositivo di interazione critica. Lì cristallizza, la lava resinosa corre, prende parti del carro. Ne riempie le ruote. La navicella è ormai solidale con l’impulso cristallino al balzo. Le lame di luce, gentili affilate ablatrici di sfacimenti, han condotto all’acme il rinnovamento chimico-orfico.
Testo a cura di Gianluca D'incà Levis
ITALIA - OTTAVIO PINARELLO
Pinarello, tramite l’uso simbolico del profilo stilizzato del volto umano inserito in scenari tra l’informale e il metafisico, si spinge nel complesso ambito dell’indagine concettuale. “In base al proprio stato d’animo e al proprio intuito, Ottavio Pinarello avverte istintivamente quali situazioni saranno rappresentate in maniera completamente pittorica oppure tramite una commistione di pittura e di fotografia. In questo secondo caso l’immagine fotografica che poi andrà a comporre l’opera viene realizzata dall’artista in modo che risponda ad una sua particolare visione e sensazione, lo scatto viene quindi inteso da Pinarello come rappresentazione e resa reale di ciò che non si può vedere, ma che si può solo provare” (G. Le Noci, in Arte Contemporanea, nov-dic 2009). La volontà di rivelare e oggettivare la realtà interiore, le sensazioni dell’anima, tra conflitti e contraddizioni, è forte anche nei suoi lavori esclusivamente pittorici: per OPEN 13 l’opera esposta è il dittico Profilo bendato - Profilo imbavagliato del 2006, facente parte del ciclo bendato e imbavagliato che analizza le problematiche di comunicazione tra due entità o tra diversi volti di una stessa entità, opera presentata più volte in Italia e all’estero. Questo dittico è particolarmente significativo perché l’immagine del Profilo imbavagliato è stata recentemente usata, a più riprese e senza alcuna autorizzazione dell’autore, come simbolo delle proteste No al Bavaglio contro il Decreto sulle intercettazioni e in conseguenza di ciò l’immagine indebitamente strumentalizzata del quadro è stata veicolata per settimane su tutti i più importanti mezzi d’informazione nazionali. Paradossalmente è stato messo il bavaglio all’autore di Profilo imbavagliato, l’arte talvolta è profetica. Ma se altri hanno voluto violentare e sfruttare l’opera, ora l’artista concettualmente ne riprende possesso, trasformando il dittico in installazione, attraverso un’operazione di ingrandimento, frammentazione e ricomposizione.
Testo a cura di Giovanna Le Noci
ITALIA - MARCO PELLIZZOLA
Marco Pellizzola, da anni attivo con interventi mirati sul territorio in un contesto di applicazione che spazia dalle scuole, ai parchi pubblici, ai percorsi urbani di alcune realtà in Italia e all’estero, coerentemente con la precedente ricerca in cui si è già soffermato sulle gabbie, conferma, per l’occasione, l’originale soggetto della sua ricerca. L’installazione delle gabbie en plein air nel contesto del suggestivo parco dell’Isola di San Servolo - denominata in laguna anche come l’isola dei matti per aver ospitato per un lungo periodo un tristemente noto ospedale psichiatrico - vuole proprio esprimere il rapporto tra naturale e artificiale, tra realtà e finzione, in cui da sempre e in ogni latitudine, l’arte si dibatte: la gabbia simbolo di chiusura e di prigionia, in questo caso decontestualizzata in termini volutamente spiazzanti da parte dell’artista, diventa luogo di riposo, trespoli per gli uccelli che vengono attratti anche dai loro simili, ma finti, collocati anch’essi fuori dalle gabbie, uccelli da richiamo non più utilizzati per la cattura o la caccia di quelli reali con i quali, a questo punto, insieme convivono gioiosamente nell’accogliente ambiente naturale circostante.
Artifizio e natura, in tal senso, riprendono il loro rapporto più consentaneo e immediato come era nell’arte occidentale classica, così come avviene in altre culture, diverse dalla nostra, e così come sembra prefigurarsi ancora quale necessario fondamento nel mondo contemporaneo.
Testo a cura di Saverio Simi de Burgis
ITALIA - MICHELA PEDRON
Sulle ali dell’oritsuru
Un’antica leggenda giapponese racconta che chi riesce a piegare almeno mille gru di carta, secondo la tecnica degli origami, potrà vedere esauditi i desideri e le preghiere che ha nel cuore.
Non è infatti raro, mentre ci si aggira per i templi scintoisti disseminati su tutto il territorio giapponese, vedere ghirlande di gru colorate, sapientemente modellate in fogli di carta che, come il sussurro di una preghiera, vengono scosse dal vento davanti all’ingresso di un tempio.
La gru è tradizionalmente un animale legato al concetto di lunga vita e di dedizione, e sostanzialmente una figura apotropaica, fondamentale nella realtà scintoista.
Al mito delle mille gru è inoltre connesso uno dei più toccanti episodi della storia del Giappone post bellico, la vicenda di Sadako Sasami, una bambina che nel 1945 aveva due anni e viveva a Hiroshima, a circa un chilometro dal punto su cui venne sganciata la bomba, e rimase miracolosamente illesa. Crebbe, ma la bomba non aveva smesso di uccidere: nel febbraio del 1955, all'età di dodici anni, Sadako si ammalò di leucemia a causa degli effetti delle radiazioni.
Sadako nelle lunghe giornate in ospedale si dedicava a costruire piccoli origami raffiguranti ben auguranti gru. La mattina del 25 ottobre 1955 morì. Da quel giorno migliaia e migliaia di gru di carta, di tutte le dimensioni e di tutti i colori, prendono continuamente forma dalle mani dei bambini e di tutti gli abitanti di Hiroshima e vanno a costituire ghirlande, disegni, composizioni di ogni tipo che vengono utilizzate al posto dei fiori per onorare tutti i luoghi della memoria: una miriade di piccole gru che vengono spedite alla città di Hiroshima anche da tutto il mondo.
Per questo motivo l'origami della gru è stato elevato a simbolo di pace e fratellanza per tutti i popoli nel mondo.
Tutte queste suggestioni sono confluite nella grande installazione intitolata Big Oritsuru - gru in giapponese - realizzata dalla giovane artista Michela Pedron.
Nella sua visione, non mille gru ma una gru mille volte grande che porta sul becco un segno indelebile, il sangue dell’artista, e che assume un valore profondamente sacrale e sancisce il suo legame, come un ponte, tra l’occidente e l’oriente.
Ci troviamo di fronte ad un’opera che presenta evidenti aspetti di ibridazione culturale, il riferimento al mito scintoista della gru si fonde con l’idea, presente nella dottrina cristiana ma desunta da una tradizione antropologica comune non solo alle culture del mediterraneo ma alla totalità del genere umano, che il sangue sia il più efficace dono sacrificale.
L’azione di mediazione culturale viene attuata dalla rinuncia metaforica dell’aspetto cruento che risiede nei significati allegorici propri del sangue, fondendolo, non solo fisicamente, con la figura della gru, simbolo di vita e speranza, che rientra nella concezione di armonia del tao. La gru però, portando sul becco il segno tangibile e fisico della presenza dell’artista - il suo dono – diviene anche l’intermediario per raggiungere la divinità e, al tempo stesso, sottintende un messaggio di cambiamento.
Testo a cura di Igor Zanti
ITALIA - MARGHERITA MAURO
Margherita Mauro vive la pittura come passione, stimolo, urgenza di tradurre emozioni. Non ha frequentato scuole d’arte né ha avuto maestri. La sua pittura scaturisce da un talento innato, da un bisogno interiore cui non riesce a sottrarsi e che viaggia di pari passo con l’arte della musica.
Sin dalle prime opere realizzate con carboncino e pastelli in creta colorati, ha dimostrato di avere una predisposizione per il tratto deciso che genera i contorni incisivi delle forme avvolgendo in una immobilità metafisica le sue opere. La sua è inoltre una ricerca basata sulla materia pittorica che non è soltanto il mezzo espressivo ma è essa stessa sostanza sensibile che cattura la durata e l’estensione. Le sue opere infatti sono manipolate in tempi successivi con gesti delicati o aspri per intridere il supporto di colori ora tenui ora intensi così da comunicare il ritmo alternato della speranza e dell’angoscia del nostro tempo. Ci regala emozioni il gioco cromatico, fatto di colori consumati da interventi secondari e contorni definiti ma con tale morbidezza da alterare in maniera suggestiva la figura nella dimensione del sogno.
È questa sincerità espressiva, questa prevalenza di musiche senza note e di parole senza testo rispetto all’uso prosastico e immodesto della voce, che avvalora ancor di più l’opera dell’artista. L’artista abbozza figure che emergono quali tracce primordiali dalla superficie per suggerire e non svelare. Il suo gestualismo informale accompagna accenti liberamente ispirati in cui l'aspetto ibrido della materia organica diventa reale e umano nello stesso tempo, materia viva e parlante. A volte contorce la forma a estremi metamorfismi, caricando la superficie a cui fornisce di volta in volta la giusta atmosfera con il ricorso ad una mobilità di ritmi, timbri e colori diversificati, per cui le forme oscillano dall’empito curvilineo allo scavo ritagliato e severo, a volte più grafico che pittorico.
Ricerca spaziale e melodica intonazione cromatica sono gli elementi di spicco di questa pittura, sospesa fra sogno e realtà fatta di una trasformazione che diventa poesia moderna, fascino di uno sguardo verso la natura, verso il mondo che la circonda per donarci magiche emozioni. Questa estrema fluidità delle forme e dei colori determina per osmosi una mobilità cromatico-spaziale, per cui non solo il colore appare mutante ma è perennemente in variazione anche l’immagine, con frizioni semantiche.
I caratteri fondamentali della sua pittura trovano nuova realizzazione e diversa modulazione nell’installazione che l’artista presenta ad OPEN. Qui ogni aspetto - forma, materia e colore - è eco di un simbolismo arcano, millenario, condiviso e depositato che, in un gioco di equilibri e di richiami, crea nuove metafora e sintesi originali: dalle implicazioni storiche, filosofiche e matematiche del cerchio, della piramide e della spirale al simbolismo dell’oro, dell’azzurro, del nero e del marrone, all’incontro dialettico tra pietra e acciaio. Significati solidificati e stratificati ne generano di nuovi nell’incontro gli uni con altri, nel confronto e nell’interazione, dando luogo a inedite e originali letture che l’artista definisce viaggio. Viaggio nella sua doppia valenza spazio-temporale, percorso in divenire, rapporto dinamico con l’altro, confronto e ricerca, creazione continua di significati inesauribili.
Testo a cura di Paolo De Grandis