Venezia Arte Contemporanea e Spazi Espositivi
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Pubblicato: 10 Settembre 2006

Premi ufficiali

 

Il Premio OPEN2OO6 anticipa il Leone d’oro al regista  Jia Zhang-ke alla 63. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
Premi ufficiali della 63. Mostra 

VENEZIA 63

La Giuria Venezia 63 della 63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, presieduta da Catherine Deneuve e composta da José Juan Bigas Luna, Paulo Branco, Cameron Crowe, Chulpan Khamatova, Park Chan-wook, Michele Placido, dopo aver visionato tutti i ventidue film in concorso, ha così deliberato:

LEONE D’ORO per il miglior film a:

Sanxia Haoren (Still Life) di Jia Zhang-Ke

LEONE D’ARGENTO per la migliore regia a:

Alain Resnais per il film Private Fears in Public Places

LEONE D’ARGENTO RIVELAZIONE a:

Emanuele Crialese per il film Nuovomondo - Golden Door

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:

Daratt di Mahamat-Saleh Haroun

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione maschile a:

Ben Affleck

nel film Hollywoodland di Allen Coulter

COPPA VOLPI per la migliore interpretazione femminile a:

Helen Mirren

nel film The Queen di Stephen Frears

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI a un giovane attore o attrice emergente a:

Isild Le Besco

nel film L’intouchable di Benoît Jacquot

OSELLA per il miglior contributo tecnico a:

Emmanuel Lubezki

direttore della fotografia del film Children of Men di Alfonso Cuarón

OSELLA per la migliore sceneggiatura a:

Peter Morgan

per il film The Queen di Stephen Frears

LEONE SPECIALE a:

Jean-Marie Straub e Danièle Huillet

per l’innovazione del linguaggio cinematografico

ORIZZONTI

La Giuria Orizzonti della 63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, composta da Philip Gröning (Presidente), Carlo Carlei, Yousri Nasrallah, Giuseppe Genna e Kusakabe Keiko,ha deciso di conferire:

PREMIO ORIZZONTI a:

Mabei shang de fating di Liu Jie

PREMIO ORIZZONTI DOC a:

When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts di Spike Lee

PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS”

La Giuria Opera Prima della 63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica della composta da Paula Wagner (Presidente), Guillermo Del Toro, Mohsen Makhmalbaf, Andrei Plakhov, Stefania Rocca, ha deciso di conferire il:

LEONE DEL FUTURO - Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” a:

Khadak di Peter Brosens e Jessica Woodworth

CORTO CORTISSIMO

La Giuria Corto Cortissimo della 63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica della composta da Teboho Malatsi (Presidente), Francesca Calvelli, Aleksej Fedorčenko, ha deciso di assegnare:

MENZIONE SPECIALE al film:

Adults Only di YEO Joon Han

PRIX UIP per il miglior cortometraggio europeo a:

The Making of Parts di Daniel Elliott

LEONE CORTO CORTISSIMO per il miglior cortometraggio a:

Comment on freine dans une descente? di Alix

 



Pubblicato: 10 Settembre 2006

Premio Open e Leone d'Oro

Jia-Zhang-Ke-Omar-Galliani-

PREMIO OPEN2OO6

VI EDIZIONE

Premio Speciale Collaterale

alla 63. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica

Il Maestro Omar Galliani

consegna il PREMIO OPEN2OO6

al regista Jia Zhangke per il film "Dong"

Sabato 9 settembre 2006 alle ore 16.00

presso la Sala Perla del Palazzo del Casinò - Venezia Lido

Arte Communications in collaborazione con il Centro Italiano per le Arti e la Cultura istituisce la 6a edizione del Premio OPEN, in occasione di OPEN2OO6 9. Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni. L'evento prevede la premiazione di un regista presente alla 63.Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che con la sua opera riveli, in maniera inedita, un fertile interesse verso la seducente tematica della mutua interazione tra arte e cinema, due forme artistiche che vivono d’immagine e si nutrono del desiderio di tradurre emozioni.

Il regista vincitore è stato selezionato dalla giuria, composta dal Presidente Paolo De Grandis e dai giurati: Vincenzo Sanfo, Chang Tsong-zung e Gloria Vallese. Il premio OPEN2OO6 consiste in un'opera ideata e realizzata dall’Artista Omar Galliani che conferirà alla cerimonia di premiazione la scultura al regista vincitore.

Il Presidente della giuria, Paolo De Grandis, ha così motivato la scelta: "Nel documentare il viaggio nelle zone rurali ed industriali della Cina del pittore Liu Xiaodong, Jia Zhangke traccia con estrema efficacia la vita di uno degli esponenti della Nuova Generazione di Pittori del Realismo Cinico unitamente alla raffigurazione del contesto sociale Cinese. Con "Dong" Jia Zhangke sperimenta la densità emotiva, sociale e culturale dell'arte cinese offrendo un'importante testimonianza della mutua corrispondenza tra arte cinema."

L’istituzione di questo riconoscimento, ideato nel 2000 da Pierre Restany, nasce parallelamente ad OPEN, Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni che quest'anno ha inaugurato il 30 agosto a Venezia Lido la sua nona edizione. Nel corso delle prime quattro edizioni il Premio è stato commissionato all'artista Mimmo Rotella e nell'edizione 2005 a Sebastian. Tra i registi vincitori ricordiamo: Joao Botelho con il film Quem es tu?, Julie Taymor con Frida, Takeshi Kitano con Zatoichi, Marziyeh Meshkini con Sag - haye velgard e nel 2005 Stanley Kwan con Everlasting Regret.
La mostra OPEN è realizzata da nove anni in concomitanza con la Mostra del Cinema di Venezia a conferma del preciso intento di rafforzare il legame esistente tra arte e cinema e l’istituzione di questo riconoscimento testimonia questo fecondo e stretto rapporto.

Venezia, vince il cinese Zhang-Ke
a Crialese Leone d'argento speciale

Il riconoscimento per "Nuovomondo" istituito appositamente
Miglior documentario quello realizzato da Spike Lee sui danni di Katrina
dal nostro inviato CLAUDIA MORGOGLIONE

 

<B>Venezia, vince il cinese Zhang-Ke<br>a Crialese Leone d'argento speciale</B> Jia Zhang-Ke

VENEZIA - E' sbarcato a Venezia come film-sorpresa, inserito last minute nella selezione ufficiale. E adesso, ancora più inaspettatamente, conquista il gradino più alto del podio: è Still Life, del regista cinese Jia Zhangke, il Leone d'oro della Mostra 2006. Un risultato che arriva dopo un lungo e tormentato lavoro, da parte della giuria presieduta da Catherine Deneuve. In un'edizione, questa numero 63, che - almeno qui in Italia - passa alla storia anche per il riconoscimento all'autore più amato dal popolo del festival, Emanuele Crialese: il suo Nuovomondo porta a casa il Leone d'argento-rivelazione. Per un'opera che forse avrebbe meritato di più. I premi sono stati consegnati nel corso di una cerimonia condotta da Isabella Ferrari e Massimo Sebastiani, e trasmessa in diretta da Raisat. Ecco i più importanti.

Il poker di trionfatori. Il Leone d'oro va a un'opera cinese particolarmente ancorata alla storia recente di quel grande Paese: Still Life, infatti, è un film verità che racconta di come alcune grandi dighe fluviali abbiano cambiato il paesaggio e la vita della gente. Per ironia della sorte, si tratta di quelle stesse dighe che vediamo in una sequenza del film di Gianni Amelio, La Stella che non c'è. Leone d'argento per la migliore regia, invece, al grande vecchio Alain Resnais, per il suo Piccole paure condivise (lui però è assente). Il Leone d'argento rivelazione, come già detto, se lo aggiudica Nuovomondo. Infine, il premio speciale della giuria viene assegnato a Daratt di Mahamat-Saleh Haroun: prima pellicola africana in concorso da 19 anni, storia di vendetta e redenzione nel Chad post-guerra civile.

Gli attori. Tra le donne, nessuna sopresa: trionfa (tra le ovazioni dei presenti) Helen Mirren, straordinaria regina Elisabetta in The Queen di Stephen Frears. Tra le interpretazioni maschili, la spunta invece (e pochi se lo aspettavano) Ben Affleck, Superman televisivo in Hollywoodland di Allen Coulter. Il divo non c'è, ma manda un sms per ringraziare. Infine, il premio Mastroianni a un giovane talento: vince la bionda Isild Le Besco, che in L'intouchable ha il ruolo di una ragazza che scopre di avere un padre indiano. Scelta davvero singolare, questa: l'attrice in Francia è già una star, altro che promessa...

Riconoscimenti tecnici. L'Osella per la miglior fotografia va all'apocalittico Children of Men di Alfonso Cuaròn; quella per la sceneggiatura, ancora a The Queen. Decisione ineccepibile, non c'è che dire. Ancora, un premio speciale, "per l'invenzione del linguaggio cinematografico nell'insieme della loro opera", ai francesi trapiantati in Italia Jean-Marie Straub e Danile Huillet, a Venezia con Quei loro incontri.

Orizzonti. E' il secondo concorso della Mostra, quello considerato più sperimentale. I premi vanno, tra i documentari, a When the Leeves Broke, il documentario che Spike Lee ha dedicato alla catastrofe Katrina; il regista, però, non c'è a ritirarlo. E tra i lungometraggi di finzione, al cinese Liu Jie, per Corthouse on the Horsebeck: le vicende di una corte di giustizia itinerante.

Premio opera prima. I centomila dollari all'esordiente, offerti dalla Filmauro di Aurelio De Laurentiis (insieme a 40 mila metri di pellicola Kodak), vanno a Khadak di Peter Brosens e Jessica Woodworth, presentato nella rassegna "Giornate degli autori". Una storia intensa, ambientata in Mongolia.

 

(9 settembre 2006)

Pubblicato: 10 Agosto 2006

Da tutto il mondo per OPEN2006
Fonte: Il Gazzettino

Saranno quarantaquattro artisti provenienti da tre continenti che parteciperanno alla nona edizione di "Open 2006", esposizione internazionale di sculture e installazioni, ideata e curata da un privato Paolo De Grandis che è diventata ormai un appuntamento molto atteso dal mondo culturale. 

Il progetto è quello di legare il territorio in un unico happening stimolando i visitatori alla ricerca di orizzonti sempre maggiormente emozionanti. Arte e spazi aperti: il binomio si presenta così sempre più stretto, inscindibile. La prerogativa di Open sta nell'"arte" di catturare il visitatore, colto in flagrante lungo i viali e gli hotel più prestigiosi - Excelsior, Des Bains ed Hungaria) - de l Lido di Venezia, con una ricchissima selezione di interventi artistici. Alla prossima edizione parteciperanno figure di rilievo quali Louise Bourgeois, Arman, Luigi Mainolfi, Giuliano Vangi, John Henry, Gabriela Malvido Oest, Zhao Guanghui, Chen Changwei e gli outside r Massimo Franchi, Giuseppe Linardi e Stefano Fioresi. In questa nona esposizione verrà data voce anche ad una serie di artisti provenienti dalla Accade mie di Belle Arti, che, quasi de l tutto assenti da ogni rassegna espositiva internazionale, troveranno così occasione di vivo confronto. Ci si attende da questa scelta de l curatore della mostra, sostenuta da Gloria Vallese, una nuova linfa da coniugare in un percorso espositivo comune che faccia il punto dell'esperienza delle Accade mie internazionali e de i risultati ottenuti. Open 2006 cerca di de finire alcuni contesti che arricchiscono il bouquet di questa "fabbrica di arti", de i percorsi della creatività accade mica proveniente da Macao, Venezia e Vienna. Il nucleo portante restano comunque le arti plastiche declinate tuttavia non solo nella forma canonica, ma anche in quelle zone di confine dove la creatività si confronta con la comunicazione, con i suoi meccanismi e con le sue finalità.

La giornata inaugurale della rassegna artistica, che si protrarrà nell'isola fino al prossimo 1. ottobre utilizzando come spazi espositivi i luoghi più prestigiosi e all'aperto, sarà il 30 agosto, in contemporanea con la 63.ma Mostra del cinema. Come tradizione alle 15 vi sarà la presentazione ufficiale alla Sala Stucchi dell'Hotel Excelsior, seguita, alle 17, dalla performance, nella spiaggia del Blue Moon, di Brigitte Kovacs, e alle 18 all'hotel Hungaria il cocktail di inaugurazione, accompagnata dalla performance dell'artista Xiao Ge. Alle due performance, proprio per sottolineare il contenuto "interattivo" dell'evento culturale, potrà partecipare anche il pubblico. La mostra è organizzata da "Arte Comunications", in collaborazione con l'assessorato alla Produzione Culturale del Comune di Venezia e il centro italiano per le Arti e la cultura di Torino.

 

Lorenzo Mayer

 

Pubblicato: 26 Luglio 2006

L’ANNUNCIO DI STORR E CROFF
Fonte: Il Gazzettino

L'Africa, l'India e la Turchia entreranno nella 52esima Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia. Ad annunciarlo sono stati ieri, il presidente dell'Ente, Davide Croff, e il direttore della rassegna, Robert Storr, che da Natale si traferirà con la famiglia in centro storico per studiare i dettagli dell'esposizione. Come illustrato da Croff, ieri mattina il cda ha fissato le date della rassegna: il 7, 8 e 9 giugno 2007 saranno dedicati alla vernice; l'inaugurazione sarà il 10 giugno e l'apertura fino al pubblico fino al 21 novembre, che segna la ricorrenza della festa veneziana della Madonna della Salute. «In questa giornata l'ingresso sarà gratuito ai residenti della città - ha detto Croff - sono inoltre confermati i premi: il Leone d'oro alla carriera, quello al miglior padiglione, all'artista giovane under 35 anni e ad un artista che partecipa alla Mostra». La Biennale, ha affermato Croff, continua a guardare al futuro. Prova ne è che per il 2007 la rassegna aprirà le porte a un continente e due paesi che finora non hanno ricevuto una collocazione fissa nell'ambito della Biennale e che si stanno affacciando nel campo dell'arte contemporanea. Gli spazi dedicati saranno quelli dell'Artiglierie, occupati in passato dall'esposizione internazionale. L'obiettivo è quello di aprirsi sempre di più verso un maggior dialogo con e tra le nazioni e le vecchie culture che stanno mutando l'aspetto e la sostanza dell'arte.

Croff ha inoltre sottolineato come per l'organizzazione di questa rassegna si lavori da tempo e come «già se ne parli in Cda e in pubblico in piena Biennale Teatro e alla vigilia della presentazione della Mostra del Cinema». «Si tratta di una scelta strategica - ha detto- perché ha permesso al direttore di approfondire le tematiche con le controparti significative per coinvolgere poi le istituzioni veneziane nella partecipazione all'evento: è sì una rassegna internazionale ma è legata alla città».

Storr ha invece illustrato quelli che saranno i criteri per l'edizione 2007 di arti visive. «I contenuti non resteranno confinati all'arte realizzata negli ultimi due anni, e neanche negli ultimi cinque - ha spiegato - nel caso in cui opere d'arte create in precedenza presentino un'attinenza significativa con la nostra situazione attuale, saranno incorporate nell'ensemble. Nessuna opera sarà storica: a eccezione di pochi artisti, tutti coloro che sono stati invitati sono viventi. I pochi che non lo sono rappresentano un numero molto maggiore di artisti che, se non fosse stato per l'Aids e altre cause di morte prematura, sarebbero ancora attivi». Nessuna anticipazione sul titolo della Mostra, anche se Storr ha confessato di avere il titolo in testa già da un anno e mezzo.

«La Biennale deve pensare all'arte, deve rendere manifesto il contenuto al pubblico ma non deve essere legata al mercato» ha continuato, esprimendo il desiderio che gli espositori diventino una serie di costellazioni che gravitino nello stesso spazio, un modo poetico per chiedere un dialogo tra i vari padiglioni.

Storr - che grazie all'anticipo con cui è stato conferito l'incarico ha potuto compiere diverse visite in tutto il mondo per andare a caccia di artisti (anche nelle favelas del Brasile e a Mali) - ha rivelato che questa Biennale sarà solo un suo punto di vista fra i suoi tanti punti di vista. Ciò che si prefigge, ha detto, è di stimolare uno scambio artistico e avere idee da condividere con un pubblico sempre più vasto.

Il direttore ha inoltre annunciato che Padiglione Italia sarà probabilmente dedicato, solo per questioni logistiche e non per il prevalere di un'arte rispetto ad un'altra, alla pittura.

 

Manuela Lamberti

Pubblicato: 19 Luglio 2006

Museo Hassan Rabat
Fonte: Meeting Venice

Un artista eclettico, colto, appassionato, precursore per vocazione, libero per scelta. Iniziatore dell’uso della tecnologia applicata all’arte e cantore di mondi lontani.
Abbiamo incontrato Fabrizio Plessi in occasione della mostra Fez che inaugurerà il 31 maggio il nuovo museo di arte contemporanea di Rabat diretto da Paolo De Grandis ed ideato da Fathiya Tahiri.

Nel modo di lavorare, di parlare e di agire di Plessi c’è sempre il tono autentico dello ‘spirito libero’. Fare arte per poter essere libero, ma non c’è arroganza nel suo modo di stare al mondo; l’autorità gli viene dal coraggio. Di qui la speciale forza dei suoi lavori. Attraverso le vicende, gli interessi, la cultura c’è il tentativo di dare un senso ed una chiave di lettura alla sua arte: un montaggio di idee, pensieri e situazioni, che nel tempo hanno spinto ed improntato il lavoro, per asserire che alla fine le due cose, se non sono la stessa, sono almeno complementari. È partecipe del comune substrato di ogni cultura e la sua ricerca è tesa a generare una vera e propria ‘simpatia’ fra le varie matrici culturali. Un criterio di lavoro che ritroviamo nel progetto Fez a testimonianza che la forma non è mai ricerca di un’esteriorità, ma è un’altra presenza che egli cerca perché mosso dal sentimento per poter poi indurre l’occhio dello spettatore ad andare in profondità fino al punto che l’emozione si renda manifesta. La mostra, a cura di Paolo De Grandis ed organizzata da Arte Communications, si terrà presso la storica Villa Andalucia di Rabat dal 31 maggio al 31 giugno 2006.
L'idea di rivalutare tale importante spazio, un piccolo scrigno di mosaici ed elementi architettonici ispano-moreschi, unitamente al desiderio di aprire il Marocco al dialogo con il contesto artistico europeo è stata fortemente sentita da Paolo De Grandis, da anni impegnato nella promozione di nuove realtà geografiche sia nell'ambito della Biennale di Venezia che su scala internazionale. La sfida, sotto la direzione di De Grandis, sarà quella di far confluire in questo nuovo museo progetti importanti, affinché possa essere garantita l'apertura del Paese al resto del mondo. Aspirazione già prefigurata in occasione della prima partecipazione del Marocco alla scorsa edizione della Biennale di Venezia che ha visto presenti quattro artisti, tra i quali Fathiya Tahiri che non a caso è stata un'essenziale sostenitrice della rivalutazione del museo e del suo lancio a livello internazionale. Tra le tante letture possibili di questa mostra c’è dunque il mutare della sensibilità del Marocco nel rapportarsi all’arte contemporanea, c’è il filo delle collaborazioni tra curatori, artisti ed addetti ai lavori. E c'è la scelta significativa di iniziare con l'alta maestria di Fabrizio Plessi per un esemplare esito di apertura del sipario.


Come nasce la sua carriera di video-artista?

Mi sono formato negli anni '60, stagione in cui il panorama artistico italiano era dominato dalla pittura e dalla nascita dell'Arte Povera. Ho pensato che il video fosse un elemento tecnologico molto importante ed ero sicuro che avremmo assistito nel futuro ad uno sviluppo vertiginoso di queste tecnologie. Essendo un uomo curioso, ho creduto che l’utilizzo della tecnologia ai fini dell'arte fosse una prova importante e dunque mi è sembrato inevitabile scegliere questo cammino. Il cinema, la fotografia, il video, erano dei nuovi media per me importantissimi perché offrivano la possibilità di uscire dai canoni stereotipati della pittura. In un contesto fortemente contrassegnato dalle querelle sulla pittura e sulla non-pittura, informale e noninformale, ho ritenuto necessario prendere una posizione totalmente divergente e questa mia scelta allora considerata avventata, mi ha portato poi ad essere il pioniere in Europa in questo campo.


Lei è l'interprete per eccellenza del connubio tra espressione artistica e alta tecnologia. Qual è la sfida?

La sfida è proprio quella di far convivere gli elementi legati alla tradizione pittorica come la pietra, il marmo, il legno, il ferro, con il cangiante tecnologico. Come l’alchimista con i vasi comunicanti, penso di aver inventato una pratica finalizzata a far dialogare materiali apparentemente inconciliabili. Non per auto-celebrarmi, ma in effetti il termine "video-installazione" è stato coniato da me all'inizio degli anni Settanta. In seguito il video è diventato una sorta di prassi nell’arte e la diretta testimonianza è data dal fatto che il settanta per cento della produzione delle Biennali è fatta di video-installazioni. Al contrario il clima di allora era difficilissimo e la maggioranza degli addetti ai lavori mi derideva. Pensiamo anche a quanto tempo è passato dai miei inizi, quando la televisione era in bianco e nero ed allo sviluppo della tecnologia nel mondo dell’arte.


I colori sono il fondamento stesso dell'arte. Il suo è un approccio simbolico o emozionale?

Assolutamente emozionale. Vorrei trasmettere allo spettatore le emozioni che io stesso provo nel creare le opere. Il mio è sempre un lavoro di emozione. Nonostante l'utilizzo del video, la mia arte è cromatica ed ha sempre avuto un’impronta pittorica, risentendo così della mia influenza classica. D’altronde io stesso mi considero un classico, anche se utilizzo tecnologie diverse da quelle impiegate per dipingere un quadro.

 

Attraverso i monitor inseriti all'interno delle sue videoinstallazioni, parlano elementi mitici come l'acqua, il fuoco, l'aria, la terra, i suoni, che nell'insieme dell'installazione acquistano un'accezione quasi sacrale. Cosa rappresenta per lei il sacro?

 

Credo che la televisione sia intrinsecamente sacra perché immateriale: l'immagine televisiva non esiste nella realtà, il pulviscolo luminoso che crea le immagini è di per sé spirituale. Non c'è niente di fisico. Mi dispiace moltissimo che la Chiesa non si sia mai occupata dei nuovi media che per l'appunto attraverso l’etere passano un’immagine immateriale e dunque altamente spirituale. Naturalmente il fuoco, l'acqua, la terra, sono tutti elementi legati anche alla spiritualità dell'opera.


Nelle sue installazioni si ha l'impressione che il video perda la sua funzione tipicamente narrativa che ha invece in gran parte della video-arte.
Qual è la finalità di tale scelta?

Io sono sempre stato contro la narratività, non amo tutto ciò che descrive, che racconta. Il cinema racconta, l'arte non deve raccontare, deve produrre delle emozioni. L'immagine che uso per riprodurre l'acqua, il fuoco è altamente evocativa, e non deve essere né descrittiva, né aneddotica, né decorativa. Sono stato uno dei primi a pensare che le video-installazioni dovessero essere dei grandi oggetti in cui lo spettatore potesse spingersi dentro il suono, le immagini, percepire le atmosfere; effetto lontanissimo dal sedersi davanti al video e guardarlo come se si fosse al cinema. Oggi c'è questo grande equivoco che associa al video la funzione di raccontare e invece secondo me è proprio l'opposto. Possiedo moltissime immagini video di fuoco, di lava, di terra, di vento ed esse stesse sono di per sé elementi ‘conclusi’, che non devono narrare in assoluto nulla.

Ha dichiarato che le sarebbe piaciuto essere un viaggiatore del diciannovesimo secolo. Come si traduce questa sua passione nel fare artistico? C'è un approccio sistematico o si lascia sedurre dagli echi di storie, memorie, tradizioni, forme e valori che stratificandosi compongono un luogo con il carico del suo genius loci?

Io sono un grande viaggiatore, instancabile e, infatti, in un mese viaggio almeno venti giorni. In questo mio continuo peregrinare porto dei frammenti, dei disegni, dei piccoli segnali, dei ricordi immaginari di quello che per me è stato il viaggio, perciò niente di narrativo, come dicevo prima, ma delle cose che evocativamente mi restituiscano l'atmosfera dei luoghi. Ne è una dimostrazione la mostra Traumwelt tenutasi a Berlino nel 2004. All’interno delle venti sale ho ricreato venti luoghi visitati nel corso della mia vita e riproposti in una chiave completamente diversa - che è quella mia, del mio lavoro. Il fine era quello di riproporre qualcosa che non fosse oggettivamente il luogo, ma che evocativamente permettesse di risalire allo spirito del luogo.

Il confronto con le diverse culture che popolano i cinque continenti è da sempre una delle esperienze più importanti per una crescita intellettuale. Nella sua esperienza individuale questo confronto cosa ha aggiunto all’espressione e alla rappresentazione delle sue opere?


Ciò che più mi terrorizza oggi è la globalizzazione. Andiamo in tutto il mondo e viviamo esattamente tutti le stesse cose. La civiltà ha portato purtroppo degli aspetti negativi: i negozi, le strade, l’arredo urbano, uguali in tutto il mondo. Credo sia importante preservare la memoria. In una civiltà come quella odierna, in cui si perde facilmente la memoria di tutto, ritengo che il recupero della memoria oggettiva dei luoghi sia uno dei doveri dell'artista. L'artista deve aiutare a preservare la memoria dei luoghi, senza cadere nel folclore naturalmente.

Lei inaugurerà alla fine di maggio il primo museo internazionale di arte contemporanea a Rabat. Come nasce il progetto Fez e con quali finalità?


È stato Paolo De Grandis a propormi questo progetto per il nuovo museo - piccolo ma interessantissimo - di Rabat. Ho fatto un sopralluogo, e poiché credo che questi paesi emergenti abbiano bisogno di aiuti anche culturali, sarà un piacere per me inauguralo. Inoltre, sono sempre stato particolarmente affascinato dall’Africa, alla quale ho dedicato molti lavori. Soprattutto il Marocco, che ho visitato molte volte; nello specifico, avendo realizzato un’opera su Fez, ho pensato che portarla a Rabat sarebbe stata un'idea originale e anche importante per il Marocco.

A Rabat e Fez nascono i famosi tappeti in velluto raso e nelle città sono presenti le tintorie a cielo aperto. Com'è interpretata nell'opera Feztale antichissima pratica?


Ho realizzato due pezzi molto conosciuti perché hanno fatto il giro di molti musei nel mondo: Bombay e Fez. In Bombay vi erano i lavatoi, i lavatoi dell'anima e per quell’opera usai i cotoni bianchi che avevo scoperto in quei luoghi. Dopo aver girato tutto il mondo, finalmente l'anno scorso l’opera è stata portata al Museo di Arte Moderna di Bombay. La serata inaugurale è stata un grande avvenimento, e finalmente gli indiani hanno potuto scoprire la Bombay vista dai miei occhi e così parallelamente il pubblico di Rabat potrà vedere la mia Fez. Quindi non più i lavatoi di Bombay, ma le tintorie. È un pezzo dedicato all'acqua rossa delle lavanderie ed alle lane rosse che si tingono - appunto - a Fez. Nell’opera s'inseriscono le musiche di Sakamoto, e quindi è un lavoro di alta evocazione spirituale e paesaggistica, un nuovo paesaggio metafisico, elettronico.

Fez e Rabat sono due delle più antiche città imperiali del Marocco, da sempre considerate il centro religioso, culturale e artistico del regno. Pertanto, la sua presenza in un paese fortemente radicato alle tradizioni nella pratica artistica è da considerarsi emblematica. Lei come vive questa esperienza? La ritiene una responsabilità?


È una grande responsabilità perché - come dicevo prima - credo che l'artista debba riproporre la memoria del luogo. Ormai siamo abituati a vedere le tintorie come un luogo turistico. Al contrario la mia intenzione è stata di riproporre le tintorie, all’interno di questo nuovo museo, con scritture, disegni, apparati iconografici affinché i marocchini possano riprendersi la memoria deturpata dal turismo invadente, che ormai sta uccidendo tutto. Penso che presentare ciò in un museo, un luogo che oggi è considerato solamente turistico, possa rappresentare oggi una grande riappropriazione della cultura autoctona marocchina. Oltre ad essere un’esperienza significativa, sarà anche un grande piacere realizzare questa mostra insieme a Paolo, che ne sarà il curatore. Mi auguro che questo museo possa diventare un luogo in cui possano confluire tutti i rapporti tra Europa e Africa.

Sede del nuovo museo sarà la celebre Villa Andalucia, edificio ricco di storia ed elementi architettonici ispanomoreschi. Quali sono i suoi parametri per la scelta di un ambiente espositivo?

La cosa più importante è far vedere come nascono questi progetti. Non per fare della mera didattica, ma per creare un rapporto tra la progettazione - legata essenzialmente ai primi segni impressi sulla mia percezione - l’esecuzione e la finale comprensione dell’opera stessa. Dunque, la possibilità di presentare anche il percorso ideativo dell’opera Fez in questa villa storica mi sembra un'ottima operazione culturale. Ed il compito di Paolo De Grandis sarà quello di mantenerla a questi livelli; sarà una bella avventura poterlo fare insieme.


L'interesse per l'elemento acqua nelle sue opere. Che legame c’è con Venezia?

Certo, io sono emiliano ma mi sono trasferito a Venezia da ragazzino per frequentare il Liceo Artistico e l'Accademia. Ho sempre visto Venezia come una città ‘allagata’: aspetto sempre che l'acqua si ritiri e vada via. Con il passare del tempo, la liquidità ha influito fortemente sulla mia fantasia e la mia passione, per cui anch'io sono diventato - come l'acqua - molto elastico nei pensieri. Odio tutto ciò che è squadrato, che è definito; la mia è un’immaginazione flessibile. Con Venezia, però, ho un rapporto di odio e amore. Odio profondamente il detto dei veneziani «Non sta’ a far onde», perché vogliono che tutto rimanga immutato. Io invece vorrei fare una grande onda, che porti via tutta la parte più perversa, conformista e oscurantista di questa città. Questo è il mio sogno e penso che la città ne avrebbe tutto da guadagnare.

di Carlotta Scarpa

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